Tra crescita ed eguaglianza, la Cina si interroga sul suo futuro. Bisogna aumentare il volume della torta – come è successo finora – o fare fette più eguali? Pechino sembra ritenere che una cosa non escluda l’altra e punta sull’efficienza per soddisfare tutti. Con il 7 per cento, la crescita economica della Cina avrebbe superato le aspettative nel secondo trimestre dell’anno, ma aumentano le preoccupazioni che l’esigenza di raggiungere obiettivi fissati numericamente non faccia che aggravare il divario tra ricchi e poveri. Se ne parla in un dibattito sul Quotidiano del Popolo, dopo che nel fine settimana il vice ministro delle finanze, Zhu Guangyao, ha detto che il PIL della Cina raggiungerà 100mila miliardi di yuan (16.110 miliardi dollari) entro il 2020, portando il PIL pro capite a 10mila dollari, in sostanziale crescita dai 7.485 del 2014.
Anche un tasso più lento di crescita nei prossimi cinque anni – il 6,8 per cento – consentirebbe seocno Zhu di raddoppiare le dimensioni dell’economia entro il 2020, rispetto al 2010. Insomma, le autorità intravedono l’obiettivo di una xiaokang shehui, società moderatamente prospera.
Ding Yifan, vice direttore di un think tank legato al Consiglio di Stato (governo) cinese, aggiunge che gli obiettivi economici dei piani quinquennali sono di solito inferiori ai livelli di crescita che poi si verificano realmente.
“Per esempio – dice al Global Times – l’11esimo piano quinquennale (2006-10) fissò l’obiettivo di crescita annuale del PIL al 7,5 per cento e il 12esimo (2011-15) lo ha collocato al 7 per cento, ma i tassi di crescita reale nei due periodi hanno in genere superato gli obiettivi”.
Da tenere d’occhio in futuro c’è un parametro: la Produttività Totale dei Fattori (PTF) che, secondo il vice ministro Zhu diventa oggi fondamentale per lo sviluppo economico cinese.
Il PTF misura l’efficienza degli input utilizzati in economia, cioè quanto “rende” un determinato investimento. È un fattore di solito associato al progresso tecnologico.
Ma lo stesso Zhu ha anche fatto riferimento a un recente rapporto del Fondo Monetario Internazionale, secondo cui la crescita del PTF in Cina sta rallentando, con tassi annuali che cadono dal 5-6 per cento nel periodo 2002-07 al 2-3 per cento del 2008-2013.
Nel rapporto, il FMI dice anche che se la Cina spinge con decisione il proprio programma di riforme e innovazione, le crescita del PTF potrebbe attestarsi tra il 4 e il 5 per cento nei prossimi cinque anni.
Ma i numeri, non sono tutto. Il timore è infatti che, senza misure di redistribuzione del reddito, a beneficiare della crescita saranno i soliti noti e la diseguaglianza, già esplosa esponenzialmente ngli ultimi vent’anni, non farà che aumentare.
Nel 2014, l’indice Gini della Cina – il coefficiente numerico che misura la diseguaglianza globale – ha raggiunto 0.469 (l’uguaglianza perfetta è “0”, mentre la diseguaglianza perfetta – una sola persona che possiede tutte le risorse della nazione – è “1”). Il Quotidiano del Popolo si affretta a specificare che è il risultato di sei anni consecutivi di calo ma, sempre che si voglia credere ai numeri ufficiali cinesi, ammette anche che si è ancora lontani da quello 0.4 “in linea con gli standard internazionali”.
Il problema è quello della torta: da un lato chi ritiene che si debba sfornarla sempre più grande perché così, di conseguenza, tutti ne avranno una fetta maggiore; dall’altro, chi sospetta che la torta sempre più grande non faccia che acuire lo svantaggio relativo di chi si aggiudica la fetta più piccola e vorrebbe concentrarsi invece su una più equilibrata redistribuzione.
Sintetizzando, in Cina si comincia oggi a considerare la seconda ipotesi senza voler comunque rinunciare alla prima. Per mantenere una crescita sostenuta e più uguale (cioè una più larga base per i consumi domestici e meno tensioni sociali), la Cina punta sulla trasformazione del proprio modello produttivo.
Yu Pingkang, capo analista di Huatai Securities, ritiene che il governo deve fare di più affinché il divario non continui a crescere e identifica quali sono i punti chiave: “Le autorità dovrebbero accelerare misure di ridistribuzione della ricchezza come i tagli salariali per i dirigenti delle imprese statali e la riforma del sistema pensionistico del Paese, per consentire alla società di godere dei benefici dello sviluppo economico in maniera più eguale”, ha detto Yu. Insomma, meno privilegi e più welfare. L’anno scorso, Wei Shangjin, capo economista della Asian Development Bank, ha sostenuto che circa il 30 per cento dei cinesi (1,35 miliardi in tutto), continua a vivere sotto la soglia di povertà. Tenuto conto delle implicazioni per la stabilità sociale, è pensabile che nei prossimi anni il governo metta mano alla matassa che è parecchio ingarbugliata. I passaggi fondamentali sono già più o meno chiari: pensioni, sanità, riforma delle imprese di Stato e del mercato finanziario, innovazione tecnologica. Il “come” è tutto un altro discorso.