Il Nepal, a oltre sei mesi dal terremoto dello scorso 25 aprile, dovrebbe essere alle prese con le operazioni di ricostruzione, prima che arrivi l’inverno. Invece deve fronteggiare un embargo non ufficiale dell’India causato dalle tensioni al confine: la benzina e le taniche di gas scarseggiano, colpendo duramente la vita quotidiana dei nepalesi.Come promesso mesi fa, a pochi giorni dal terremoto che ha scosso il Nepal lo scorso 25 aprile, avevo programmato questo viaggio fuori stagione nella speranza di poter vedere di persona il punto delle operazioni di ricostruzione, sbandierate ai quattro venti dalla stampa internazionale quando la polvere delle macerie era ancora alta e ora, a distanza di oltre cinque mesi, reinflilata nel cassetto della non notiziabilità.
L’imprevisto, per milioni di nepalesi alle prese con ricostruzione, festeggiamenti di Tihar (il corrispettivo nepalese di Diwali) e preparazione per la stagione invernale, è rappresentanto dall’embargo non ufficiale esteso dall’India alla giovane democrazia himalayana. Da oltre due mesi diverse dogane al confine meridionale sono bloccate da proteste della comunità madhesi, che vive a cavallo del confine col Bihar nella regione del Terai, in quello che sembra essere un braccio di ferro tra le autorità locali e le istituzioni nepalesi. Di questo ne parleremo meglio nei prossimi giorni, in questa miniserie di diari nepalesi. Per ora partiamo dall’inizio, partiamo da Pratip.
Secondo diversi conoscenti che avevo contattato prima della partenza, il traffico di Kathmandu aveva un che di leggendario: una città che si estende al centro di una valle, circondata da colline verdissime e rigogliose, dove il milione di abitanti (stima 2011, adesso possiamo dire ragionevolmente almeno 1 e mezzo, alcuni contando anche l’hinterland di Kathmandu spingono la stima a due milioni) del centro di smistamento per trekker, amanti della montagna e turisti new age, strombazzavano a più non posso per le arterie della città.
Il 12 novembre del 2015, a poche centinaia di metri dall’aeroporto, nel primo pomeriggio del secondo giorno di Tihar, per la strada principale verso Kathmandu le automobili private erano virtualmente inesistenti.
La speranza, segnando la differenza tra un viaggiatore che si crede esperto e le coppie della terza età con cui ho volato da New Delhi, era raggiungere la guesthouse vicino al centro utilizzando i mezzi pubblici, evitando l’esposizione all’assalto dei falchi accalappia turista e una contrattazione estenuante per una mezz’ora di tragitto.
Alla fermata dell’autobus locale, per quaranta minuti abbondanti, si sono susseguiti mezzi locali straripanti di umanità, dentro e sul tetto: se in condizioni normali in asia meridionale un bus può trasportare diciamo una cinquantina abbondante di persone (tra posti a sedere e in piedi), il sistema di trasporto pubblico di Kathmandu viaggiava intorno al centinaio di passeggeri, compreso chi (almeno due dozzine) si arrangiava infilandosi tra i bagagli sul tetto e chi si appendeva sulle scalette di metallo del retro.
Domando a un chioschetto sulla strada «ma è sempre così?». «No, a volte sono strapieni, a volte meno». Di volte meno, in un’ora, non se ne sono viste, e quindi accetto la sconfitta, sporgendo la testa dentro a un taxi.
Per portarmi a Kathmandu chiede 1500 rupie nepalesi (cambio: 1 euro 114 rupie), abbassate a 1200, contro le 60 dell’autobus. Alternative non ce ne sono, quindi salgo, pensando che le coppie della terza età, più esperte, avrebbero diviso lo stesso tragitto con altri.
Il tassista si chiama Pratip e per 1200 rupie non solo mi porta a destinazione, ma mi dà una prima infarinatura dell’umore che circola in cttà. Avrà una sessantina d’anni, fisico minuto e viso scavato dalle rughe, non parla inglese ma grazie all’hindi approssimativo che ci accomuna troviamo un modo di comunicare. Pratip ha fatto il camionista per 42 anni, molto orglgioso del suo All India Permit che gli ha dato la possibilità di viaggiare in tutto il paese: lusso che sottolinea iniziando ad elencare i nomi di tutti gli stati indiani, uno per uno. Ce ne sono 29, riesco a fermarlo più o meno a metà.
La figlia studia in India, a Chennai, un paese al quale tutti i nepalesi sono legati per questioni religiose, culturali e – recentemente – soprattutto pop. Nel pomeriggio seguente, avrei scoperto, la musica che esce dalle case del centro è in stragrande maggioranza recuperata dalle hit di Bollywood dello scorso anno, più le atroci hit house delle discoteche indiane.
Gli chiedo qual è la situazione della benzina, se arriva o non arriva, e dopo aver miracolosamente graziato una moto che stava per investire durante le operazioni di riverenza nei pressi di un tempio (guida senza mano, congiunte davanti alla fronte; piede destro decisamente non sul freno), Pratip mi spiega che «l’India non ci sta mandando più la benzina da quasi tre mesi» e che è costretto a rivolgersi al mercato nero: 600 rupie al litro, un’enormità (un té per strada costa 20 rupie, una birra 240).
Aggiunge che la Cina adesso ha iniziato a far arrivare qualche rifornimento (rompendo, aggiungo io mentalmente, il monopolio storico di cui l’India ha goduto in Nepal per il rifornimento di benzina e gas) e che comunque i nepalesi non si arrenderanno: «Come sempre, risolveremo i nostri problemi e saremo felici».
Troviamo la destinazione in una mezz’ora di corsa, senza mai incontrare una coda; per Kathmandu gira qualche camion, taxi, alcune moto: mi sembra irreale, considerando che è un giorno di festa e, soprattutto, arrivando dal periodo di Diwali passato nel caos infernale di New Delhi. Magari è sempre così, purtroppo è la prima volta che metto piede in Nepal e non ho termini di paragone.
Sicuramente il blocco indiano sta mettendo alle strette diverse strutture recettive della città: tutte le guesthouse intorno alla mia (non in supercentro) sotto il menù del ristorante incorporato esposto all’ingresso annunciano che in questi giorni non si serve cibo. «Ci costerebbe troppo e non possiamo cucinare con la legna» mi spiegano, aggiungendo che anche le bombole di gas per cucinare sono diventate merce rara appaltata al mercato nero, costringendo alla chiusura (si spera temporanea) centinaia di piccoli chioschetti e ristoranti a buon prezzo.
«L’altro giorno per fare il pieno al mio motorino ho speso 400 rupie al litro: ho preso una miscela illegale allungata, che costa meno» mi racconta il ragazzo alla reception della guesthouse.
«Trovare benzina sta diventando impossibile, sono gli indiani che ci hanno tagliato fuori. E lo fanno anche adesso, che stiamo per festeggiare Tihar senza gas per cucinare. E intanto loro festeggiano Diwali».
Il blocco, per cui la diplomazia indiana ha enormi responsabilità assieme a quella del governo nepalese in carica (lo vedremo meglio nei prossimi giorni, senza il rischio di scrivere ora imbecillità non comprovate), sembra percepito dalla popolazione locale come una misura anti-nepalese estesa dal vicino indiano. Per molti pare una questione di orgoglio nazionale e l’impressione è che l’India, comunque vada a finire questa storia, è destinata a pagare un prezzo altissimo in termini di politica estera qui in Nepal. Con la Cina che preme al confine, pronta a prendere il posto di New Delhi nella sfida alla modernizzazione del paese.
[Scrito per East online; foto credit: sputniknews.com]