Ritorno a Confucio

In by Simone

In Cina, accanto a un numero crescente di ricchi e super ricchi ci sono ancora milioni di persone in condizioni di estrema povertà. Nel vuoto ideologico e nello spaesamento esistenziale conseguenti all’esplosione liberista, che cosa si sta delineando in quel vastissimo paese? China Files vi regala un estratto dell’ultimo libro di Maurizio Scarpari Ritorno a Confucio. La Cina di oggi tra tradizione e mercato (per gentile concessione della casa editrice il Mulino).
Il presidente non ha perso occasione per rimarcare la necessità di rafforzare lo studio della cultura nazionale e dei classici confuciani. Per dare risalto al nuovo corso con un atto dal grande valore simbolico, nel novembre 2013, pochi giorni dopo aver presentato il programma di riforme al III Plenum del Comitato centrale del PCC, Xi Jinping si è recato in veste ufficiale a Qufu, nello Shandong, luogo natio di Confucio. Si è trattato di un avvenimento senza precedenti, con ricadute di non poco conto sul piano politico, di un messaggio esplicito inviato all’interno e all’esterno della Cina, che ha sancito in modo inequivocabile il cambiamento in atto.

Il graduale processo di confucianizzazione che sta coinvolgendo l’intera società e lo stesso Partito ha assunto proporzioni inimmaginabili fino a poco tempo fa e rappresenta la maggiore novità in ambito intellettuale di questo inizio di secolo. Non si tratta di favorire la restaurazione del passato, ma di promuovere un movimento nuovo che attinga a quanto di meglio la Cina è riuscita a produrre nella sua lunga storia, senza rinnegare i successi conseguiti negli ultimi decenni. Impresa non facile da realizzare, se si pensa che nel periodo maoista il confucianesimo era stato messo all’indice in quanto ideologia reazionaria e deviante, espressione del sistema feudale del passato.

La visita a Qufu, l’invito a rileggere le opere di Confucio per ritrovare il significato profondo del suo insegnamento, soprattutto nel campo dell’etica di governo e dello stile di vita virtuoso (chiaro riferimento al problema della corruzione dilagante che rischia di minare irreversibilmente la credibilità stessa del Partito e delle istituzioni), l’esortazione a divulgare le dottrine confuciane «che possono giocare un ruolo positivo nella costruzione della nuova era» e a far sì che «il passato sia messo a servizio del presente» sono segnali che vanno tutti verso un’unica direzione. Si è trattato di un endorsement a doppio binario, secondo la migliore tradizione: esaltare Confucio significa sì promuovere le dottrine del grande Maestro, ma al tempo stesso anche porsi sotto l’ombrello del suo prestigio e della sua autorevolezza, purché ciò avvenga nell’alveo indicato da Mao Zedong e da Deng Xiaoping.

Oggi è del tutto superata l’ambivalenza evidenziatasi all’inizio del 2011, quando un’imponente statua di Confucio venne collocata nel cortile del Museo nazionale a piazza Tian’anmen a Pechino, a pochi passi dal ritratto di Mao che sovrasta la porta d’ingresso alla Città proibita e dall’obelisco eretto in onore degli eroi della rivoluzione, simboli della storia recente: la statua venne rimossa nottetempo pochi mesi dopo, a causa delle polemiche scoppiate all’interno del gruppo dirigente, all’epoca non ancora compatto sulla linea da seguire. La visita a Qufu non potrà essere rimossa, è un evento che è avvenuto e che resterà nella memoria collettiva, rendendo quindi inutili polemiche e ripensamenti.

Non si è trattato di una visita di circostanza, dunque, ma di una missione politica a tutti gli effetti, nello stile degli antichi sovrani. Il primo a recarsi nello sperduto villaggio di Qufu per onorare Confucio fu il fondatore della dinastia Han occidentale (206 a.C.-9 d.C.), Gaozu, che poco prima di morire, nel 195 a.C., decise di rendere omaggio a Confucio nel luogo che gli aveva dato i natali. Vissuto secondo la tradizione tre secoli prima, nel II secolo a.C. Confucio era considerato un semidio dotato di facoltà sovrannaturali: avrebbe trasmesso ai suoi discepoli dottrine esoteriche e annunziato profezie che si sarebbero immancabilmente avverate.

Gaozu rese omaggio all’uomo e alla divinità, allo studioso e al Maestro di generazioni di discepoli, i cui insegnamenti sarebbero diventati ideologia di stato per i successivi due millenni. Nel piccolo tempio costruito accanto all’abitazione del Maestro, che certo non aveva l’imponenza dell’edificio attuale, Gaozu officiò una solenne cerimonia che diede inizio a una consuetudine rituale seguita dagli imperatori successivi fino al 1911.

Dal giorno della sua visita a Qufu Xi Jinping non ha perso occasione per esortare a studiare i classici della tradizione, incoraggiandone lo studio fin dalle scuole primarie. Almeno tre generazioni di cinesi sono cresciute senza venire a conoscenza del patrimonio culturale nazionale e delle opere confuciane. Per questo motivo, intervenendo all’Università Normale di Pechino nel settembre 2014, Xi Jinping ha richiamato l’attenzione sul rischio insito nella continua «desinizzazione» dei programmi di studio del sistema educativo cinese e ha sollecitato interventi correttivi immediati affinché il fenomeno venga arginato e la tendenza in atto invertita.

*Maurizio Scarpari ha insegnato Lingua cinese classica all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Tra i suoi libri recenti: «Il Confucianesimo. I fondamenti e i testi» (Einaudi, 2010) e «Mencio e l’arte di governo» (Marsilio, 2013); per il Mulino «Il Daoismo» (con A. Andreini, 2007); per le Grandi Opere Einaudi ha curato «La Cina» (2009-2013), sulla civiltà cinese dalle origini ai giorni nostri.