In risposta all’ultimo test missilistico nordcoreano, il governo di Seul ha deciso la chiusura del parco industriale congiunto di Kaesong. Protestano le pmi del Sud che operano nell’area. La misura infatti potrebbe rivelarsi un danno non soltanto per il regime dei Kim. Le aziende sudcoreane legate a Kaesong hanno chiesto sostegno al governo, che a sua volta ha garantito loro pieno appoggio. La decisione di Seul di chiudere il complesso industriale congiunto per sanzionare il regime nordcoreano rischia di rivelarsi un’arma a doppio taglio.
L’amministrazione della presidentessa Park Geun-hye ritiene che in questo modo priverà Pyongyang degli oltre 100 milioni di dollari l’anno che incassa dall’area aperta nel 2004 pochi chilometri a Nord della zona demilitarizzata tra le due Coree, in cui 124 piccole e medie imprese del Sud danno lavoro a 54mila nordcoreani. Secondo Seul, parte di quei proventi sono andati a finanziare il programma di armamento del regime e di conseguenza anche l’esperimento atomico dello scorso 6 gennaio e il lancio di un «satellite di osservazione terrestre» che si ritiene celi invece un test missilistico.
I nordcoreani hanno paragonato la chiusura del complesso industriale a una «dichiarazione di guerra», procedendo di conseguenza a rimpatriare tutti i sudcoreani e occupando l’area. Più che alla retorica belligerante le aziende guardano però agli affari e per loro la decisione di Seul si traduce in perdite. Quando nel 2013 gli impianti rimasero fermi per diversi mesi, allora per scelta dei nordcoreani, le stesse pmi denunciarono perdite per oltre 1.000 miliardi di won, pari a oltre 800 milioni di dollari. La stima del governo è inferiore di un terzo. Ma le aziende spiegano che nei loro calcoli sono comprese anche le spese legali e ed eventuali ricorsi dei clienti.
I parco industriale di Kaesong è stato a lungo il risultato più solido della politica di distensione tra le due Coree avviata tra la fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila, tanto da essere riuscito a passare indenne gli anni della presidenza del conservatore Lee Myung-bak, segnati dall’inabissamento della corvetta Cheonan nel marzo del 2010, per la quale Seul ha sempre accusato Pyongyang, e dal bombardamento sull’isola di Yeonpyeong, lungo il confine marittimo conteso, a novembre dello stesso anno.
Negli anni di amministrazione Park, le battute d’arresto sono invece già due. Ma d’altra parte, come sottolineato dall’esperta di relazione internazionali del Asia Orientale Rosella Ideo in un colloquio con China Files all’indomani del presunto test termonucleare di gennaio, la presidentessa sudcoreana, in realtà, non è mai andata oltre le parole per riallacciare i rapporti con il Nord.
Dello stesso parere è anche il coreanista Aidan Foster-Carter. In un articolo per NK News, poi ripreso anche dal Guardian, sostiene che oggi le relazioni intercoreane siano addirittura peggiori rispetto all’inizio del mandato di Park. Inoltre, se per molti nordcoreani impiegati a Kaesong la vicinanza quotidiana con i colleghi sudcoreani poteva essere un modo per intessere rapporti e aver un’apertura sul mondo, la chiusura sbarra anche quest’opportunità, colpendo un progetto che conterebbe soltanto per una piccola parte delle entrate del Nord.
In qualche modo, sottolinea lo studioso britannico, i sudcoreani stanno portando a termine quello che pare fosse uno degli obiettivi dell’ormai defunto Kim Jong Il, preoccupato che Kaesong potesse diventare una sorta di cavallo di Troia capace di destabilizzare il regime.
Di parere opposto è Marcus Noland del Peterson Institute for International Economics. Per lo studioso i proventi dal parco industriale stanno diventando sempre più importanti per la Corea del Nord, tanto più in un periodo nel quale, analizzando in profondità i dati sull’interscambio commerciale, emerge un avanzamento di quello con il Sud rispetto a quello con la Cina, principale partner di Pyongyang.
Andando ancora più nello specifico, Noland parla di un balzo del 20 per cento nel commercio su Kaesong. Inoltre tende a smontare la convinzione che i lavoratori nordcoreani abbiano avuto maggiori opportunità di contatto con i colleghi. Al contrario, come emerge da un documento dello Us Korea Institute, le autorità di Pyongyang fa di tutto per ridurre al minimo la possibilità che ciò avvenga.
La seconda chiusura nel giro di tre anni non lascia sperare bene. Fare previsioni è difficile, scrive Ruediger Frank, dell’università di Vienna, sul blog 38 North della Johns Hopkins University. Il precedente da tenere a mente è quanto accaduto alle visite turistiche sul monte Kumgang, interrotte nel 2008 dopo l’uccisione di una visitatrice sudcoreana. I tour non sono mai ripresi e Pyongyang si è rivolta anche in questo settore alla Cina e non più a Seul. Qualcosa del genere potrebbe ripetersi anche con le aree industriali, puntando su quelle più vicine alla Repubblica popolare: Sinuiju e Rason. Sempre che anche i legami con Pechino non vadano deteriorandosi.