Il presidente cinese comincia a Seattle una visita ufficiale di sei giorni negli Usa, dove incontrerà Obama, ma anche imprenditori, rappresentanti della diaspora cinese e la vecchia volpe Henry Kissinger. Le due superpotenze così diverse e così costrette a convivere si prendono le misure. Ecco quali sono i principali temi sul tavolo.
Il giorno dell’arrivo in Usa del presidente Xi Jinping, il Wall Street Journal pubblica una sua intervista. È la prima volta che il presidente parla del crollo delle borse e di tutto quello che ne è conseguito con un media straniero. Secondo il presidente l’intervento dello stato sui mercati era necessario e la Cina proseguirà la strada intrapresa per l’internazionalizzazione dello yuan. Nel frattempo i media di stato cinesi sperano che le negoziazioni per un trattato bilaterale di investimenti (Bit) vadano in porto per salvaguardare investimenti all’estero e manifatturiero. Le due più grandi potenze economiche sanno che per il momento non possono fare a meno l’una dell’altra.
Xi Jinping rimarrà in Usa fino al 28 settembre. Nei sei giorni della sua visita di Stato, il presidente cinese sarà nell’ordine a Seattle, Washington e New York. Starà per due giorni in compagnia di Obama (24-25 settembre), in un summit al vertice che si dovrebbe concludere con un conferenza stampa congiunta alla Casa Bianca. Prima ci saranno Bill Gates e l’immortale Henry Kissinger. Al seguito del presidente i più importanti imprenditori nel campo dell’innovazione e figure di spicco del suo entourage politico: Jack Ma di Alibaba, Ma Huateng (Tencent), Yang Yuanqing (Lenovo) ma anche Lu Wei (il cosiddetto zar dell’internet cinese) e l’ex ministro degli esteri Yang Jiechi.
Molti i temi su cui c’è disaccordo: dal cyberspionaggio al protezionismo economico, passando per le tensioni nei mari che circondano la Cina, per la campagna anticorruzione e i diritti umani. Sul piano geopolitico, immagini satellitari di fonte Usa hanno rivelato la settimana scorsa che Pechino starebbe costruendo una terza pista di decollo/atterraggio nelle Isole Spratly. Secondo gli esperti, queste strutture servono alla Cina per rompere la morsa degli Stati Uniti nel Mar Cinese Meridionale, considerato fondamentale per gli approvvigionamenti energetici e la sicurezza. Pechino ritiene quell’area “mare nostrum”, ma Washington si sente "in dovere di proteggere" gli stati nazione che si affacciano su quell’area. A gennaio, ci saranno poi le elezioni presidenziali a Taiwan e il Partito democratico progressivo, favorevole all’indipendenza anche formale dalla Cina, è dato per vincente. Quale sarà la posizione degli Stati Uniti?
Ma al di là delle questioni politiche non è un caso che la visita di stato inizi a Seattle. In questi anni di assenza Google ha perso terreno nei suoi servizi chiave (motore di ricerca e streaming video) rispetto alle cinesi Tencent, Baidu, Alibaba, diventate nel frattempo giganti nazionali grazie anche alla censura nei confronti di potenziali competitor stranieri. Questi ultimi però non possono rinunciare a un mercato di oltre 650 milioni di internauti, c’è quindi ancora margine per fare affari.
L’economia è infatti il tema più appassionante per entrambi i contendenti. Mentre il presidente cinese cercherà di tranquillizzare la controparte sul rallentamento dell’economia del proprio Paese, tornerà sicuramente sul piatto la questione del Trattato Bilaterale di Investimento (BIT), che dovrebbe aprire le due economie ai capitali della controparte in misura maggiore di oggi. A giugno, dopo un incontro tra delegazioni, i cinesi avevano comunicato che al trattato sarebbe stata data massima priorità durante la visita di Xi e annunci significativi potrebbero quindi aggiungere pepe al summit.
C’è poi da valutare eventuali passi avanti sull’ambiente, dopo lo storico accordo al summit Apec del novembre 2014, quando sia Cina sia Usa si impegnarono a ridurre il proprio impatto con numeri e scadenze. Nei giorni scorsi, a seguito di un vertice tenutosi a Los Angeles, Pechino e altre dieci città cinesi hanno accettato di raggiungere il picco delle proprie emissioni di gas serra già nel 2020 – un decennio prima del target precedente – mentre Seattle, una dozzina di altre aree metropolitane Usa e l’intero Stato della California si impegnano a diventare “carbon neutral” entro il 2050, con tagli dell’80 per cento sulle proprie emissioni. Eventuali, ulteriori novità diffonderebbero ottimismo in vista della conferenza ONU sul clima prevista per novembre, a Parigi.
Restano le diffidenze reciproche, acuite dall’ultimo caso di attacco informatico ai danni di Apple, con il malware XcodeGhost che ha “bucato” lo Store online della Mela. Quello dei malevoli hackers e del cyberspionaggio è proprio uno dei problemi sul tavolo, con aspetti sia politici sia commerciali. Nei giorni scorsi, il consigliere per la sicurezza nazionale Usa, Susan Rice, e il capo della sicurezza cinese, Meng Jianzhu, si sono incontrati per disinnescare proprio questo tema. Secondo la stampa cinese, Meng avrebbe dichiarato che la Cina punirà chiunque, agendo dall’interno dei suoi confini, rubi segreti commerciali e attui cyberattacchi, ma è probabile che il “consenso” tra i due Paesi, sbandierato dai media di Pechino, sia più che altro un atto formale per stemperare gli animi.
Infine il tema dei diritti umani che, curiosamente, si interseca con la campagna anticorruzione lanciata da Xi Jinping fin dall’inizio del suo mandato. Come di consueto, gruppi di attivisti e dissidenti cinesi riparati negli Usa hanno esortato Obama a sollevare il problema della progressiva riduzione dei diritti civili in corso oltre Muraglia, ma il tema è scivoloso perché Pechino non ha mai accettato di farsi impartire lezioni dal Paese di Guantanamo e delle “guerre umanitarie”. Da parte sua, la Cina insiste con Washington affinché rispedisca al mittente i funzionari corrotti che sono sbarcati in terra Usa con famiglie al seguito e portafoglio gonfio, ma non esiste un trattato di estradizione tra i due Paesi; né lo si intravede all’orizzonte, proprio a causa delle “diverse opinioni” sul tema dei diritti umani.