Il mercato editoriale cinese è il più grande del mondo. Le previsioni per il 2015 sono di circa 15 miliardi di euro di incassi, con una crescita del 10 per cento anno su anno. Nel 2012 in Cina sono stati comprati i diritti di più di 16mila titoli stranieri, il 60 per cento in più rispetto al 2004. Ma cosa leggono i cinesi?
Nella Repubblica popolare la cultura è in primo luogo al servizio del Partito comunista e della sua priorità: rimanere al governo del paese più popoloso del mondo. Perciò nei giornali, sul web e nei saggi bisogna evitare otto argomenti: democrazia, separazione dei poteri, ritratti degli alti funzionari di partito e dei loro familiari, autodeterminazione dei popoli e, su tutto, le tre t: Tibet, Taiwan e Tiananmen. Al di là delle questioni politiche “sensibili”, l’altro argomento tabù è il sesso insieme a tutto ciò che, secondo il partito, minaccia la “moralità” dei suoi cittadini.
Nei film e nelle serie tv, per esempio, non sono ammesse storie di una notte o scambi di coppia, e una protagonista non può innamorarsi di più di un uomo. Inoltre, “per preservare l’integrità storica”, non è possibile viaggiare nel tempo. I prodotti culturali, oggi più che mai, devono fornire l’esempio del cittadino modello, sempre fedele alla sua epoca e felicemente sposato. Sono gli stessi editori e le case di produzione a chiedere modifiche sui testi che potrebbero offendere la sensibilità del partito. Altrimenti, rischiano multe salate e il ritiro dal commercio dei prodotti incriminati con danni economici sostanziosi. Nei casi più gravi possono perdere da un giorno all’altro la licenza editoriale.
Il meccanismo ormai è così radicato nella mente dei cinesi che sono gli stessi autori ad autocensurarsi. E poiché i confini tra il lecito e l’illecito non sono stabiliti con chiarezza dalle autorità competenti, ne escono prodotti timidi che evitano di toccare temi “sensibili” e che quindi perdono in potenza e credibilità. Il governo, dal canto suo, è convinto che la censura aiuti l’opinione pubblica a orientarsi correttamente e favorisca la stabilità politica e sociale del paese. E, se possibile, sta monitorando ancora di più i prodotti culturali rispetto a qualche anno fa.
Un mercato così ricco come quello cinese ovviamente fa gola anche agli autori stranieri. Un recente rapporto del Pen, il centro per la libertà di espressione con sede a New York, ha indagato le implicazioni che può avere per gli autori stranieri l’accesso al mercato editoriale cinese. Al di là delle scelte personali, c’è un dilemma intellettuale che emerge da ognuna delle interviste contenute nel rapporto: se si rifiuta la censura, si nega ai lettori cinesi l’opportunità di leggere qualcosa di diverso da quello a cui sono abituati; ma, accettando i tagli, non si rischia di confermare la versione distorta del partito?