Mentre indaga sulla strana vicenda che gli è capitata, l’anziano lavoratore protagonista del racconto di Han Song ripercorre vecchie immagini della sua vita e della storia cinese. Alla fine decide di tornare a casa, ma senza prendere l’ultimo treno. Le puntate precedenti: [1] – [2] – [3]
Pensò alle esercitazioni antiaeree degli anni ‘60.
C’era il presentimento che la guerra fosse sul punto di esplodere e che la città potesse essere annientata da una bomba atomica, ma non ne era spaventato, anzi era in preda all’eccitazione: tutti parlavano di guerra come se si preparassero ad una grande festa, tutti avevano qualcosa da fare. Molti sarebbero morti, ma molti altri avrebbero continuato a vivere facendo sprofondare nell’oceano gli invasori.
Contrariamente al presente, a quel tempo le famiglie non avevano proprietà da cui fosse troppo difficile separarsi. Quella volta la sua unica preoccupazione era stata di avere delle figlie ancora piccole.
La guerra era davvero qualcosa che la loro generazione avrebbe dovuto sperimentare; anche se non era scoppiata, quelle esercitazioni lo avevano influenzato profondamente.
Quando suonavano le sirene dell’allarme antiaereo, tutti uscivano ordinatamente di casa e si radunavano davanti al rifugio, poi una porta di ferro si apriva – proprio come l’entrata della metropolitana – e la gente entrava in fila. Alcuni capi del Comitato Rivoluzionario reggevano fiaccole e torce, seguiti da centinaia di ombre tremolanti.
Persino i membri delle famiglie restavano in silenzio, e i bambini si tenevano stretti per mano agli adulti. Di tanto in tanto chi era in testa gridava, “attenzione a destra”, oppure, “attenti a sinistra”. Aveva sentito dire che proseguendo lungo quel rifugio era possibile raggiungere le pendici di una montagna lontana, là si trovava un’altra uscita: era come se quel luogo rappresentasse per lui un altro mondo.
A quel tempo, un comunicato aveva informato che un criminale controrivoluzionario era evaso, giunto in città e che forse si nascondeva proprio in quel rifugio antiaereo.
Gruppi armati di cittadini avevano organizzato diverse spedizioni, ma non l’avevano trovato. Se i bambini erano impazienti di trovare il fuggitivo, gli adulti, spaventati, cercavano di tenerli a bada.
In quel periodo sognava spesso di trovarsi di fronte all’entrata di quel tunnel oscuro; come se potesse vedere la propria immagine riflessa allo specchio, o come se fosse lì di guardia, per evitare che gli orfani vi corressero dentro.
Da quando avevano terminato i lavori quel tunnel non sembrava più l’opera dei suoi costruttori; lo stesso valeva per la metropolitana.
Suonò l’orologio, erano le cinque di pomeriggio. Tra chiacchiere e risate, i più giovani si allontanarono dal posto di lavoro prima del tempo.
D’inverno in ufficio faceva buio molto presto: nonostante fosse riscaldato, faceva pensare a un buco ghiacciato. Non aveva acceso la luce, se ne stava con la guancia poggiata sul palmo e i gomiti sulla scrivania, una sagoma rannicchiata che sprofondava pian piano nell’ombra e assomigliava a un feto pronto per essere conservato.
Restò in questo modo fino alle sei, poi sentendo il bisogno di mangiare, si preparò degli spaghetti istantanei. Temporeggiò ancora, fino alle sette, l’orario d’inizio del turno di notte; solo allora il suo umore poco per volta migliorò.
Il suo lavoro consisteva nel compilare moduli che avevano un linguaggio e una struttura preordinata. Erano tanti e impegnativi, ben presto ne fu sommerso sia fisicamente che psicologicamente.
Era probabile che dietro ad ogni termine e a ogni numero, si celassero innumerevoli occhi e pensieri fissi su di lui. Ogni errore avrebbe potuto generare una catastrofe, che non esisteva davvero nel mondo materiale, ma che poteva generarsi e crescere nello spazio del pensiero, anche se solo sotto forma di semplice immaginazione.
I moduli andavano a costituire un altro mondo, per abituarsi alle leggi del quale aveva già ingoiato parecchi rospi. Era diventato un vero esperto della compilazione soltanto dieci anni prima, ma questo di per sé significava soltanto che i rapporti contrattuali con quel mondo stavano per finire.
Quella notte, terminato il lavoro, per la prima volta ebbe la sensazione che gli mancasse qualcosa.
Per molti anni la metropolitana era stata per lui una consolazione spirituale. L’aveva salvato dalla routine, garantendogli uno spazio speciale e diverso, sia da casa che dall’ufficio. Si era già abituato da tempo alla disattenzione e all’indifferenza di quel luogo, che assomigliava proprio a un uomo in carne ed ossa: con pensieri continui e incoerenti, che si scontrano e si muovono con violenza in profondità oscure. E’ una sensazione che chi va in bicicletta o in macchina non può provare.
Era seduto nel suo ufficio e la città astratta che doveva amministrare fluttuava sopra la sua testa, immateriale. Là, codici e numeri di ogni genere si appiattivano; la metropolitana poteva ignorare del tutto l’esistenza delle case e degli alti edifici.
All’inizio lavorava durante il giorno, poi aveva richiesto il turno di notte, di propria iniziativa. Era più frenetico, ma tutti lavoravano sodo e parlavano poco; ciò era perfettamente in linea con il suo carattere e dopo aver provato lo trovò subito molto soddisfacente. Costituiva inoltre la scusa migliore per evitare una volta per tutte gli infiniti lavori domestici e i chiacchiericci della moglie, ogni giorno, da dopo il lavoro fino all’ora di dormire.
Il capo aveva organizzato molto bene gli orari di fine turno, così da permettere ai lavoratori di prendere in tempo l’ultimo treno. Se ne andò avvolto dalla luce delle stelle.
Gli sembrava quasi di poter udire il suono rauco della Terra che arrancava lungo la propria orbita: aveva ottenuto la propria ricompensa.
Quella notte, tuttavia, non osò prendere l’ultimo treno.
Doveva tornare a casa, era già piuttosto strano che non rincasasse da due giorni e una notte.
Nonostante l’accaduto doveva pur tornare.
Uscì spingendo la bicicletta. Mentre passava dall’entrata della metropolitana per poco non ne aveva perso il controllo, era stato costretto a scendere e spingerla a mano.
Poi vide una coppia di giovani abbracciati che camminavano verso la stazione e il suo cuore sobbalzò. Non riuscì a trattenersi dal gridar loro: “Ehi, non entrate lì dentro!”
Voltandosi indietro, i due lo guardarono in modo strano, lui arrossì.
La ragazza sussurrò: “E’ matto, non dargli retta”.
Si era fatta sera, i due continuarono a camminare verso la metropolitana. Il fotogramma delle loro schiene gli si impresse negli occhi come organi umani esposti in mostra; poi come antichi resti dissotterrati presero a mandare bagliori, un pezzo dopo l’altro. In un istante gli tornarono in mente il primo amore e i primi giorni di matrimonio: era da tempo che non se la sentiva di affrontare pensieri del genere.
La luce dell’insegna pubblicitaria al neon lo abbagliò, questa volta dovette davvero difendersi con il braccio. Sentì persino un caldo bruciante che gli fece pensare a una reazione nucleare: grazie alle nozioni di difesa civile diffuse negli anni 60’ riguardo agli attacchi nucleari, sapeva tutto di onde d’urto e radiazioni luminose. Quell’epoca, però, era passata da tempo. Negli ultimi anni, le sirene per strada erano servite soltanto a disperdere i cittadini in occasione dei cortei d’auto di personalità importanti.
Sul cartello pubblicitario, la scritta della Coca Cola sembrava quella di un cartone animato. La città si stava espandendo: le finestre e i lampioni stavano facendo un rapido spostamento verso il rosso. Spaventato, montò sulla sua bicicletta e si allontanò pedalando.
Erano passati molti anni dall’ultima volta che era tornato dal lavoro in bicicletta. Sua figlia e il marito avevano in programma di comprare una macchina familiare, ma non ne avevano ancora parlato con lui e sua moglie, né lui si era mai aspettato di condividere la loro fortuna.
[…]
4.fine
[Il racconto è anche su Caratteri cinesi. Traduzione di Chiara Cigarini]*Han Song nasce a Chongqing all’alba della Rivoluzione culturale, nel 1965. Si laurea nel 1991 a Wuhan in giurisprudenza, dopo aver preso una laurea di primo livello in lettere, specializzazione giornalista. Ancora giovane entra nell’agenzia di stampa nazionale cinese Xinhua, dove ricopre incarichi di sempre maggiore responsabilità. La sua produzione giornalistica si focalizza sulla cultura e sui trend sociali cinesi. Sin dagli anni degli studi universitari coltiva un amore per la fantascienza, dedicandosi alla scrittura di diversi racconti e ottenendo riconoscimenti dai circoli letterari sia della Cina continentale sia di Taiwan. Ha scritto diversi romanzi e raccolte di racconti. E’ considerato scrittore eclettico: "Il bordo abnorme" è il nome del suo blog, attivo dal 2005, dove raccoglie diversi scritti, riflessioni e poesie, brevi saggi e scritti d’attualità.