Giappone – Verso il sì alla riforma dell’esercito di Abe

In by Simone

La Camera bassa del par­la­mento ha appro­vato il 16 luglio scorso alcune misure in tema di sicu­rezza che espan­de­ranno il ruolo dell’esercito giap­po­nese all’estero in nome del diritto all’esercizio dell’autodifesa col­let­tiva. Per il primo mini­stro giap­po­nese Shinzo Abe sono misure «neces­sa­rie» per pre­ve­nire conflitti.Le misure dovranno pas­sare al secondo ramo del par­la­mento ed essere con­ver­tite in legge. Il pre­mier Abe ha già una dead­line: il 27 set­tem­bre, quando si chiu­derà la ses­sione par­la­men­tare cor­rente. Il voto par­la­men­tare è stato carat­te­riz­zato da ten­sioni e pro­te­ste. Le pro­po­ste di legge del governo sono state votate in un’aula par­la­men­tare semivuota.

Cin­que par­titi dell’opposizione — tra cui il par­tito demo­cra­tico, il prin­ci­pale par­tito d’opposizione, e il par­tito comu­ni­sta — hanno diser­tato il voto in segno di pro­te­sta. Il giorno prima era scop­piata una bagarre tra par­la­men­tari di oppo­si­zione e mag­gio­ranza riu­niti in una com­mis­sione parlamen­tare ristretta per esa­mi­nare il testo da sot­to­porre il giorno dopo in seduta ple­na­ria. Almeno 100mila per­sone — oltre 20 mila solo a Tokyo — erano scese in piazza in tutto il Giap­pone per pro­te­stare con­tro le poli­ti­che del governo Abe e con­tro le sue «leggi di guerra».

Nel det­ta­glio, le pro­po­ste di legge appro­vate dalla camera bassa vanno ad ampliare la capa­cità di azione dell’esercito giap­po­nese — le forze di auto­di­fesa nazio­nali — in caso di con­flitto. I mili­tari giap­po­nesi potranno essere coin­volti atti­va­mente nella difesa di navi mili­tari di paesi alleati in caso di attacco in una zona di mare vicina al Giap­pone e nel sup­porto logi­stico a ope­ra­zioni mili­tari con­dotte da paesi alleati lon­tano dal ter­ri­to­rio giapponese.

L’intento è dare all’esercito più libertà di movi­mento nella regione dell’Asia-Pacifico in fun­zione di con­te­ni­mento della Cina ed esten­dere la coo­pe­ra­zione mili­tare con gli Usa al Medio Oriente. Abe si avvi­cina così alla rea­liz­za­zione del suo pro­gramma teso a «nor­ma­liz­zare» il Giap­pone dal punto di vista mili­tare. Un piano che vede il favore degli Stati uniti che da anni richie­dono al prin­ci­pale alleato in Asia orien­tale di assu­mere un ruolo più attivo in campo inter­na­zio­nale, ma che fa a pezzi l’articolo 9 della costi­tu­zione post­bel­lica giap­po­nese che san­ci­sce la rinun­cia eterna alla guerra come metodo di solu­zione delle controversie.

«Legal­mente, poli­ti­ca­mente ed eco­no­mi­ca­mente è una poli­tica idiota. È fuori discus­sione dal punto di vista legale che si tratta di una vio­la­zione dell’articolo 9 dato che pre­ve­de­rebbe il dispac­cio all’estero delle forze di auto­di­fesa», aveva detto a metà giu­gno in con­fe­renza stampa Setsu Koba­ya­shi, pro­fes­sore eme­rito all’università Keio di Tokyo, giu­ri­sta e tra gli stu­diosi più cri­tici nei con­fronti di Abe.

Un anno fa, a luglio 2014, l’amministrazione Abe aveva offerto una nuova inter­pre­ta­zione del det­tato costi­tu­zio­nale che rico­no­sceva il diritto del Giap­pone a usare la forza in nome dell’autodifesa col­let­tiva. A stretto giro dal voto di gio­vedì, par­lando da Washing­ton, dove si tro­vava per incon­trare il gene­rale Mar­tin Demp­sey, capo di stato mag­giore Usa, l’ammiraglio Katsu­to­shi Kawano, capo delle Forze di auto­di­fesa, ha dichia­rato che non è escluso, in caso di entrata in vigore delle nuove leggi, che la marina giap­po­nese possa con­durre ope­ra­zione di pat­tu­glia e sor­ve­glianza nelle acque del Mar cinese meri­dio­nale, oggetto di una con­tesa plu­ri­de­cen­nale che coin­volge Cina, Tai­wan, Viet­nam e Filippine.

A ini­zio giu­gno era stato invece lo stesso Abe a dare per pos­si­bile il coin­vol­gi­mento dei mili­tari giap­po­nesi con fun­zioni di sup­porto logi­stico in caso di con­flitto in Medio Oriente o sull’Oceano indiano. Abe non aveva escluso che i mili­tari giap­po­nesi potes­sero ricor­rere in via ecce­zio­nale all’uso della forza nell’ipotesi di ope­ra­zioni di smi­na­mento nell’area dello stretto di Hor­muz, tra Emi­rati Arabi Uniti e Iran.

Lo stretto non sarebbe solo una zona cru­ciale in un pos­si­bile con­flitto tra Usa e Iran, ma è peral­tro uno snodo fon­da­men­tale per il traf­fico di petro­lio verso il Giap­pone, quarto impor­ta­tore di greg­gio al mondo dopo Usa, Cina e India.

[Scritto per il manifesto; foto credit: scmp.com]