Il musicista e compositore indiano, di fede musulmana, A.R. Rahman, la scorsa settimana è stato oggetto delle proteste della Raza Academy, un gruppo musulmano sunnita con sede a Mumbai, che ha lamentato la partecipazione della star indiana alla realizzazione del film Muhammad: The Messenger of God, diretto dal regista iraniano Majid Majidi, sulla vita del Profeta Maometto. Un film blasfemo, secondo la Raza Academy, che dovrebbe essere bandito in India e per il quale Rahman dovrebbe scusarsi. La risposta di Rahman è un capolavoro da inserire nella serie "raccontare gli altri musulmani".
La pellicola, costata oltre 40 milioni di dollari e sovvenzionata, tra gli altri, anche dal governo di Teheran, si preannuncia un blockbuster mondiale, con alcune recensioni molto positive, come quella del Guardian. Sta già facendo il giro dei festival cinematografici e dovrebbe essere il primo episodio di una trilogia che il regista iraniano – regista di Children of Heaven, primo film iraniano candidato agli Oscar del 1998 per miglior film straniero, vinto poi da La Vita è Bella di Benigni – dedicherà alla vita del Profeta. Prima di Majidi, solo il regista statunitense di origini siriane Moustapha Akkad aveva trattato la storia del Profeta in un lungometraggio con The Message, anno 1976.
Secondo quanto anticipato dalla stampa, pare che il film di Majidi comprenda riprese delle mani e dei piedi di Maometto, oltre che una ripresa completa, seppur di spalle. Per diverse organizzazioni islamiche – si erano già sollevate proteste in Arabia Saudita ed Egitto, ad esempio – e per i dotti della Raza Academy, trattasi di blasfemia.
Mohammed Saeed Noori, fondatore e segretario della Raza Acadaemy, in un comunicato divulgato alla stampa e indirizzato all’ambasciata iraniana a New Delhi e al Ministero degli Interni, ha sottolineato che il nome del Profeta non doveva apparire nel titolo e, soprattutto, «nell’Islam la fotografia è proibita e abbiamo un problema con diversi attori che interpretano Maometto [nel film]». In realtà non vì è una posizione unitaria all’interno dell’Islam sulla questione delle arti figurative, che è stata diversamente interpretata dalle varie scuole nel corso del tempo (se qualche esperto di Islam che passasse da questo blog volesse approfondire nei commenti la questione, è più che benvenuto).
Nel caso del Profeta, Majidi ha cercato di evitare l’accusa di blasfemia avvalendosi della collaborazione di Vittorio Storaro, mostro sacro della fotografia cinamatografica, che con giochi di ombre sarebbe riuscito a celare per tutto il film il volto di Maometto.
Noori ha invitato Rahman a pentirsi e a rileggersi le Kalma, insieme di precetti per "il buon musulmano" tratte dagli Hadith, raccolte dei detti del Profeta, giustificando la presa di posizione della Raza Academy con l’obbligo, per un buon musulmano, di intervenire a tutela della sacralità di Maometto (e della sua immagine) per arrivare senza peccato al Giorno del Giudizio.
Rahman, che raramente rilascia dichiarazioni di carattere personale, utilizzando i media e i social network per promuovere esclusivamente i suoi lavori, questa volta ha fatto un’eccezione, con un post ad hoc sulla sua pagina Facebook.
La lettera di Rahman è pregevole per diversi motivi. Innanzitutto, nel ribattere alle accuse di blasfemia, non si limita a ricordare la libertà d’espressione che vige in India – in riferimento alla richiesta di censura della pellicola, sulla quale non si ha alcuna notizia – ma difende la propria scelta di partecipare alla realizzazione del film mettendosi, educatamente, in aperto contrasto con le posizioni ultraortodosse di Raza Academy e altri, riaffermando la propria fede religiosa. Secondo Rahman, contribuire al film di Majidi è un’azione che non contravviene ad alcun precetto per un fedele dell’Islam. Anzi, sarebbe stato un peccato di fronte ad Allah rifiutare. Un passaggio della risposta di Rahman, particolarmente significativo, sta facendo il giro dei media indiani. Questo:
Cosa potrei rispondere se, quando e se avrò la fortuna di trovarmi di fronte ad Allah nel Giorno del Giudizio, Lui mi dicesse: ‘Ti ho dato fede, talento, soldi, fama e salute…perché non hai composto musica per il film sul mio amato Maometto (che la Pace sia con Lui)? Un film che intende unire l’umanità, fare chiarezza sui pregiudizi e diffondere il mio messaggio che la vita è gentilezza, che parla di confortare e aiutare i poveri, vivere al servizio dell’umanità e non uccidere senza pietà innocenti nel mio nome’.
Rahman, che è un musulmano convertito (nato Dileep Kumar, hindu fino all’età di 23 anni), riesce in questo modo a sfilarsi da una morsa pericolosa: evita di spostare il discorso sulla libertà di espressione dando l’impressione che sia incompatibile con qualsiasi fede religiosa e, contemporaneamente, difende il diritto di essere laici e musulmani, tagliando le gambe ai gruppi estremisti hindu che già lo invitavano a "tornare a casa", a riconvertirsi alla fede induista.
La risposta di Rahman viaggia intorno alle cinquemila condivisioni su Facebook ed è stata ripresa dalla stragrande maggioranza dei media internazionali. A stretto giro, un gruppo di intellettuali e accademici indiani – di diversa appartenenza religiosa – ha pubblicato una lettera aperta in solidarietà a Rahman, contro diktat e minacce alla libertà d’espressione provenienti da ogni Credo (e proprio in questi giorni passa terribilmente sotto silenzio, in India, il centesimo anniversario della nascita del pittore indiano M.F. Husain, morto in esilio volontario per scappare dalle minacce di morte degli estremisti hindu).
[Scritto per East Online; foto credit: npr.org]