La Corte suprema indiana ha concesso una proroga del permesso di quattro mesi a Massimiliano Latorre per ragioni mediche. Nella decisione della Corte suprema indiana, accolta con ottimismo da Roma, ha giocato anche la posizione del governo di Delhi che ha dato il proprio via libera. Alla notizia si aggiunge la formalizzazione della nomina di un nuovo ambasciatore italiano in India. E ora tra i due paesi potrebbero aprirsi nuovi margini di trattativa. Alla fine la proroga c’è stata. Dopo che il 12 gennaio una sezione della Corte suprema indiana aveva rinviato la decisione ad un’altra sezione del massimo tribunale indiano, ieri mattina il giudice Anil R. Dave ha accordato a Massimiliano Latorre, convalescente in Italia dopo un’operazione cardiochirurgica, altri tre mesi di licenza.
Nell’udienza precedente il giudice H.L. Dattu, presidente della Corte suprema, aveva preferito passare l’onere ad un altro giudice poiché solo due settimane prima aveva informalmente respinto la prima richiesta di licenza avanzata dai legali di Latorre e Girone, commentando che richieste simili non sarebbero state prese in considerazione «da nessuna Corte al mondo».
Un gesto che la stampa indiana ha interpretato come l’adozione «dei più alti standard di equità – un imputato non deve pensare che il giudice sia prevenuto nei suoi confronti».
Il nuovo prolungamento della Licenza di Latorre è stato possibile anche grazie alla posizione del governo di New Delhi, che in un documento consegnato dall’accusa alla Corte ha dichiarato di non volersi opporre ad un ulteriore rinvio della data entro la quale il sottufficiale di Marina dovrebbe rientrare in India, spostata ora al prossimo 15 aprile.
I tre mesi si aggiungono al precedente permesso di quattro mesi, accordato dalla Corte suprema in seguito all’attacco ischemico di cui ha sofferto il fuciliere di Marina nello scorso settembre.
La decisione dei giudici riapre uno spiraglio di fiducia nel dialogo diplomatico, dopo la battuta di arresto di pochi giorni fa. Tanto che il neo ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha accolto le notizie arrivate dall’India come dei «passi avanti», dichiarando che Roma ora si concentrerà sulla ricerca di una «soluzione definitiva» anche per l’altro marò coinvolto nel caso Enrica Lexie, Salvatore Girone.
Una soluzione che, secondo l’ex ministro degli Esteri indiano Salman Khurshid – esponente dell’Indian National Congress ora tornato all’occupazione di avvocato alla Corte suprema – si potrà ottenere solo per vie politiche.
Khurshid, intervistato dall’Ansa, ha spiegato che sul piano giudiziario la vicenda non potrà essere risolta «nemmeno tra 100 anni» e che ora è necessario «un intervento ad alto livello da parte del primo ministro» Narendra Modi.
Khurshid, in passato, si era occupato personalmente del caso Enrica Lexie, rassicurando il governo italiano circa la non applicabilità della pena di morte nella vicenda che vede i due fucilieri italiani accusati dell’omicidio di Ajesh Binki e Valentine Jelastine, pescatori scambiati – secondo la versione italiana – per pirati.
Il prossimo appuntamento in aula è previsto per il mese di marzo, quando la Corte si riunirà nuovamente per affrontare il nodo della giurisdizione, che blocca l’inizio del processo da quasi tre anni.
Nel frattempo, lasciano intendere da Roma, si intensificheranno i contatti diplomatici per trovare una «soluzione condivisa» del caso, già proposta per iscritto dal governo italiano in una lettera consegnata già da settimane all’esecutivo di New Delhi.
Sempre nella giornata di ieri è stato formalizzato il cambio dell’ambasciatore d’Italia a New Delhi. L’ambasciatore attuale, Daniele Mancini, dal tre marzo sarà trasferito all’ambasciata italiana per la Santa Sede, sostituito da Lorenzo Angeloni, oggi ambasciatore italiano in Vietnam.
L’avvicendamento dovrebbe dare nuova linfa ai rapporti italo-indiani, dopo che negli ultimi mesi la speranza di raggiungere un accordo diplomatico extra giudiziale si erano affievolite. In questo senso, se la dichiarazione di Khurshid può suonare come una sfida lanciata al primo ministro del Bharatiya Janata Party – una «provocazione» in vista delle prossime delicatissime elezioni del governo locale di New Delhi, previste per l’inizio di febbraio – dall’altro potrebbero indicare l’esistenza di un margine politico sul quale lavorare.
L’alternativa a disposizione della diplomazia italiana rimane sempre quella del ricorso all’arbitrato internazionale, già preparata dal pool di avvocati dello studio di Sir Daniel Behtlehem, il «cambio di strategia» paventato dall’amministrazione Renzi. Una mossa che porterebbe il caso in aule internazionali, ma che potrebbe durare dai due ai tre anni.
[Scritto per il manifesto; foto credit: ]