In Bangladesh sta succedendo qualcosa di assolutamente non chiaro, e sta succedendo da almeno un anno. Ora, con un inedito doppio omicidio a sfondo terroristico, vittime l’italiano Cesare Tavella e il giapponese Kunio Hoshi nel giro di tre giorni, siamo costretti a prendere in considerazione un’ipotesi fino ad ora inconcepibile per un paese storicamente laico e moderato come il Bangladesh. Oltre un anno fa, su questo blog, scrivevo del preoccupante incedere della deriva estremista in Bangladesh, con voci laiche e progressiste minacciate dalla violenza di gruppi terroristici locali, autoctoni.
Le sigle del terrorismo bangladeshi, a vario titolo vicine alla formazione politica islamista Jamaat e Islami, in concomitanza con l’apertura di una specie di processo di Norimberga per i crimini di guerra del 1971 (anno dell’indipendenza del Bangladesh dal Pakistan) avevano iniziato a condurre una guerra contro i moderati, uccidendo a colpi di machete professori e blogger laici.
Nell’ultimo anno, gli intellettuali colpiti da quelle che sembravano schegge impazzite del risentimento islamico nel paese si sono molitiplicati (quattro omicidi in sei mesi, per la precisione), instaurando nel paese un clima di insicurezza e paura al quale il governo dell’Awami League non ha saputo opporsi.
Prima di una settimana fa era opinione comune tra gli osservatori del Bangladesh che gli omicidi fossero di matrice locale, interni a un piano del terrore proprio delle dinamiche bangladeshi, con qualche rivendicazione altisonante di difficile conferma.
L’affiliazione dei terroristi bangladeshi – resta da capire se parte di un piano transnazinale o "spontanea", annunciata ex post per ampliare l’effetto propagandistico del terrore – solitamente gravitava attorno ad Al Qaeda, organizzazione dall’impatto residuale nel paese e, di questi tempi, mediaticamente schiacciata dallo strapotere – nell’immaginario collettivo mondiale – dell’Isis. Che, ricordo, agisce fisicamente molto molto lontano dal Bangladesh, interessando la Siria e zone limitrofe.
Per questi motivi mi sono sempre sentito di considerare il Bangladesh un paese complicato, difficile, ma non pericoloso per gli occidentali. Dalla scorsa settimana, però, qualcosa è cambiato.
L’omicidio dei due cooperanti stranieri, due episodi così ravvicinati nel tempo, è un assoluto elemento di novità nel panorama bangladeshi. La stampa internazionale ricorda che l’ultimo attentato ai danni di un occidentale risaliva al 2004, una vita fa, terroristicamente parlando.
Le morti di Tavella – ucciso da tre colpi di pistola nel quartiere di "lusso" di Gulshan, a Dhaka, dove vivono ricchi, occidentali e personale diplomatico – e di Hoshi – colpito sempre da colpi di pistola nella cittadina di Rangpur, molto a nord di Dhaka – sono state rivendicate da una presunta sigla affiliata all’Isis: questo dice l’agenzia privata d’intelligence Site, lasciando tutti noi a riprendere un’informazione "impossibile da verificare in modo indipendente". Quando e se fosse confermata (e per ora nessuno è riuscito a farlo), si tratterebbe del primo segnale concreto di una penetrazione dell’Isis nel paese.
La sequenza di omicidi sta mettendo sotto pressione il governo della premier Sheikh Hasina, a capo del quarto paese musulmano al mondo per popolazione, apparentemente incapace di garantire la sicurezza, ormai, non solo dei propri cittadini, ma anche degli stranieri.
Domenica la stessa premier ha fatto eco alle affermazioni del ministro degli Interni bangladeshi, eslcudendo l’ipotesi di presenza dell’Isis nel paese, incolpando ambienti terroristici vicini al partito d’opposizione che si sono attivati per destabilizzare il Bangladesh e adombrare i risultati raggiunti dall’Awami League. Un’affermazione che, al pari delle denunce di Site, rimane "impossibile da verificare in modo indipendente".
È chiaro che il governo di Dhaka abbia tutto l’interesse a scongiurare l’ipotesi di coinvolgimento del paese nel progetto del terrore di Isis, che se provato porterebbe con sé delle conseguenze incendiarie per la reputazione del Bangladesh e complicherebbe molto la situazione degli affari e dei rapporti coi paesi stranieri (i vicini e gli occidentali).
Ma è preoccupante che gli omicidi di Tavella e Hoshi – coi responsabil ancora a piede libero – siano arrivati pochi giorni dopo gli allarmi divulgati da alcune ambasciate occidentali che mettevano in guardia i concittadini sul rischio di attentati, di fatto mostrando l’enorme limite dell’esecutivo di Dhaka: un governo che da mesi non riesce a tenere sotto controllo la situazione interna e ora, con due vittime straniere nel giro di tre giorni, è sotto i riflettori di mezzo mondo.
L’ipotesi più verosimile, per chi scrive, è che anche questa volta i due omicidi siano stati rivendicati da qualcuno che dice di essere legato all’Isis esclusivamente per moltiplicare l’effetto terrorismo interno, e che le violenze (pur preoccupanti) in Bangladesh siano comunque strumentali a giochi tutti locali. Più che un’ipotesi si tratta di una speranza, poiché se così non fosse, saremmo di fronte all’espandersi concreto dell’Isis ben oltre i propri confini geografici, attecchendo in uno Stato ultrapopolato e instabile, con conseguenze difficilmente immaginabili per la stabilità dell’intera regione.
[Scritto per East online; foto credit: nation.com.pk]