La censura colpisce i neomaoisti di Utopia

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Pechino spegne nuovamente il sito Utopia, animato dai cultori del Grande Timoniere. Qualcosa di più di un fenomeno nostalgico per un’età in cui i cinesi erano più poveri ma più uguali. E il presunto “nuovo Mao” ha i suoi motivi per tenerli sotto controllo.


[Update del 5 giugno: Utopia è nuovamente online!]

La storia del sito maoista Utopia — insieme alla libreria collegata ad esso — rappresenta una valida cartina di tornasole della Cina contemporanea. Di recente il sito è stato nuovamente spento dalle autorità cinesi, così come era già accaduto nel 2012. In entrambi i casi — perfino nel 2012 — c’entra Xi Jinping e lo stretto controllo ideologico del Pcc sotto la sua guida. Sembra strano, agli occhi occidentali, che un sito che fa espliciti riferimenti a Mao, il cui volto troneggia sulla Tiananmen, possa essere considerato sgradito al potere politico cinese. La domanda che sembrerebbe totalmente legittima, infatti, è la seguente: ma come, il “nuovo Mao” Xi Jinping è dunque contrario a un sito che esalta il pensiero e il ruolo del “Grande Timoniere”? La risposta, come spesso accade in Cina, è: sì e no.

La stramba e spericolata vita dei neomaoisti cinesi rivela alcuni lati apparentemente contraddittori del partito comunista. Il sito e la libreria Utopia, infatti, per lungo tempo sono stati considerati in Cina una sorta di rifugio, un angolo nascosto capace di custodire tutto quanto rimaneva del maoismo, inteso come studi e produzione politica favorevole al periodo maoista. Qualcosa che il partito guardava con sospetto ma che riteneva di poter lasciare vivere: i rapidi cambiamenti cinesi hanno lasciato la popolazione in uno stato di difficoltà identitaria, il riferimento al maoismo — unito a un risorgente nazionalismo — era pur sempre meglio di pericolose influenze occidentali. Il sito e le sue attività, dunque, vennero tollerate.

Allo stesso tempo, in una Cina che sembrava aver messo nel dimenticatoio, quando non direttamente sul banco degli imputati, Mao Zedong, la voce di chi si rifaceva a un’epoca che oggi viene ricordata come un periodo di grande povertà, appariva quanto meno curiosa. La verità è che la corsa della Cina verso la crescita economica ha anche lasciato tanta gente indietro. Non è dunque difficile trovare in Cina, soprattutto tra le persone anziane, chi rimpiange quel periodo storico. L’espressione con cui solitamente — nella vulgata popolare — si ricorda quel periodo è un classico della nostalgia di molti popoli di fronte alle proprie novità: “All’epoca, eravamo poveri ma c’era più uguaglianza”.

Il sito internet Utopia, oltre a giocare sulla nostalgia presente in larghi strati della società cinese — nonché di sicuro in qualche funzionario — ha finito per avere un momento di notorietà internazionale proprio qualche giorno fa, prima di essere chiuso dalle autorità: di recente, in un incidente stradale accaduto in Corea del Nord, alcuni dei suoi membri sono mancati, compreso l’editor in chief. E, come vedremo, anche la Corea del Nord entra, in qualche modo, nella vita difficile di questa comunità di neomaoisti.

Ma è nel 2012 — dopo il periodo migliore per le teorie neomaoiste — che il sito e la libreria subirono le prime conseguenze della propria posizione politica.

Serve una precisazione: chi animava sito e libreria non è da considerarsi alla stregua qualche svitato che vestito alla Mao e libretto rosso in mano effettua un’operazione di natura folcloristica — come purtroppo talvolta è apparso anche sui media internazionali -. Le posizioni neomaoiste, infatti, hanno trovato anche ascolto nella nuova sinistra cinese, il cui periodo più florido è stato durante il regno Hu Jintao — Wen Jiabao (2002–2012) durante il quale alcuni funzionari erano molto vicini alle posizioni della nuova sinistra, i cui pensatori, a loro volta, avevano ruoli di rilievo nel consigliare i politici del momento. Si tratta dunque di una comunità non machiettistica, ma in grado di produrre pensiero politico e di vivere, perfino, un suo acme di natura strettamente politica.

Insieme a un corpus teorico, però, specie da parte di Utopia c’era anche il ripescaggio dei sentimenti nostalgici nei confronti del maoismo che, in un certo momento, aveva trovato un proprio rappresentante nelle alte sfere del Partito comunista, per l’esattezza in un “principino”, il figlio di una padre della patria: Bo Xilai.

Bo, abile comunicatore con un ottimo inglese, dopo esperienze amministrative di successo a Dalian, era diventato molto famoso in Cina grazie alla propria attività di segretario nella megalopoli di Chongqing. Bo Xilai aveva cancellato le pubblicità dalla televisione locale, inondandola invece di concorsi canori di canzone maoiste. Aveva mandato migliaia di giovani in campagna a “rieducarsi”. Aveva anche portato avanti una campagna contro le mafie locali terribile: nel mirino erano finiti anche molti suoi nemici. Il suo slogan per la sua attività di governo nella città di Chongqing era “picchia il nero, canta il rosso”, laddove per nero si intendeva mafioso.

Nonostante questa particolare forma di amministrazione della città, Chongqing è diventata via via una sorta di modello, basato sul forte intervento statale e sull’ideologia maoista, contrapposto al modello di Guangdong: liberale, riformista e più aperto alle sirene del mercato. I neomaoisti, naturalmente, si erano schierati con Bo Xilai. E Bo Xilai, nel 2012, anno che avrebbe dovuto vedere l’incoronazione di Xi Jinping a numero uno, ambiva a contrastare l’ascesa proprio di Xi. È finito male lui — condannato all’ergastolo per corruzione e molti altri reati — così come il sito Utopia, spento.

Il sito costituiva una voce che, in quel momento, andava tolta dalla circolazione.

Proprio nel 2012 il sito ChinaStory aveva intervistato Fan Jinggang, il gestore della libreria e lo descriveva così: “Fan è un 35enne che sembra uno studioso, con una faccia tonda e sincera, la cui corporatura robusta è racchiusa in una giacca asimmetrica grigia e un maglione nero. Risponde alle domande tranquillamente”. Dalle sue domande si evince che Utopia era stato fondato nel 2003 da Fan e Han Deqqiang come “un sito patriottico di pubblico interesse”. Fan è nato nell’Henan, una delle province più povere della Cina. Il motivo della posizione neomaoista di Fan è dovuta proprio alla disparità economica che via via, specie negli anni ’90, era diventata evidente.

Fu nel 1992 che Deng realizzò il suo famoso tour nel sud del Paese a sancire il patto sociale post Tienanmen che regge ancora oggi in Cina, ricordando ai quadri di partito che il Pcc si sarebbe dovuto difendere dal diritto ma soprattutto avrebbe dovuto prevenire la sinistra.

Dire Mao in Cina, infatti, significa dire “rivoluzione culturale”, un periodo di confusione — il luan — che nessun cinese, in teoria, sembra volere mai più. La posizione ufficiale del Partito comunista, dunque, nonostante i tanti riferimenti dell’attuale leader proprio a Mao Zedong, è stata quella di tracciare una linea netta: di Mao ne parla solo il Partito; la Rivoluzione culturale fu un disastro, un errore da non ripetere. Quindi, qualsiasi gruppo, sito, libreria che ricordi quel periodo in modo positiva non deve avere vita facile.

Ora Utopia è di nuovo spento, anche per le sue posizioni di aperto supporto agli esperimenti nucleari nordcoreani, sui quali invece il Pcc ha una posizione diversa. Ma le vie politiche in Cina sono misteriose: chissà che in un determinato momento, anche al Partito comunista non convenga riaccenderlo. Il maoismo, infatti, va spesso a braccetto con il nazionalismo, di cui talvolta il Partito si serve in modo molto astuto. E chissà dunque che per Utopia, non ci sia la possibilità di un’altra vita, tra le tante che il sito sembra avere già vissuto.

di Simone Piranni

[Pubblicato su Eastwest]