Giappone – Hiroshima e la pace come concetto superato

In by Simone

Con l’entrata in vigore della riforma delle forze armate giapponesi, riprendiamo un reportage pubblicato da il manifesto firmato dal nostro Marco Zappa da Hiroshima. Nel 70esimo anniversario del bombardamento nucleare statunitense, in Giappone già si manifestava il superamento del concetto di pace.Un’ombra, impressa per sem­pre sulla pie­tra degli sca­lini d’ingresso della filiale locale della banca Sumi­tomo. È que­sto uno degli oggetti più rap­pre­sen­ta­tivi dell’esposizione per­ma­nente del Museo del memo­riale della Pace di Hiro­shima, Giap­pone sudoc­ci­den­tale, prima città su cui venne sgan­ciata una bomba ato­mica nella sto­ria dell’umanità, la memo­ria visi­bile di quanto acca­duto negli ultimi giorni della guerra del Pacifico.

Settant’anni. Tanti ne sono pas­sati dal 6 ago­sto 1945. Il Lit­tle Boy, que­sto il sopran­nome dell’ordigno che distrusse gran parte della città facendo oltre 150mila vit­time, in mag­gio­ranza civili. Circa 80mila di loro furono uccisi sul colpo. Scom­par­vero in un attimo, prima di poter ren­dersi conto di quanto stava suc­ce­dendo. Di quel giorno, Hiro­shima non porta molte tracce. La Gem­baku Dome è però ancora lì, esat­ta­mente come alle 8:15 del 6 ago­sto di settant’anni fa, non lon­tano dal vero obiet­tivo dell’Enola Gay, il ponte di Aioi, con la sua rico­no­sci­bile forma a T. Il suono basso di una cam­pana accom­pa­gna l’avvicinarsi dei mezzi pub­blici a que­sto luogo, oggi patri­mo­nio dell’umanità dell’Unesco.

Gran parte della strut­tura ori­gi­nale dell’edificio è ancora intatta. Le fine­stre vuote e la cupola di cui rimane solo la strut­tura por­tante di metallo danno all’edificio, prima della bomba un cen­tro di espo­si­zione indu­striale del governo della pro­vin­cia di Hiro­shima, un aspetto spet­trale. Secondo il sito di viaggi Tri­pad­vi­sor, è una delle mete turi­sti­che più popo­lari del paese arci­pe­lago. Qual­cuno lo inse­ri­sce poi tra le prin­ci­pali mete mon­diali del turi­smo nero, o turi­smo del lutto: dai campi di ster­mi­nio tra Ger­ma­nia e Polo­nia fino a Ground Zero a New York.

La stessa ora di Lit­tle Boy

Ogni 6 ago­sto a pochi metri dalla cupola, decine di migliaia di per­sone si riu­ni­scono a par­tire dalla prima mat­tina. Alle 8:15, lo stesso ora­rio in cui Lit­tle Boy venne sgan­ciato su Hiro­shima, si tiene un minuto di silen­zio per le vit­time di quella bomba. Intanto, in un bra­ciere al cen­tro del parco del memo­riale, una fiam­mella con­ti­nua a bru­ciare. Sarà spenta solo quando l’ultima arma nucleare sarà dismessa.

Il set­tan­te­simo anni­ver­sa­rio dello sgan­cio della bomba ato­mica su Hiro­shima seguito a distanza di una decina di giorni da quello della fine della guerra del Paci­fico arri­vano in un momento deli­cato per il futuro del paese arci­pe­lago. Da pochi giorni, la pro­po­sta di legge che amplia le capa­cità di inter­vento delle forze di auto­di­fesa giap­po­nesi all’estero è entrata nella Camera alta della Dieta nazio­nale, per un’ultima tor­nata di discus­sioni prima del voto par­la­men­tare. Il governo gui­dato da Shinzo Abe vuole tra­sfor­mare le pro­po­ste in legge entro fine set­tem­bre. Tali modi­fi­che andreb­bero a modi­fi­care il Trat­tato di sicu­rezza e mutua coo­pe­ra­zione con gli Stati Uniti, fir­mato in prima istanza nel 1960 e per­met­te­reb­bero al governo di aggi­rare l’articolo 9 della costi­tu­zione — che san­ci­sce la rinun­cia eterna del Giap­pone alla guerra — in caso di richie­ste di aiuto mili­tare da parte di paesi alleati e amici.

«I giap­po­nesi sono tra i popoli che più al mondo amano com­bat­tere» — spiega con una pro­vo­ca­zione Tatsuoki Hosono, regi­sta e docente del Japan Insti­tute of the Moving Image al mani­fe­sto. Hosono cita il periodo Sen­goku (1467–1603), un’epoca carat­te­riz­zata da con­ti­nue guerre inte­stine tra signori della guerra locali. «Ridare loro la pos­si­bi­lità di pren­dere le armi è una cosa irresponsabile».

Dalle asso­cia­zioni paci­fi­ste, alle asso­cia­zioni di madri dagli stu­denti di liceo a quelli delle uni­ver­sità, la società civile giap­po­nese vive un momento di intensa mobi­li­ta­zione. Mani­fe­sta­zioni e pro­te­ste si ten­gono a cadenza costante arri­vando in alcuni dei luo­ghi più vitali e fre­quen­tati della metro­poli, come le sta­zioni di Shi­n­juku, Shi­buya e Yura­ku­cho. In qual­che caso con­te­nute, in altri piut­to­sto ampie. Il giorno dell’approvazione delle nuove leggi di sicu­rezza in par­la­mento, lo scorso 15 luglio, oltre 20mila per­sone si sono radu­nate nelle strade intorno al par­la­mento per chie­dere le dimis­sioni del primo mini­stro Abe, accu­sato di igno­rare la costi­tu­zione e di met­tere a rischio le vite dei suoi concittadini.

La pace con­cetto superato

La pace sem­bra — almeno a livello della lea­der­ship nazio­nale — un con­cetto supe­rato. «I giap­po­nesi non con­ce­pi­scono più sovra­nità popo­lare, diritti umani e paci­fi­smo come pro­pri della loro men­ta­lità», ha scritto Takaya Muto, 33enne par­la­men­tare del par­tito attual­mente al governo sul pro­prio blog. Ma non a livello della società civile le cose sem­brano non stare pro­prio così. Qual­che giorno prima, Muto aveva attac­cato gli stu­denti che sono scesi in piazza per pro­te­stare con­tro le «leggi di guerra» del governo Abe.

Eppure non tutti la pen­sano così. «È posi­tivo — spiega Hosono — che anche gli stu­denti siano scesi in piazza». I più gio­vani, in par­ti­co­lare, sono cre­sciuti con le mani­fe­sta­zioni, in par­ti­co­lare quelle con­tro il nucleare par­tite all’indomani dell’incidente nucleare di Fuku­shima nel 2011.

Alle cele­bra­zioni di Hiro­shima ci sarà anche una rap­pre­sen­tanza dei SEALDs, il gruppo stu­den­te­sco ani­ma­tore nelle ultime set­ti­mane delle pro­te­ste con­tro le cosid­dette «leggi di guerra» di Abe davanti al par­la­mento di Tokyo. «Oggi è un giorno par­ti­co­lare per i giap­po­nesi. — spiega al mani­fe­sto uno dei rap­pre­sen­tanti del gruppo — Men­tre in que­sti giorni in par­la­mento si discute delle nuove leggi di sicu­rezza, cer­chiamo di far diven­tare settant’anni di pace un’eternità. Non vogliamo una nuova guerra». Lo scorso anno, il sin­daco di Hiro­shima Kazumi Matsui aveva usato parole simili per invi­tare i lea­der delle prin­ci­pali potenze mon­diali a visi­tare la sua città.

Dimen­ti­care Fukushima

Matsui non si era rivolto diret­ta­mente al pre­mier giap­po­nese, pre­sente alla ceri­mo­nia. Ma qual­cuno ci aveva letto un sot­tile ammo­ni­mento. «Se lo face­ste, capi­re­ste che le armi nucleari sono il male asso­luto la cui esi­stenza dovrebbe non essere più permessa».

Iro­ni­ca­mente, un giorno dopo l’anniversario della seconda bomba ato­mica ame­ri­cana su Naga­saki, uno dei due reat­tori della cen­trale nucleare di Satsuma Sen­dai, nell’isola sudoc­ci­den­tale del Kyu­shu, tor­nerà in ser­vi­zio dopo più di due anni di nucleare zero.

Come nel caso degli hiba­ku­sha, le per­sone espo­ste alle radia­zioni emesse dall’esplosione della bombe nucleari di Hiro­shima e Naga­saki, ogni anno sem­pre di meno — nel 2014 erano in circa 190mila — anche la memo­ria di quanto suc­cesso più di quat­tro anni fa a Fuku­shima rischia oggi di essere dimen­ti­cata. Il ten­ta­tivo di rilan­ciare l’economia, l’assegnazione delle Olim­piadi 2020 e le leggi di sicu­rezza hanno gra­dual­mente spo­stato l’attenzione dell’opinione pub­blica giap­po­nese verso temi diversi dalla situa­zione alla cen­trale nucleare numero uno di Fukushima.

«La memo­ria va costruita, non è qual­cosa che esi­ste a priori», spiega al mani­fe­sto Eiji Oguma, sto­rico e socio­logo dell’Università Keio di Tokyo. «Anche nel caso di Hiro­shima ci vol­lero quasi dieci anni prima che le imma­gini dell’esplosione nucleare potes­sero essere dif­fuse sulla stampa. Prima la cen­sura dell’occupazione ame­ri­cana lo aveva proi­bito». Il 5 ago­sto, Oguma ha pre­sen­tato al club dei cor­ri­spon­denti esteri di Tokyo il suo primo film «Tell the Prime Mini­ster» dedi­cato alle pro­te­ste no nuke par­tite nel 2011 in seguito all’incidente nucleare di Fuku­shima.

La pel­li­cola narra gli eventi seguiti all’incidente nucleare ven­gono rac­con­tati attra­verso la voce di otto per­so­naggi, di estra­zione e credo poli­tico diversi, dagli atti­vi­sti del col­let­tivo anti­nu­clea­ri­sta Metro­po­li­tan Coa­li­tion Against Nukes, all’ex primo mini­stro Naoto Kan. Anche nell’opera di Oguma, uno degli intel­let­tuali più attivi della sua gene­ra­zione, i temi di nucleare e guerra si intrec­ciano. Da poco è stato pub­bli­cato un libro che ricorda la vicenda del padre, Kenji, inviato a com­bat­tere in Sibe­ria e tor­nato vivo in patria. «In par­ti­co­lare in un periodo in cui la società giap­po­nese rimane fram­men­tata, la mia idea è costruire un con­senso sul futuro del paese, una visione di lungo periodo».

Per que­sto, biso­gna evi­tare che la memo­ria sto­rica di fatti lon­tani e recenti si assot­ti­gli. Pro­prio come l’ombra dell’uomo sugli sca­lini della banca Sumi­tomo di Hiroshima.

[Scritto per il manifesto; foto credit: ilmanifesto.info]