Giappone – Caos yakuza: la Yamaguchi-gumi si divide

In by Gabriele Battaglia

La Yamaguchi-gumi, la più grande e ricca associazione di criminalità organizzata del Giappone — con oltre 23mila affiliati e ricavi annuali da oltre 70 miliardi di euro, si è scissa. Nel weekend, durante una riunione di capi clan nel centro di Kobe, città portuale del Giappone occidentale, è stata ufficializzata la formazione di una nuova organizzazione criminale. Decine di fotografi hanno atteso l’arrivo delle automobili su cui viaggiavano i boss, mentre un cordone di polizia deviava il traffico e sorvegliava l’accesso alla via dove si è tenuto l’incontro.

La formazione, che dovrebbe contare tra i duemila e i tremila affiliati si chiamerà Kobe Yamaguchi-gumi, ma a dispetto del nome, omaggio alla città dove l’organizzazione nacque nel 1915, avrà sede nell’isola di Awajishima, nella prefettura di Hyogo, Giappone centro-occidentale. Sarà guidata da Kunio Inoue e Osamu Teraoka, rispettivamente boss della Yamaken-gumi e della Kyoyu-kai, due dei clan “scissionisti”.

Il 28 agosto scorso, giornali e tv giapponesi hanno dato notizia di una “rottura delle relazioni” (zetsuen) e “scomunica” (hamon) della Yamaguchi-gumi contro 13 gruppi affiliati. Secondo le rivelazioni della stampa locale, i gruppi ribelli avrebbero contestato alcune decisioni del boss supremo Shinobu Tsukasa, 73 anni, diventato sesto kumicho (il termine giapponese usato per chiamare i “boss”) nel 2005.

Originario di Nagoya, Giappone centrale, e affiliato al clan Kodo-kai, un altro dei 70 clan affiliati alla Yamaguchi-gumi, Tsukasa avrebbe suscitato le ire di molti dei leader dei clan affiliati alla Yamaguchi-gumi nominando alcuni dei suoi uomini più fedeli in posizioni di rilievo nell’organizzazione. Tsukasa avrebbe inoltre espresso l’intenzione di spostare la sede dell’organizzazione proprio nella sua città natale ridisegnando gli equilibri geografici interni al gruppo, una scelta che, di fatto, non è piaciuta ai clan del Kansai — la regione del Giappone occidentale dove si trovano Osaka, terza città del Paese-arcipelago, e la stessa Kobe.

A ciò si aggiungono questioni economiche. In un articolo pubblicato dal mensile Wedge, Atsushi Mizoguchi, giornalista ed esperto di criminalità organizzata giapponese, spiega che le tensioni interne alla Yamaguchi-gumi sarebbero frutto anche delle pressioni esercitate sui clan affiliati per il pagamento delle quote di associazione e dei contributi per le spese del quartier generale — acqua e beni di prima necessità — o per i regali al boss in occasione di feste e celebrazioni. Tutti soldi esentasse che entrano nelle casse dei quartieri generali e riducono la liquidità dei clan affiliati.

Le storiche rivalità interne all’organizzazione sono così tornate a galla. E ora la polizia è in stato di massima allerta.

Subito dopo la notizia della “scomunica” dei clan ribelli, la polizia giapponese ha aumentato gli sforzi per garantire “la sicurezza e l’incolumità” dei cittadini e per “l’eliminazione del crimine organizzato”. Il pericolo è, secondo le autorità, che si ripeta quanto successo nel 1984, anno in cui si registrò un altra scissione interna al gruppo, quando oltre 25 persone persero la vita e altre 70 rimasero ferite a causa di una guerra tra clan.

Alcuni osservatori tra cui lo stesso Mizoguchi, danno quest’eventualità come altamente probabile. Altri, invece, fanno notare che un nuovo ricorso alla violenza potrebbe ritorcersi contro gli stessi interessi delle associazioni mafiose. L’attuale legge contro il crimine organizzato del 1991 individua — ma non dichiara illegali — i boryoku-dan (letteralmente “gruppi violenti”) e interviene a sanzionare alcuni crimini come l’estorsione, l’intimidazione o la frode. Come sottolineava lo studioso Andrew Rankin in un suo articolo del 2012, indirizzi e numeri di telefono delle sedi dei clan sono a disposizione del pubblico, gli affiliati esibiscono normali biglietti da visita e gossip sul mondo della malavita sono all’ordine del giorno nei rotocalchi giapponesi.

In caso di guerra tra bande, però, la morsa sul crimine organizzato avviata nel 2009 dall’Agenzia nazionale di polizia con l’arresto di alcuni dei più importanti boss del paese potrebbe stringersi ulteriormente. Potrebbe essere la fine dello stato di semi-legalità di cui i clan hanno goduto nel dopoguerra e che ha permesso loro non solo di arricchirsi grazie al racket, al traffico di droga e di essere umani; ma anche di stringere rapporti con la politica e l’imprenditoria. 

[Scritto per il Fatto quotidiano online; foto credit: guardian.com]