Tinder, l’India e la massima immortale del Piotta

In by Gabriele Battaglia

In questi giorni in India si fa un gran parlare dell’apertura del primo ufficio internazionale di Tinder – l’app di «incontri», con declinazioni libidinose che per i non esperti proveremo pudicamente a descrivere sotto – proprio a New Delhi. La delocalizzazione regionale di strateghi e sviluppatori esperti delle dinamiche indiane è senza dubbio giustificata dai segnali incontrovertibili mandati dal giovane mercato indiano a tre anni dal lancio ufficiale.Lo scorso settembre Tinder ha fatto sapere che, solo in India, il numero di «swipes» (il brutale gesto delle dita sullo schermo che decreta interesse o disinteresse per il potenziale «match» mostrato sullo smartphone) ha superato i 7,5 milioni. Al giorno.

A Tinder, e mai aggettivo fu più azzeccato, si dicono «eccitati» dalla nuova sfida rappresentata dal 50 per cento della popolazione indiana che attualmente ha meno di 25 anni: oltre 700 milioni di persone in piena tempesta ormonale che, come i loro coetanei del resto del mondo, non pensano ad altro che al biblico «giacere». E Tinder muore dalla voglia di continuare a far credere loro che «giacere» sia a uno «swipe» di distanza dal proprio telefonino.

Andando incontro al terrore del due di picche e all’ansia da prestazione pre-sessuale, l’applicazione Tinder offre un gelido sistema in formato album di figurine comodamente sfogliabile dal proprio smartphone. Ci si apre un profilo con foto e i soliti dettagli da social network e, grazie al miracolo degli algoritmi di Tinder incrociati con quelli di Facebook – al quale Tinder si può collegare – si entra immediatamente nella vetrina continua di giovani e meno giovani alla ricerca di «amicizie, appuntamenti o relazioni»: come pudicamente si promuove Tinder qui in India, pattinando graziosamente sull’understatement che il Piotta, immortale, descriveva come «voglia de scopà».

I calcoli di Tinder – incrociando località, interessi, amici in comune su Facebook e, soprattutto, percentuale di «swipe» positivi o negativi – fa man mano comparire sullo smartphone i profili di potenziali «amici, appuntamenti, relazioni», pemettendo all’utente di scorrere il proprio dito sullo smartphone a seconda dell’interesse: a destra sì, a sinistra no. La preferenza, a questo punto, rimane anonima, finchè – e qui inizia la magia – l’altro utente, ignaro, non abbia anch’egli o ella fatto lo «swipe» verso destra. Solo a quel punto si concretizza il «match», mettendo in contatto i due utenti che così potranno autonomamente iniziare a chattare e decidere cosa fare di questo «fortuito incontro» dovuto alla Provvidenza digitale.

Mentre discutevo con amici circa le implicazioni di Tinder in ambito indiano, un amico – non indiano – iscritto alla app ha specificato che, nel mondo, Tinder effettivamente viene utilizzato anche per intenti non necessariamente fisici. Alcuni cercano davvero solo amicizie o appuntamenti che non finiscono come almeno uno dei due aveva preventivato. Ma, ha ammesso l’amico, si tratta di una esigua minoranza: infinitesimale di fronte alla stragrande maggioranza degli utenti che, molto più prosaicamente e non meno sinceramente, pensano solo a rimorchiare.

Lasciando perdere l’analisi antropologica del rimorchio ai tempi di Tinder, preferiamo limitarci a rilevare il successo del fenomeno in paesi – e Tinder è presente in 196 paesi al mondo, con 26 milioni di «match» al giorno, globali – dove, al pari dell’India, l’ebbrezza del giudizio pre-sessuale via smartphone titilla la zona erogena più sensibile del corpo umano: il cervello. E, soprattutto – a differenza dell’India – dove il sesso casuale è più o meno accettato, grazie a un mix virtuoso di apertura mentale, condizioni socioeconomiche favorevoli – avere un posto privato dove poter portare a sacrosanto compimento il «match», ad esempio – e libertà dei costumi. Sempre tenendo bene a mente che dal «match» alla sigaretta post-coito le regole del gioco rimangono quelle del caro vecchio mondo analogico. O, come dice l’amico, «valgono le regole del bar».

L’intuizione di Tinder, che si sta preparando a declinare il servizio alle caratteristiche del mercato indiano, si poggia appunto su un’anomalia di mercato tutta locale: a fronte di una domanda genitale sconfinata, l’offerta di reali opportunità di incastro è sostanzialmente decimata dal persistente bigottismo dei cosiddetti «valori indiani». Ovvero: ogni indiano o indiana sotto i 25 anni – e buona parte di quelli sopra ma non troppo – muore dalla voglia del Piotta, ma la società e la rigidità dei costumi indiani opera un’indefessa manovra di coercizione, risultando in una immensa cintura di castità invisibile che vorrebbe idealmente costringere l’esplosione ormonale generazionale all’interno dei recinti della cosiddetta «decenza».

Tanto che, nonostante i milioni di «swipes», una serie di utenti indiani dimostra un certo fastidio nell’esperienza post-digitale dell’incontro col presunto «match» consigliato da Tinder. Come riportato da Scroll.in qualche tempo fa, una ragazza di New Delhi per alcuni mesi ha animato il blog 50 dates in Delhi, raccontando le esperienze tragicomiche degli incontri ravvicinati con giovani spasimanti delhesi (molti dei quali conosciuti su Tinder).

Allo stesso modo, alcuni utenti indiani (maschi) hanno confessato all’Huffington Post la propria delusione di fronte al non mantenimento della promessa implicita dello «swipe»: nonostante la spintarella di Tinder, «approfondire» la conoscenza con la controparte femminile indiana rimane una chimera. (E qui, interessante, si dà la colpa all’algoritmo che creerebbe «match» basandosi troppo sul coefficiente di preferenziabilità: più piaci, più ti faccio vedere possibili «match» che piacciono, con grande indignazione dell’esercito dei «belli dentro»).

Anche per questo, la nuova capa di Tinder India, Taru Kapoor, ha spiegato che la transizione di avvicinamento dell’app alle caratteristiche autoctone sarà fondamentale per intercettare con successo il mercato indiano. Probabilmente Tinder, in India, diventerà un surrogato dei più popolari siti per matrimoni combinati, integrando all’aspetto fisico tutte le variabili specifiche che determinano, in India, l’algoritmo del matrimonio perfetto: religione, titolo di studio, casta, posizione lavorativa, stipendio mensile etc.

Mantenendo però, ne siamo certi, il marchio di fabbrica della casa madre americana: far credere – e basta – che il sesso, all’epoca di Tinder, sia cosa buona e giusta, a portata di «swipe».

[Scritto per East online]