Sarà la Cina e non il Giappone a costruire la prima linea ferroviaria ad alta velocità in Indonesia. La notizia è arrivata mercoledì scorso al termine di una competizione tra le due potenze economiche mondiali per estendere la propria influenza politica ed economica in Asia.La Repubblica popolare si è aggiudicata infatti un progetto da 4,5 miliardi di euro. Quella tra Giacarta e Bandung — uno dei progetti infrastrutturali più importanti della presidenza di Joko Widodo — non sarà in realtà una linea ad altissima velocità in stile shinkansen giapponese o gaotie cinese — con treni in grado di superare i 300 chilometri orari — ma una linea leggermente più lenta ed economicamente meno onerosa.
Il risultato della competizione asiatica sul treno ad alta velocità è però chiaro: vince la linea cinese — quella della “One belt, One road”, la nuova Via della Seta marittima del 21esimo secolo, che dovrebbe collegare Cina, Sudest asiatico e Africa— perde la giapponese — quella del “pacifismo proattivo”.
Secondo quanto riportato da Reuters, il governo indonesiano avrebbe scelto l’offerta cinese per la sua maggiore “audacia”: a differenza di Tokyo, Pechino non avrebbe chiesto nessuna garanzia governativa per il prestito offrendo un accordo maggiormente orientato all’intervento privato e al trasferimento di tecnologia.
A Tokyo la notizia è stata accolta con disappunto. Il portavoce del governo giapponese Yoshihide Suga ha commentato assai poco diplomaticamente: “Va contro ogni logica. Non credo avrà successo”.
La “sconfitta dello shinkansen”, come è stata ribattezzata dai media nazionali, è infatti un duro colpo alla strategia internazionale di Tokyo.
Oltre alle nuove leggi di sicurezza nazionale approvate lo scorso 19 settembre che sulla carta permettono alle forze militari giapponesi di intervenire con la forza lontano dal territorio nazionale, il governo conservatore di Shinzo Abe è impegnato in un tentativo di rilancio economico e geopolitico del paese-arcipelago. In questo sforzo rientra anche uno sfruttamento “strategico” degli aiuti pubblici allo sviluppo ai paesi emergenti. Prestiti infrastrutturali (per la costruzione di centrali elettriche, aeroporti, reti stradali e ferrovie), in primis.
L’obiettivo dichiarato da Tokyo è rivitalizzare l’economia nazionale sfruttando le opportunità offerta dal dinamismo dei paesi in via di sviluppo dell’Asia-Pacifico. Quello sottinteso, invece, è mettere in atto una forma di contenimento dell’influenza cinese nella regione e non solo. Ma le cose sembrano non andare propriamente secondo i piani della leadership nipponica.
Prima la nascita della Banca asiatica per gli investimenti e le infrastrutture — diretta competitor della Asian Development Bank, integrata nel sistema delle istituzioni finanziarie internazionali a guida americana e storicamente "feudo" giapponese — da cui il Giappone si è tenuto a distanza; poi la debacle sulla tav in uno dei paesi che dal dopoguerra a oggi più di tutti ha ricevuto aiuti economici da Tokyo.
Il quotidiano giapponese Mainichi Shimbun ha efficacemente riassunto con il titolo: “il Sol Levante delle infrastrutture si oscura”.
Certo, la qualità e la sicurezza delle ferrovie ad alta velocità made in Japan sono apprezzate in tutto il mondo: India e Thailandia ad esempio avranno nei prossimi anni ferrovie ad alta velocità giapponesi. Ma qualità e sicurezza non sono tutto. Per battere la concorrenza del tav made in China, la recente retorica giapponese sullo “sviluppo di qualità” potrebbe non bastare. Oggi, per tanti paesi che da decenni cercano di colmare il divario con il Nord del mondo è sempre più questione di avere “tutto e subito”.
[Scritto per East online; foto credit: qz.com]