Tra la fine di fatto del pacifismo integralista sancito dalla costituzione postbellica e gli scandali industriali come quello di Toshiba dello scorso luglio, nel 2015 si è sentito sicuramente parlare di più di Giappone. E di certo non per qualche disastro naturale o, peggio, nucleare. Il desiderio di Shinzo Abe, primo ministro conservatore di Tokyo, di vedere il Giappone nuovamente protagonista nel mondo si è per certi versi realizzato. Di seguito proviamo a spiegare in pochi punti il perché il 2015 è stato un anno importante nella storia recente del paese e cosa potrà succedere nell’anno che verrà.
A settant’anni dalla Seconda guerra mondiale ritorna lo spettro della guerra
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“Il numero dei giapponesi che non sanno cosa sia la guerra aumenta di anno in anno. Eppure credo che per il bene del paese sia estremamente importante essere completamente coscienti della guerra e rendere più profondo il nostro pensiero”. Così ha parlato l’imperatore Akihito, l’uomo più riverito e rispettato del Giappone in occasione del suo 82esimo compleanno il 23 dicembre scorso.
Dalla guerra è bene partire in questo punto sull’anno appena trascorso, perché è proprio intorno a questa parola che è stata approvata la riforma politica più importante degli ultimi decenni di storia.
Settant’anni fa finiva la Seconda guerra mondiale, un episodio che in Giappone, come in Europa, ha un significato speciale: dalla distruzione dei bombardamenti alleati e delle bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki ha avuto inizio l’ascesa economica e politica di quella che oggi è la terza economia mondiale. Parte integrante di quello sviluppo senza precedenti era il pacifismo costituzionale, una rivoluzione voluta dagli Stati Uniti e abbracciata con entusiasmo dalla leadership politica giapponese del dopoguerra nonché da gran parte della popolazione.
L’obiettivo del provvedimento era riscattare in qualche modo la violenza dell’impero che tra gli anni ’30 e ’40 aveva cercato di unificare, con conseguenze tragiche, l’Asia orientale sotto il vessillo del Sol levante. E ben lo ricorda l’attuale imperatore, classe 1933, che ad aprile di quest’anno è volato a Palau, in pieno Pacifico, per ricordare i caduti giapponesi e americani nel conflitto. “Siamo qui — aveva detto nell’occasione il sovrano — per ricordare tutti coloro che hanno perso la vita durante la Seconda guerra mondiale e riflettere sulle sofferenze attraversate dai loro cari”.
Nonostante l’impegno anti-bellico dell’imperatore però, il 2015 sarà però ricordato per il ritorno dello spettro della guerra. Con le leggi volute dal governo conservatore guidato da Shinzo Abe e approvate lo scorso 19 settembre in un’aula parlamentare trasformatasi in un ring, le forze di autodifesa giapponesi potranno prendere parte a missioni militari internazionali, essere inviate all’estero per soccorrere cittadini giapponesi coinvolti in situazioni di crisi e avere un ruolo più attivo nella protezione di alleati in caso di attacco da forze terze. Una svolta che, combinata al rifiuto dell’attuale leadership politica di offrire nuove scuse per i crimini di guerra, è seguita con attenzione a Seul, ma soprattutto a Pechino.
Il pacifismo proattivo di Abe: tra lo sforzo anti-Isis, il contenimento della Cina e il sogno della riforma del consiglio di sicurezza Onu
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La notte del 31 gennaio 2015 qualcuno in Giappone deve aver fatto fatica a prendere sonno. Il gruppo dello Stato Islamico diffonde online un video in cui Kenji Goto, giornalista giapponese freelance entrato in Siria dalla Turchia per seguire la guerra civile nel paese e probabilmente catturato dai militanti a fine 2014, viene sgozzato da un uomo in nero.
Prima del 31 gennaio, le immagini dell’uccisione di un altro cittadino giapponese, Haruna Yukawa, un contractor militare dalla vicenda personale travagliata, catturato insieme a Goto in Siria, erano state diffuse in Rete, ma la sua vicenda non aveva attirato tanta attenzione quanta quella dedicata a Goto che, descritto dai media di tutto il mondo come un uomo coraggioso, disinteressato e dedicato al suo lavoro arriva ad incarnare il ruolo del martire della barbarie e dell’eroe.
Ad ogni modo, per il governo Abe non c’è dubbio: l’Isis, nonostante la distanza geografica dal Medio Oriente, è una minaccia anche per il Giappone. È l’inizio dell’escalation che ha portato a settembre alla revisione delle leggi di sicurezza. L’idea della leadership conservatrice è che la diplomazia degli aiuti — prima dell’emergenza degli ostaggi giapponesi in mano all’Isis Abe era andato in Medio Oriente e aveva promesso milioni di yen in aiuto ai paesi della regione impegnata ad arginare l’avanzata degli uomini del Califfato — non funzioni più come in passato. E che ci sia bisogno di un impegno più attivo, perché no, in armi.
Anche in Asia orientale è l’assertività cinese a preoccupare. Tanto che i vertici della Difesa del Sol Levante non escludono un impegno diretto nel Mar Cinese Meridionale dove le tensioni tra paesi affacciati sullo specchio di mare, Pechino e gli Usa sono all’ordine del giorno — indirettamente, infatti, Tokyo fornisce navi da pattuglia, cooperazione militare e aiuti finanziari a paesi come Filippine e Vietnam.
Oltre alle riforme istituzionali, le grandi corporation giapponesi che operano anche nel settore difesa — come Mitsubishi, Kawasaki, Hitachi e Toshiba — sono tornate protagoniste nelle fiere mondiali di armi e forniture militari.
Uno sforzo in più, in fondo, potrebbe premiare. E la posta in gioco è la riforma del consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, su cui Tokyo insiste da anni.
Il dilemma ‘abenomics’
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A dicembre 2012 quando divenne per la seconda volta primo ministro del Giappone, Shinzo Abe aveva promesso che avrebbe rilanciato l’economia del suo paese ferma ormai da vent’anni.
Governo e Banca centrale si mettono subito al lavoro per aumentare la liquidità in circolo nell’economia nazionale. Lo yen viene deprezzato e il governo approva un aumento di spesa in settori come la difesa e il welfare. Gli indici di borsa salgono e lo yen continua a scendere. Il turismo — con un boom di arrivi soprattutto dalla Cina — diventa uno dei settori di punta dell’economia del Sol Levante. La ricetta produce però risultati altalenanti con dati che, dopo il primo anno di crescita quasi costante, danno l’economia giapponese ora in recessione ora in lieve crescita.
Rimane poi il problema dell’enorme debito pubblico — a oltre il 200 per cento del Pil nazionale — che ha spinto il governo giapponese quest’autunno a mettere sul mercato il 40 per cento delle azioni delle Poste, primo datore di lavoro giapponese, in quella che è stata la più importante operazione borsistica dell’anno.
Abenomics funziona? “Dipende a chi lo si chiede”, titolava la Cnn a dicembre dello scorso anno.
Da un articolo pubblicato sul blog Alphaville del Financial Times nel 2014, appariva chiaro un dato: chi vince nel nuovo regime economico targato Abe sono le grandi corporation nipponiche che sono tornate a fare affari d’oro grazie all’export e sono tornate a investire all’estero. E che in un prossimo futuro potrebbero tornare a investire anche in patria e produrre nuova crescita. Anche in questo senso si possono leggere i progetti di taglio alle imposte aziendali e la riforma sul lavoro a tempo determinato approvata a settembre dal governo Abe, che ha eliminato per le aziende i vincoli di assumere a tempo indeterminato lavoratori assunti con contratti atipici.
Il caso Toshiba, esploso a luglio di quest’anno, ha però gettato ombre sul mondo delle grandi aziende nipponiche. Al centro dell’attenzione sono tornate le pratiche contabili e di governance. Per sei anni Toshiba aveva truccato i bilanci aziendali per un totale di oltre un miliardo di euro. Dopo l’annullamento dei precedenti vertici aziendali, ora il gruppo multinazionale degli elettrodomestici e dell’energia deve affrontare una ristrutturazione che prevede migliaia di licenziamenti in tutto il mondo nel tentativo di arginare il passivo di gestione e i debiti consolidati. Non è la prima volta che un grande gruppo giapponese finisce nell’occhio del ciclone per uno scandalo contabile: nel 2011 era toccato a Olympus, leader nel settore delle apparecchiature mediche e della fotografia, finita nei guai per trasferimenti sospetti a clan mafiosi. Queste pratiche sono sicuramente le più difficili da estirpare e a poco serviranno le “riforme strutturali” promesse da Abe.
2016, un anno di decisioni cruciali
Secondo il calendario cinese, in parte adottato anche in Giappone, il 2016 sarà l’anno della scimmia di fuoco. Nell’astrologia cinese, la scimmia è considerata un animale giocoso, astuto, sempre pronto a fare scherzi — che possono far ridere ma anche soffrire chi li subisce. L’energia del fuoco può dare impulso all’azione dell’animale, ma non sempre nel verso giusto: il risultato di una decisione impulsiva infatti può risultare a suo svantaggio.
Basandoci sull’astrologia, si può dire che il 2016 sarà un anno di decisioni di importanza cruciale che potrebbero però produrre risultati inaspettati e, forse, sfavorevoli a chi le prende.
Il primo ministro Shinzo Abe dovrà infatti dare continuità alle riforme economiche e fiscali, ma anche risolvere diversi nodi interni: in cima alla lista la politica energetica — con il ritorno al nucleare sempre più vicino, nell’anno del quinto anniversario da Fukushima — e la situazione di Okinawa, la provincia più meridionale e più povera del paese arcipelago alle prese con la difficile convivenza con le forze della marina militare Usa che occupano il 20 per cento del territorio provinciale. A questi si aggiungono i preparativi per le Olimpiadi del 2020, segnate in questo 2015 dagli scandali dei budget gonfiati, degli stadi impossibili e dei loghi plagiati.
L’obiettivo di Abe e del suo partito, il liberal-democratico, tornato al potere dopo uno iato di 3 anni dal 2009 al 2012, dopo una striscia di oltre 60 anni in carica, è riconfermare l’egemonia dei conservatori alle elezioni per la camera alta previste per l’estate 2016. Che vedranno una novità: la partecipazioni di elettori più giovani — potranno infatti partecipare anche i diciottenni — e più coinvolti. Se c’è una speranza per il 2016 quella è proprio il rinnovato coinvolgimento dei giapponesi, spesso descritti come passivi e politicamente disinteressati, nella vita politica del loro paese. Nel 2015, guidati da ventenni universitari, in decine di migliaia sono tornati in piazza per difendere il pacifismo e il nucleare zero.
In un periodo in cui la popolarità del governo è in discesa, complice il non raggiungimento di una ripresa economica stabile e delle forzature nell’approvazione delle leggi di sicurezza, potrebbe essere la società civile il vero ago della bilancia.
[Scritto per East online; foto credit: indianexpress.com]