Transizione produttiva, crescita in frenata, volatilità in borsa e ribassi dello yuan. Per affrontare le sfide dell’economia la Cina cambia la squadra al vertice e, soprattutto, mette mano alle autorità di controllo. La parola d’ordine è accentramento. Pertanto, si va verso una super-vigilanza. Stringere i denti, agire e non titubare davanti ai mercati. I consigli di Liu He agli enti di regolamentazione sono riassunti nella prefazione che il consigliere per gli affari economici e finanziari del presidente cinese Xi Jinping ha scritto per il volume «La vigilanza nel XXI secolo».
«Le authority devono saper guardare avanti», spiega l’alto funzionario, «non agire soltanto per risolvere problemi già sorti». Soprattutto, sottolinea l’uomo a capo del segretariato generale del Gruppo ristretto per gli affari economici, non possono soltanto mettere in guardia gli operatori sui rischi cui vanno incontro e affidarsi soltanto all’autoregolamentazione.
Gli sconquassi di inizio anno sulle piazze azionarie di Shanghai e Shenzhen hanno riportato l’attenzione sul ruolo degli enti di controllo. La breve esperienza del meccanismo automatico di sospensione delle contrattazioni pronto a scattare in caso di eccessi di ribasso ha messo sulla graticola la China Securities Regulatory Commission (Csrc), corrispettivo cinese della Consob italiana. Invece di fermare le perdite, le due volte nelle quali è entrato in funzione il circuit breaker ha avuto un effetto leva sui ribassi.
Le responsabilità rischiano di ricadere tutte sulla commissione di vigilanza, che di fatto ha ideato il meccanismo, e sul suo presidente, Xiao Gang, la cui poltrona è data sempre più in bilico. Ma in generale è il sistema degli enti di tutela che sembra destinato a una riforma complessiva.
Il piano prevede una vigilanza unificata, che riunisca gli organismi di controllo su mercati azionari, banche e assicurazioni. Il tutto, almeno secondo indiscrezioni, sotto il cappello della People’s bank of China. L’intero progetto sembra muoversi verso l’accentramento delle competenze, anche perché se c’è un aspetto che diversi osservatori tendono a sottolineare è proprio la carenza di comunicazione e coordinamento tra le diverse authority.
Venerdì 15 gennaio la borsa di Shanghai è scesa a livelli che non si vedevano da agosto. La scorsa settimana, per la prima volta dalle turbolenze della scorsa estate, è addirittura andata sotto la soglia psicologica dei 3.000 punti. Le sedute di inizio anno sono state contraddistinte da pesanti ribassi che sembrano rimandare alla crisi dei listini tra giugno e luglio. L’alta volatilità si intreccia ai ribassi sullo yuan. Secondo alcuni addetti ai lavori, il mix rischia questa volta di avere ripercussioni molto maggiori sui mercati globali.
Le turbolenze hanno quindi minato la fiducia sulla capacità della leadership cinese di gestire la situazione. Di recente, secondo quanto riportato sia da Reuters sia da Bloomberg, il governo ha deciso di istituire un ufficio che si occuperà esclusivamente di affare economici e finanziari. Il nuovo organismo costituirà un primo passo verso la supervigilanza.
Allo stesso tempo prende forma la promozione del sindaco di Chongqing, Huang Qifan, a segretario generale del Consiglio di Stato, l’esecutivo cinese. L’alto funzionario, uscito di fatto indenne dallo scandalo Bo Xilai, affiancherebbe in questo modo il primo ministro Li Keqiang e prenderebbe in mano i dossier economici.
Se non bastasse l’andamento altalenante delle borse, Pechino deve infatti fare i conti con una crescita in frenata e con la gestione della yuan. Per l’agenzia di rating Fitch i cinesi sono stretti tra la necessità di ridurre i tassi d’interesse come stimolo al rilancio dell’economia e allo stesso tempo arginare l’uscita di capitali alimentata proprio dai bassi tassi. L’ultima settimana è stata caratterizzata dai tentativi di stabilizzare il renminbi e in particolare dalla disparità di cambio tra mercato onshore e offschore.
Secondo fonti vicine alla banca centrale citate dal Wall Street Journal, la disparità dei cambi sarebbe parte di un piano che avrebbe come obiettivo quello di permettere allo yuan di deprezzarsi leggermente quest’anno consentendo comunque una certa volatilità per rendere più costose le speculazioni sulla moneta.
E in questo contesto che sta prendendo forma la riorganizzazione delle leve della politica che si occupano dei temi economici. Entrando nel campo della pechinologia, ossia lo studio delle dinamiche interne al potere cinese, c’è inoltre chi non esclude che lo stesso Li Keqiang sia a rischio.
Ne dà conto Bill Bishop, nella sua newsletter Sinocism. Il commentatore statunitense, a dire il vero, giudica improbabile un rimpiazzo del premier nel corso del XIX Congresso del Partito comunista in agenda nel 2017. Nota però che, agli operatori di mercato, potrebbe non dispiacere che al posto di Li salisse Wang Qishan, oggi a capo dell’anti-corruzione. Tuttavia, chiosa, fintantoché Xi continuerà a ribadire che il comando spetta alla politica e non ai mercati, tale soluzione appare lontana.
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