Critiche non troppo velate del presidente a una delle due fucine che producono la leadership cinese, la Lega dei Giovani Comunisti. Le interpretazioni si sprecano: da un ridimensionamento del premier Li Keqiang a un’opzione per il futuro, quando le due "caste" che governano la Cina torneranno a sfidarsi per il potere. O tutto insieme. Il presidente cinese Xi Jinping ha pubblicamente criticato i membri della Lega dei Giovani Comunisti invitandoli a essere meno “aristocratici” e più “alla mano”. L’ha fatto a luglio, durante un convegno in cui ha anche esortato i funzionari del sindacato unico cinese ad avere più contatti con “la base”, ma i media di Pechino ne hanno dato notizia solo nei giorni scorsi.
Da che pulpito, verrebbe da dire, visto che proprio lui, Xi, è un “principino”, espressione cioè della corrente dei taizidang, i figli della “nobiltà rossa”, quegli “immortali” che costituivano la cerchia stretta di Mao Zedong. Xi Zhongxun, il padre dell’attuale presidente, fu infatti un leader della prima generazione, protagonista della transizione dal Partito guerrigliero al Partito di governo, anche se in carriera ebbe molti alti e bassi e fu perseguitato durante la Rivoluzione Culturale.
Ebbene, la Lega dei Giovani Comunisti (qingnian tuan) e i principini sono proprio le due grandi fucine che producono la leadership cinese, spesso in competizione tra loro.
Sono “tuanpai” il predecessore di Xi, Hu Jintao, così come l’attuale premier Li Keqiang – il numero due della gerarchia – e dato che nell’establishment cinese le parole non sono mai pronunciate a caso, le osservazioni di Xi possono essere lette sia come giudizio storico verso il passato recente, sia come ridimensionamento di Li – che per altro è il responsabile dell’economia, ultimamente singhiozzante – e addirittura come una possibile opzione sul futuro, nelle eterne lotte di potere che si svolgono dietro le quinte del Partito.
Si è parlato spesso di Xi Jinping come di un accentratore, un novello decisionista alla Mao, certo è che il presidente è impegnato fin dal suo insediamento in una ciclopica opera di trasformazione della Cina da economia basata su export ed investimenti – la famosa “fabbrica del mondo” – a sistema avanzato, dove contano soprattutto i consumi interni e le produzioni ad alto valore aggiunto, che incorporano un alto tasso di innovazione.
Per compiere la transizione – come se manovrasse un Tir che fa inversione a U in una strada di campagna – Xi deve dare un colpetto di acceleratore per poi inserire la retromarcia, sterzare un pochino e tenere soprattutto gli occhi ben aperti. Deve in primis far piazza pulita di buche e sassi che impediscono la manovra, cioè di tutte quelle forze che per conservare le proprie posizioni di rendita si oppongono alle riforme. Ed ecco la campagna anticorruzione.
Anche le ultime dichiarazioni contro la Lega dei Giovani Comunisti potrebbero rientrare in questa strategia: l’attacco a Hu Jintao si spiegherebbe quindi come liberazione dai lacci e lacciuoli del passato, per agire in sempre maggiore autonomia.
Ma come interpretare invece la critica a Li Keqiang, il premier di oggi, il braccio destro? Nelle ultime settimane, di fronte al rallentamento dell’economia reale e ai trambusti borsistici, Li ha più volte professato ottimismo e ascritto le difficoltà al quadro macroeconomico internazionale.
Tuttavia, sono circolate voci di una sua messa sulla graticola come vittima sacrificale per spiegare ai cinesi la polverizzazione dei propri risparmi e le difficoltà a trovare lavoro. Nulla, al momento, lascia intendere una sua rimozione, ma l’ipotesi non deve essere comunque esclusa a priori. Oppure, le parole di Xi potrebbero essere un semplice monito verso il numero due.
Un’altra interpretazione è che il presidente stia preparando il terreno per il rimpasto della leadership previsto per il 2017, dopo il primo quinquennio della sua presidenza. Durante quello che sarà il 19° congresso del Partito comunista, cinque degli attuali sette membri del Comitato Permanente del Politburo (la stanza dei bottoni che governa la Cina) andranno in pensione: tutti, tranne Xi e Li.
L’ipotesi, in questo caso, è che il presidente stia facendo fuori, preventivamente, eventuali candidature provenienti dai “tuanpai”: “Molti dei funzionari della Lega dei Giovani Comunisti sono inadatti ad appoggiare Xi nel programma di riforme”, ha detto a Bloomberg Zhang Ming, docente di scienze politiche dell’Università del Popolo di Pechino. “I funzionari conservano il proprio posto di lavoro e guadagnano promozioni evitando accuratamente di commettere errori, non portando cambiamenti o servendo gli interessi collettivi. A Xi, questo non piace”.
A fine 2014, i membri della Lega erano circa 90 milioni. I “tuanpai” pagano una quota annuale e devono avere meno di 28 anni, anche se non vi è alcun limite di età per i funzionari di alto livello. Li Keqiang, il premier, fu il segretario generale dell’organizzazione tra il 1993 e il 1998.