La Rpc ha da tempo avviato sull’area una serie di manovre politico-amministrative con l’istituzione della Provincia del Mare del Sud nel 1988 fino a sancirne la crescita in importanza nel 2012 con l’upgrade della zona da xian, giurisdizione di villaggio, a shi, città. A livello militare, la marina cinese de facto pattuglia i confini marittimi da lei stabiliti e che formalmente corrispondono a porzioni di mare appartenenti ad altri stati limitrofi. Quali sono i possibili scenari?
Martedì 26 maggio a Pechino in conferenza stampa è stata presentata dal Elp la nona revisione della strategia militare cinese in versione baipishu, o libretto bianco, la cui prima pubblicazione risale al 2008: l’occasione è servita a sottolineare ulteriormente l’irremovibilità della Cina nella politica di presa di possesso della porzione di Mar Cinese del Sud (in seguito Nan Hai) comprendente alcune delle isole di cui sono composti gli arcipelaghi delle Paracel e delle Spratly.
La Repubblica Popolare Cinese ha da tempo avviato sull’area una serie di manovre politico-amministrative, con l’istituzione della Provincia del Mare del Sud nel 1988 (dove già venivano formalmente inclusi i vari arcipelaghi chiamati San Sha) fino a sancirne la crescita in importanza nel 2012 con l’upgrade della zona da xian, giurisdizione di villaggio, a shi, città. A livello militare, la marina cinese de facto pattuglia i confini marittimi da lei stabiliti e che formalmente corrispondono a porzioni di mare appartenenti ad altri stati limitrofi.
Nonostante gli argomenti del governo cinese risultino chiari, si è visto tuttavia necessario un concitato intervento mediatico in risposta ad alcuni episodi che stanno scuotendo tanto il ministero degli esteri cinese quanto l’opinione pubblica interna. Ci si riferisce alle incursioni in acque cinesi di navi non dedite alla pesca, e ai recenti voli di ricognizione compiuti da Stati Uniti e Giappone sulla zona del Nan Hai, di cui la cctv ha dato ampio spazio nei notiziari di questi giorni. In particolare sono stati mandati in onda i sonori delle ripetute richieste cinesi di allontanamento dal proprio spazio aereo.
Il portavoce del Pla ha esordito alla conferenza stampa con un sarcastico “che le dimensioni del Nan Hai si siano di colpo ridotte?”, riferendosi all’improvviso interesse internazionale sull’area. Le chiavi di lettura proposte nell’analisi di questi comportamenti aerei ostili, includono il voler infangare l’immagine dell’esercito cinese e criticare i giochi di potenza della Cina a scapito dei paesi vicini. Gli esperti cinesi menzionano inoltre l’astio degli Usa per la fondazione della AIIB, mentre il Giappone è costantemente sotto i riflettori, con i giornali che hanno seguito da vicino l’evolversi del cambiamento politico-costituzionale nel paese e si interrogano sugli effetti che tale svolta potrebbe comportare nei rapporti sino-nipponici.
La Cina è quindi accusata di soffocare i piccoli paesi limitrofi, riducendoli geograficamente e legandoli a sè dal punto di vista economico. Una banale strategia da tianxia (tutto sotto il cielo) e ritorno agli antichi paesi tributari? Pechino non si esprime certo in questi termini, ma piuttosto rivendica l’assimilazione territoriale come atto compiuto nella piena legalità, hefa, e sotto gli occhi di tutti già da molti decenni. La riannessione di aree geografiche considerate cinesi e sottratte a più riprese alla madrepatria negli ultimi centocinquanta anni attraverso guerre e trattati ineguali, è parte fondante della politica estera della RPC sin dalla liberazione del 1949.
Non potendo più aggrapparsi all’ideologia per fare leva sul consenso popolare, il mondo accademico alle spalle del partito ha ripescato dagli archivi statali le mappe risalenti alla fine della dinastia Qing che rappresentano il mondo cinese di allora, con lo scopo di alimentare nella popolazione un nuovo spirito patriottico scevro da radicalismi. Gli arcipelaghi rientrano quindi tra i domini imperiali, e all’irredentismo come causa strutturale si affianca l’attuale impegno cinese nell’area per il controllo e la salvaguardia del territorio, dove la matrice socialista si fa più viva nel motto wei renmin fuwu, a servizio del popolo.
I militari cinesi sono infatti impegnati in continui monitoraggi e studi sulla qualità dell’acqua nel Nan Hai, ed è da poco entrata in vigore la direttiva che prevede la chiusura della pesca per due mesi e mezzo (cfr. 三沙市综合执法1号船, San Sha shi zonghe zhifa yihao chuan) a fronte delle continue rilevazioni di navi peschereccio abusive. La novità di quest’anno è che per la prima volta la marina cinese, oltre alle Bei Sha (le Parachel) è impegnata nel pattugliamento dell’area delle Zhong Sha, o “arcipelago mediano” composto da monti marini, secche e banchi, già conteso con le Filippine.
La supremazia cinese si regolerebbe quindi non solo sul piano amministrativo con l’accettazione internazionale della ridefinizione dei confini della RPC, ma anche su quello scientifico-culturale, portando beneficio a tutta la comunità sud-est asiatica attraverso la gestione sana del territorio e la protezione ambientale. Gli interessi economici sono poi altissimi, con pesca e petrolio in prima linea, senza dimenticare che questo spazio marino svolge una importante funzione strategica perché funge da porta verso l’India e l’Oceano Indiano tutto.
Nelle Nan Sha (Spratly) risulterebbe evidente l’inconsistenza della presenza cinese con l’occupazione militare di sole nove scogliere, mentre altri stati tra cui Vietnam e Filippine dominano sull’area, se non fosse per le interessanti isole artificiali la cui esistenza è stata rivelata da foto satellitari. Usando tecniche di drenaggio e land reclamation engineering, la Cina sta trasformando quelli che prima erano dei reef sommersi in veri e propri isolotti, che da ricostruzioni satellitari sembrerebbero svilupparsi come una catena di fortezze per il controllo aereo e marino.
La Grande Muraglia del Nan Hai sconvolge ulteriormente gli equilibri già precari dell’area, e focalizza l’attenzione su una possibile guerra di posizione tra superpotenze, da combattersi in mare aperto.
Le ricognizioni aeree americane di questi giorni vengono presentate attraverso i media come una pugnalata alle spalle, in contrapposizione alle attività sul Nan Hai che la Cina dimostra di compiere alla luce del sole e in pieno rispetto della legge. I media non risparmiano frecciatine nei confronti delle aziende straniere sul territorio che potrebbero subire ripercussioni in base agli sviluppi degli attriti tra i due paesi, e ricordano come la Cina sia stata presente nei casi di crisi internazionale di Libia e Yemen evacuando molti stranieri e dimostrandosi pronta nelle missioni di soccorso. La retorica ruota attorno ai concetti di benevolenza e lealtà.
Nonostante le minacce è comunque improbabile una chiusura cinese, che comporterebbe gravi conseguenze sul piano economico non essendo il mercato interno in grado di auto-sostenersi. Nemmeno la strada yidai yilu verso ovest sarebbe sufficiente agli equilibri, anzi andrebbe a rinforzare quei blocchi politico-economici che di tanto in tanto riaffiorano dalle tenebre del passato. Essendosi intrecciati i fili a comporre una trama intricata di obblighi e privilegi legati a necessità di dominio primordiali e materiali, dove possono realmente condurre gli out-out datisi dalle due parti?
Resi evidenti gli interessi delle due superpotenze nell’area, il passaggio di milieu da soft power a guerra sbloccherebbe di certo la scena dal frame di una Cina pacifica, e porrebbe dubbi sulle sue capacità diplomatiche, mentre dall’altra parte gli Usa hanno perso da tempo la maschera che li voleva nel ruolo tragico di portatori di democrazia e liberatori dei popoli oppressi. I tentativi di appigliarsi alla sovranità nazionale per rivendicare l’assimilazione di un territorio, al giorno d’oggi, risultano poi anacronistici e di poco effetto, se posti a confronto con una nazione che non ha storia a riguardo (si potrebbe controbattere citando il caso della Crimea, dove però l’intervento armato è stato decisivo).
La Cina ha atteso paziente per anni il passaggio da rivendicazione formale a occupazione spaziale, possibile solamente col raggiungimento di un livello avanzato di know-how ed equipment militari. Non essendoci sovranità territoriale (parliamo al più di scogliere e banchi di sabbia) né riconoscimento ufficiale dell’appartenenza di questa porzione di mare alla RPC da parte di organi internazionali, potrebbe la Cina considerarsi offesa e invasa, nel caso lo spazio aereo e marittimo locale continui ad essere trafficato? Sebbene il meteo da Pechino preveda cielo sereno sulle San Sha, qualche nuvola appare già all’orizzonte, chiaro segnale della burrasca in arrivo.
*Michela Bonato è sinologa e dottoranda presso il Dipartimento di Geografia dell’Università di Heidelberg. In questa società globale ed inquieta si diletta ad immortalare attimi di vita quotidiana, visibili in Zaijietou e nel suo spazio Die Blumenkohlrezepte. La trovate spesso a meditare lungo le rive del Jialing.
Fig. 1 Nan Hai (©MBonato) – Fig. 2 Fiery Cross Reef in the Spratly Islands (© Asia Maritime Transparency Initiative)