Lunedì a New Delhi è cominciato il terzo India – Africa Summit Forum, una piattaforma sulla quale il governo Modi ha intenzione si spingere l’acceleratore in campo di investimenti e, soprattutto, di soft power. Gli affari legati all’Africa sono, in potenza, enormi, e Modi ha occasione di mostrare al mondo che l’India c’è. Almeno sulla carta, per ora. Dal 26 al 29 ottobre a New Delhi sono attesi almeno quaranta rappresentanti di altrettanti stati dell’Africa – che saranno alloggiati in una decina di hotel a cinque stelle della capitale – per animare un meeting di portata storica, almeno per le statistiche: mai prima d’ora un così alto numero di capi di stato africani ha presenziato insieme a un’iniziativa organizzata dall’India.
Si discuterà di come l’India – paese che si prevede crescerà intorno al 7,5 per cento il prossimo anno, «più della Cina», ci tengono ad affermare da queste parti – possa portare a nuovi livelli di interdipendenza le relazioni col continente africano, il secondo continente per popolazione e, in prospettiva, il primo per crescita demografica.
Al momento, New Delhi esalta una crescita costante dell’interscambio commerciale con l’Africa, che si è attestato lo scorso anno a 72 miliardi di dollari. Pochino: pochino, contando i 200 miliardi sull’asse sino-africana raggiunti nel 2013, ma con ottimismo si può guardare a numeri deludenti come si guarda ad occasioni ancora da sfruttare.
Nei vari articoli pubblicati alla vigilia dell’evento – in differenti tonalità di adesione alla propaganda indiana – si sottolineano gli intenti meno «estrattivi» di India Inc. nei confronti dell’Africa, segnando un’ideale distanza con l’atteggiamento cinese, che si è riversato sul territorio africano negli ultimi vent’anni deciso ad assicurarsi posizioni di primo pian negli affari energetici e delle materie prime.
Sull’Economic Times, ad esempio, si fa riferimento al potenziale che le piccole e medie imprese indiane posso sfruttare nei infilandosi nei buchi lasciati dai giganti cinesi, assieme a rapporti di mutuo vantaggio come l’invio di insegnanti indiani nelle zone più remote dell’Africa, così da costruire «ponti duraturi sfruttando il dividendo demografico».
Le affinità non finirebbero qui. Oltre alla crescita demografica, India e Africa sono accomunate da rapporti commerciali ancestrali, un aspetto che l’anno scorso lo stesso Modi – attraverso un’iniziativa del ministero della cultura – aveva esplorato col Mausam Project, sostanzialmente un’operazione di marketing culturale da contrapporre alla Nuova Via della Seta cinese (di cui avevo parlato diffusamente qui, in un’analisi sulla battaglia per il predominio dell’Oceano Indiano combattuta tra Cina e India). Inoltre, India e Africa, sommate, rappresentano oltre il 70 per cento della popolazione mondiale che vive al di sotto della soglia della povertà (dati 2011): una condizione comune che, secondo l’India, potrebbe essere combattuta con uno sviluppo altrettanto comune.
In attesa di vedere di cosa si parlerà, come e cosa si firmerà, non possiamo esimerci dall’analisi del meeting in chiave di soft power. La tre giorni di Delhi arriva infatti poche settimane prima del Sesto Forum di Cooperazione Sino-Africana, che si terrà a dicembre in Sudafrica. Non una coincidenza farlo prima a Delhi, per Modi, mostrando al mondo che l’India nella gara per il continente africano c’è e corre dietro alla Cina.
Contestualmente, magnificare i numeri della crescita dell’intescambio africano, da parte indiana, potrebbe celare delle verità non proprio evidenti.
Con molto acume, a The Wire notano che, secondo le stime della Indian Exim Bank, dal 1996 al 2015 l’India ha investito in Africa ben 52 miliardi di dollari. Motivo d’orgoglio per l’India e prova dell’ottimo stato di salute dei rapporti economici tra il subcontinente e l’Africa.Ma secondo le medesime statistiche, il 90 per cento degli investimenti diretti in Africa dall’India ha come destinazione le Isole Mauritius, un arcipelago da un milione e rotti di abitanti, arcinoto paradiso fiscale. E le stesse Mauritius, nel computo degli investimenti in entrata in India, sono al primo posto tra i paesi di origine dei fondi: oltre il 39 per cento del totale dei Foreign Direct Investment (Fdi) verso l’India tra il 2000 e il 2015, secondo i dati del ministero del commercio e dell’industria indiano.
Insomma, il dubbio che quei soldi facciano semplicemente il giro dalle Mauritius per tornare in India incentivati dagli sgravi riservati agli Fdi (un modo conveniente per far rientrare nel paese black money) rimane.
Ma nella caccia agli investimenti di Modi non è il caso di fare troppo gli schizzinosi.
[Scritto per East online; foto credit: ndtv.com]