India e Myanmar – L’antiterrorismo al tempo di Modi

In by Simone

La scorsa settimana i ribelli indipendentisti del Nationalist Socialist Council of Nagaland hanno attaccato le truppe dell’esercito indiano schierate nel territorio dello stato indiano del Manipur, uccidendo 18 soldati. La reazione dell’esercito è stata fulminea, inseguendo i militanti fin dentro ai confini del Myanmar, in un’operazione di rappresaglia che segna un cambio di rotta netto nella politica anti-terrorismo di New Delhi, in particolare nei burrascosi rapporti col Pakistan.Il termine tecnico è "hot pursuit", cioè inseguire (presunti) criminali spingendosi oltre il territorio entro la quale vige la giurisdizione esclusiva di uno stato. Pratica che si può perseguire col benestare dello stato confinante o "in segreto", sforando nell’illegalità.

Secondo la stampa indiana, l’attacco dell’esercito è avvenuto in territorio birmano, a insaputa del governo di Thein Sein: un precedente che lascia intendere la nuova strategia che il governo Modi potrebbe utilizzare nelle operazioni anti-terrorismo lungo i confini bollenti della Repubblica indiana. Dal Kashmir fino al caos delle regioni del nord-est, l’India è impegnata su più fronti nel contenimento di spinte indipendentiste o autonomiste che interessano gruppi di militanti con una presenza a cavallo dei confini politici: una condizione che, in passato, ha spinto New Delhi a una posizione di difesa del territorio e respingimento delle incursioni oltre i propri confini.

Ora, con l’operazione extra territoriale condotta "alla perfezione" secondo gli analisti, l’esercito indiano potrebbe spostare un po’ più in là la linea di demarcazione del necessario, oltre i confini della legalità secondo le leggi internazionali. Ufficialmente, il governo Modi si sta attenendo alla dicitura "operazione lungo il confine con il Myanmar", senza avventurarsi oltre in descrizioni geograficamente più precise. D’altro canto, il colpo inferto ai militanti è stato largamente lodato dai "falchi" dell’esecutivo di New Delhi, descrivendo un’India finalmente "con gli attributi", pronta ad azione di forza che ne tutelino la sicurezza del territorio. E se sono illegali, chi se ne frega.

Il ministry of State del Ministero delle Telecomunicazioni Rajyavardhan Singh Rathore – deputato del Bharatiya Janata Party già medaglia d’argento al tiro al piattello nelle Olimpiadi di Atene 2004 – in una dichiarazione forse avventata, è stato molto chiaro: «Non tollereremo alcun attacco contro l’India e gli indiani. Prenderemo sempre iniziativa, sia questa amichevole o aggressiva, e colpiremo dove e quando decideremo noi». Discorso che, sempre secondo Rathore, varrà non solo per le attività terroristiche sul fronte est, ma anche su quello ovest. Cioè per il Pakistan.
Rathore è evidentemente un ultrà del modismo, tanto da aver coronato la sua valutazione dell’operato delle forze armate indiane con un eloquente tweet traducibile con «L’esercito indiano colpisce al cuore i miliziani. Una decisione importante presa dal forte primo ministro Narendra Modi #56inchrocks». L’hashtag #56inchrocks è particolarmente preoccupante se lanciato da una carica istituzionale: il riferimento è a una frase di Narendra Modi in un comizio  dell’anno scorso in cui l’allora chief minister del Guarat sfidava il leader del Samajwadi Party Mulayam Singh Yadav, usando come leva il suo (di Modi) proverbiale "torace da 56 pollici".

Uno sfoggio di machismo quantomeno inappropriato in politica estera e esclusivamente deleterio nelle strategie militari, come spiega brillantemente Pratap Bhanu Mehta in questo commento su Indian Express.

Rathore, tra l’altro colonnello dell’esercito, ha spiegato ai media che la decisione di inseguire i militanti è stata presa da Narendra Modi in persona, alimentando ulteriormente la fama di Uomo Forte al Potere di cui NaMo gode ampiamente nel paese.

 

Le dichiarzioni di Rathore hanno scatenato diverse polemiche dentro e fuori il paese. Il Congress ha attaccato la dichiarazione «irresponsabile» del colonnello, mentre anche negli ambienti del Bjp l’entusiasmo bellico di Rathore ha portato diversi imbarazzi interni. Narendra Modi, saggio come al solito, su tutta la faccenda non ha detto ancora una virgola (e non la dirà).

Nel frattempo in Myanmar il presidente Thein Sein ha provato a contenere il danno d’immagine di un capo di stato che permette senza battere ciglio a un esercito straniero di fare quello che gli pare a casa sua, mandando il suo portavoce a chiarire che l’operazione è stata condotta in collaborazione con l’esercito birmano (non è chiaro se a livello di intelligence o materialmente con soldati sul campo) e, soprattutto, all’interno dei confini indiani. Una realtà parallela ampiamente smentita dalle informazioni fatte filtrare, probabilmente a bella posta, dal governo federale di New Delhi.

Anche in Pakistan la reazione non si è fatta attendere. Il parlamento di Islamabad ha passato all’unanimità una risoluzione di condanna contro le «aperture ostili» dell’India, facendo muso duro a tutela della propria (poca) credibilità.

Insomma, nel gioco delle parti della geopolitica, tra smargiassate da spogliatoio e dichiarazioni obbligate, rimane l’ombra di un’India decisamente più propensa al pugno di ferro contro il terrorismo interno e oltreconfine.

Uno Stato-Rambo che galvanizza gli ultranazionalisti indiani ma che, se non affiancato almeno da un uguale interventismo diplomatico per risolvere i conflitti, rischia di alzare la tensione in aree già bollenti.

[Scritto per East online; foto credit: indianexpress.com]