Novanta milioni di gnomi che prendono soldi a prestito per giocare in borsa. Il fuggi fuggi dei piccoli azionisti e il meccanismo del marginal lending spiegherebbero l’estrema volatilità dei mercati azionari cinesi: l’amplificazione del boom e dello sboom. “Investo da circa vent’anni, sei meravigliato? Ho messo da parte l’equivalente di un appartamento a Pechino. “Vedi, la mia vita è andata su e giù come un indice di borsa”, dice la donna indicando sullo smartphone quello della borsa di Shanghai, con cui si collega in tempo reale. “Su e giù un pochino, senza troppo dolore, di cosa dovrei avere paura? È come la mia vita, uguale”.
La Germania ha 80 milioni di abitanti, il Partito comunista cinese 88 milioni di iscritti, ma le borse di Shanghai e Shenzhen hanno 90 milioni di conti individuali di intermediazione, cioè di piccoli azionisti, per il secondo mercato azionario più grande del mondo (dopo quello Usa), in termini di volume di scambi annuo: 14mila miliardi di dollari totalizzano Shanghai, Shenzhen e Hong Kong congiuntamente (27mila in totale per Wall Street e il Nasdaq), cioè oltre il doppio rispetto alla terza classificata, Tokyo. Queste caratteristiche così particolari, così come recenti cambiamenti nel mondo del risparmio cinese, spiegano l’estrema volatilità a cui assistiamo in questi giorni: crescita record fino al 12 giugno, crollo del 26 per cento nell’ultimo mese; ma il mercato azionario rimane a un più 83 per cento rispetto allo scorso anno.
Gli “gnomi” (d’ora in poi chiameremo così gli investitori “retail”, quelli piccoli) si sono riversati nel mercato azionario soprattutto sul finire del 2014 – spiega un esperto finanziario internazionale che gradisce l’anonimato – “spinti dalla contrazione del mercato immobiliare e dai bassi tassi di interesse perché, in un contesto di rallentamento dell’economia, la People Bank of China ha avviato nello scorso novembre un ciclo espansivo. Questo ha affollato un mercato già abbastanza affollato, spingendo le quotazioni al rialzo”.
Insomma, per compiere la sua transizione verso un’economia evoluta, Pechino sta varando da circa un anno misure per contenere la bolla immobiliare, il buco nero dove vanno a finire i risparmi dei cinesi, e per porre sotto controllo il settore finanziario informale: una galassia di società che approfittano degli spazi lasciati scoperti dalla regolamentazione per eseguire fuori bilancio operazioni altrimenti non consentite, come per esempio l’emissione diretta di debito da parte delle municipalità. È un circolo vizioso, che si alimenta anche della credenza diffusa secondo cui, nel comparto finanziario, tutte le attività sono coperte da garanzia sovrana. Anche se l’investimento è sconclusionato, il governo comunque ti salverà.
Ebbene, con una serie di misure lungo l’arco di dodici mesi, le autorità economiche del Paese hanno lasciato intendere che la pacchia è finita.
Dato che però l’economia non può rallentare troppo, il governo cerca anche di facilitare il credito sperando che vada in altri settori più innovativi del mattone, impresa complicata dal legame tra Partito e sistema economico (le così dette “porte girevoli”), che spinge le banche a fornire risorse quasi esclusivamente alle imprese di Stato.
La conferma dei tentativi di spostare risorse verso le borse arriva da due economisti della New York University, Stephen G. Cecchetti e Kermit L. Schoenholtz, secondo cui diversi fattori – sia interni sia esterni – hanno determinato il boom del mercato azionario cinese a cavallo tra 2014 e 2015.
Sul piano interno “ci sono le recenti riforme finanziarie, soprattutto gli sforzi del governo per limitare le garanzie implicite per le banche ombra. Vi è il perdurante calo dei valori immobiliari residenziali”, che rende meno vantaggioso investire lì, “e poi c’è lo stimolo monetario sotto forma di tassi di interesse più bassi. Tutti questi fattori spingono in su i valori azionari”. Esternamente, c’è un interesse sempre maggiore degli investitori stranieri: “La bassa correlazione con quelli di altri Paesi, rende il mercato azionario cinese un’interessante opportunità di diversificazione”.
“Del resto, il governo, finché ha potuto, ci ha marciato sopra”, spiega l’esperto finanziario (d’ora in poi, Mr X). “Lo sviluppo del mercato azionario tiene buoni i risparmiatori, facendo crescere il valore dei loro risparmi anche in fase di rallentamento dell’economia e di correzione dei prezzi immobiliari”. L’agenzia Nuova Cina ha gioiosamente scritto di “sogno cinese che si avvera per milioni di risparmiatori”.
Le imprese private trovano invece in borsa una forma di finanziamento più economica e soprattutto disponibile. “Per molte di loro, il credito bancario è merce rara, visto che finisce quasi interamente alle grandi imprese di Stato (SOE). E per le stesse SOE, rappresenta la possibilità di lasciar fare al mercato quello che il governo non riesce per ora a fare, cioè riportare il loro costo di finanziamento in linea con le valutazioni di efficienza economica, rompendo il connubio tra banche di Stato e SOE”, aggiunge Mr X. “In generale, in un sistema banco-centrico come quello cinese, l’idea di disintermediare il credito e riportarne una quota sui mercati è tendenzialmente buona. È quello che si cercherebbe di fare anche in Europa”.
“Vedi, da noi bisogna stare attenti alla politica, ai segnali che arrivano da lì”, dice la nostra gnoma e, colto il messaggio, lei e gli altri si sono messi a prendere soldi in prestito per investire in borsa invece che nell’immobiliare.
Sì, perché un’altra caratteristica del mercato azionario cinese è che l’alto numero di investitori “non informati” (appunto, piccoli gnomi al limite del gioco d’azzardo) ricorrono spesso al cosiddetto marginal lending, cioè, in soldoni, ai prestiti per investire.
“Da maggio 2014 a maggio 2015, il margin credit è passato da 400 miliardi di RMB (3,1 per cento della capitalizzazione di mercato di Shanghai) a 2.100 miliardi (6,7 per cento di capitalizzazione)”, spiegano Cecchetti e Schoenholtz. “I brokers forniscono prestiti margine ai clienti che desiderano aumentare il proprio patrimonio netto di esposizione al di là di ciò che i propri risparmi e altri investimenti consentirebbero. Tuttavia, poiché questi prestiti sono in genere garantiti dal pacchetto azionario del cliente, i broker hanno di solito facoltà di sequestrare e vendere questa garanzia quando il calo dei valori azionari mette il rimborso del prestito a rischio. Tali vendite d’emergenza possono amplificare il crollo del mercato, così come gli acquisti a credito hanno amplificato il boom”.
Ecco la volatilità del mercato cinese. Ecco il rischio bolla.
Che cosa abbia scatenato le vendite non è chiaro. In presenza del rallentamento dell’economia, lo sviluppo degli ultimi 9 mesi era chiaramente slegato dai fondamentali e che ci sarebbe stata una correzione al ribasso era chiaro a quasi tutti.
Per alcuni analisti, la contrazione dei mercati arriva sull’onda lunga del rallentamento dell’economia, superiore a quanto immaginato in partenza, e anche per via della graduale liberalizzazione dei tassi di interesse sui depositi bancari da parte del governo, alternativa più sicura della borsa per molte famiglie. Nessuno si era però mai sbilanciato a fissare una data o una quota di mercato per l’inizio della discesa, né a ipotizzarne i numeri. Il calo appare oggi simile a un crollo perché, in un mercato pompato in alto dalla parte più volatile e volubile degli investitori (gli gnomi), i margin lenders (creditori margine) hanno cominciato a vendere pacchetti azionari per garantirsi dalle perdite.
“Secondo me, questo spiega abbastanza bene la rapidità della caduta in confronto alla salita, che pure è stata parecchio rapida”, dice oggi Mr X.
Nell’anno trascorso fino al 12 giugno, quando i prezzi delle azioni ha raggiunto il picco, i valori sono saliti alle stelle, in aumento di oltre il 150 per cento. Ma, nelle ultime settimane, il crollo ha spazzato via circa 2miliardi di dollari di capitalizzazione di mercato. Tuttavia, i valori azionari rimangono a circa il doppio del livello di un anno fa. Questa straordinaria volatilità si è verificata nonostante gli sforzi dei politici cinesi per stabilizzare il mercato (ultimo tentativo, obbligare investitori istituzionali foraggiati dal credito di Stato a comprare azioni).
In Cina, un nuovo ceto medio finanziario si va sostituendo, forse, a quello tradizionale, nato dall’accesso alla proprietà immobiliare durante gli anni Novanta. O meglio: questo è la continuazione di quello. Ma gli gnomi sono volubili e poi leggono i segnali della politica a modo loro, non del governo. Eterogenesi dei fini.
[Scritto per Linkiesta]