A margine dell’Across Asia Film Festival, tenutosi a Cagliari dal 3 al 8 dicembre, abbiamo avuto il piacere e l’onore di dialogare con Wang Hongwei. Wang è uno degli attori cinesi più conosciuti e apprezzati, anche grazie alla collaborazione con l’amico Jia Zhangke. Alla fortunata carriera di attore si accompagna un forte impegno sociale come direttore artistico del Li Xianting Film Fund e del Beijing Indipendent Film Festival, bloccato quest’anno dalle autorità il giorno dell’inaugurazione e arrivato all’undicesima edizione. Con lui abbiamo parlato dell’importanza sociale del cinema indipendente, del suo matrimonio artistico con Jia Zhangke e della casualità del successo.
Cosa si intende per cinema indipendente in Cina?
Sicuramente in Occidente il discostarsi dai circuiti della grande distribuzione è un fattore caratterizzante, ma anche in Cina questo concetto è valido. Però ci sono degli aspetti diversi, che fondamentalmente sono riconducibili all’ingombrante presenza del governo. Le produzioni inserite pienamente nei canoni governativi possono essere considerate mainstream, mentre la maggior parte delle produzioni indipendenti si affrancano da questo binario. Una particolarità del nostro cinema indipendente è la volontà, da parte degli artisti, di creare un lavoro fortemente personale, che rispecchi il più possibile il loro essere e la loro esperienza.
Come descrive la scena indipendente cinese? Ci sono delle tematiche privilegiate?
Sicuramente è diversa dalla controparte Occidentale, dove comunque c’è più libertà nella ripresa e si possono trattare tutte le tematiche. In Cina non è così, sino agli anni Ottanta il cinema era uno strumento della censura da parte del governo, quindi tutti i registi in sostanza lavoravano per il governo. Dopo il 1989 e i fatti di Tienanmen alcuni artisti iniziarono ad allontanarsi da questo schema per esplorare, lavorando spesso con strumentazione molto scadente.
Per me il cinema dovrebbe essere uno strumento alla portata di tutti, sia di chi lo produce che di chi ne fruisce, e non una prerogativa del governo. Dagli anni Novanta, la ricerca personale è diventata la tematica più gettonata nella scena indipendente, soprattutto nei documentari. Questa preferenza non è fine a se stessa, ma si riflette nei problemi contemporanei e nelle tematiche sociali che il paese si trova ad affrontare. Per esempio, Shangfang (Petition in inglese) di Zhao Liang è molto importante da questo punto di vista. Nel documentario sono state raccolte diverse istanze della popolazione, principalmente riguardanti i problemi burocratici e del sistema legale, per poi essere riportate al governo. Un lavoro faticoso e lunghissimo, iniziato negli anni Novanta e concluso circa 10 anni dopo.
Questo perché la Cina è un paese gigantesco, quindi molti problemi non riescono ad arrivare a Pechino. Oppure Tie Xi Qu di Wang Bing, un documentario che parla dell’abbandono e del degrado di un grandissimo complesso industriale. Una lente per descrivere i profondi e rapidi cambiamenti che la Repubblica Popolare stava attraversando. Questi due registi hanno fatto dei lavori imponenti e molto vasti, sui disagi sociali dell’intero paese, mentre altri si occupano di tematiche più piccole, spesso circoscritte a un singolo villaggio.
Pensa che i registi della “Quinta Generazione” come Zhang Yimou o Tian Zhuangzhuang possano aver contribuito all’ampliamento delle tematiche trattate?
Sicuramente hanno avuto una grandissima influenza, Zhang Yimou è un cineasta che ha avuto un grande successo ed è studiato dai giovani registi. Sono un metro di paragone e una fonte di ispirazione. Per esempio To Live di Zhang Yimou è uscito nel 1993, quando noi della “Sesta Generazione” eravamo solo degli studenti, e per forza di cose era il punto di riferimento con il quale confrontarci. L’apice della loro carriera è coinciso con il nostro debutto, però alla fine degli anni Novanta c’è stato il passaggio di consegne, con il loro declino e l’inizio della nostra ascesa. Zhang Yuan, Wang Xiaoshuai, Lu Yue e in generale tutta la “Sesta Generazione” è cresciuta e migliorata anche grazie al loro esempio e al loro lavoro.
Qual è la percezione e ricezione popolare del cinema indipendente? C’è interesse in Cina o sono prodotti più apprezzati all’estero?
A causa della censura molti di questi film non possono essere proiettati e visti, quindi la distribuzione e la diffusione di molte pellicole è stata possibile solamente attraverso canali informali e il passaparola degli appassionati. Ma le persone che seguono la scena sono decisamente una minoranza, le masse preferiscono le grandi produzioni commerciali. Questa tendenza si riflette anche sul nostro lavoro, perchè vengono a mancare i fondi e le produzioni ne risentono. La mancanza di fondi ci porta a preoccuparci di cose che prima non ci riguardavano, come l’affluenza nelle sale o il prezzo dei biglietti.
L’ultimo film di Jia Zanghke, per esempio, è costato 20 milioni di yuan (circa 2,6 milioni di euro) ed è difficile rientrare nei costi, soprattutto se poi il film non viene distribuito in Cina. La “Sesta Generazione” deve muoversi considerando ben tre fattori: il governo, ciò che vuole il pubblico e ciò che vogliamo trasmettere con la nostra opera. Tutto è molto più difficile, perchè spesso è quasi impossibile soddisfare tutti i requisiti. I registi indipendenti soffrono ancora di più questa situazione e provano ad appoggiarsi al governo per avere qualche soldo in più. Ma son talmente pochi che non consentono la formazione di un team di lavoro, quindi molti documentari sono il frutto del lavoro di una sola persona.
Come siete riusciti a portare avanti il Beijing Indipendent Film Festival nonostante le restrizioni poste dal governo?
La risposta sta nella leadership. Il cambio della leadership all’interno del partito influisce nello sviluppo delle arti e della cultura. Mentre nei paesi occidentali i cambiamenti politici non influiscono necessariamente sullo sviluppo artistico, in Cina rappresentano un passaggio significativo e possono portare in dote decisioni che condizionano tutte le arti. Xi Jinping vuole controllare la cultura e renderla omogenea, quasi un lavaggio del cervello, ed è per questo motivo che il Festival è stato bloccato quest’anno. La leadership determina il livello di libertà degli artisti.
Quando e per quale motivo ha deciso di fare l’attore?
Sinceramente non è stata una mia decisione. Io e Jia Zhangke eravamo compagni di classe alla Beijing Film Academy e, poiché i soldi erano veramente pochi, dovevamo per forza di cose aiutarci a vicenda. Quindi Jia Zanghke mi ha reclutato come attore quasi contro la mia volontà e così è iniziata la nostra collaborazione.
In Europa il suo nome è inequivocabilmente associato a quello di Jia Zhangke, siete visti anche Cina come un binomio indissolubile?
Jia Zhangke è molto famoso all’estero e ha diretto film che hanno vinto molti premi. Però io continuo a vedermi come un attore per caso, ho semplicemente dato una mano a un amico e la cosa è andata avanti. Però si potrebbe dire che anche in Cina siamo visti in questo modo, soprattutto dalla nuova generazione di registi che vede i nostri lavori come punto di riferimento e modello di successo, soprattutto fuori dai confini nazionali. Inizialmente il nostro lavoro non era per niente conosciuto, abbiamo veramente iniziato da zero, poi sempre più persone hanno iniziato ad apprezzarlo e ad avvicinarsi a noi. Sia miei studenti che normali appassionati di cinema. Ma questo successo, secondo me, è un po’ il frutto della casualità della storia. Io ormai sono acqua passata, sono storia (ride).
Lei è diventato un vero e proprio “feticcio” per Jia Zhangke, io per esempio fatico ad immaginare un suo film senza Wang Hongwei.
Nei primi due film ero l’attore protagonista, poi il legame professionale è continuato a prescindere dall’amicizia e dalla casualità. Abbiamo iniziato assieme e il pubblico ha apprezzato molto i nostri lavori, addirittura dicevano che mancasse qualcosa nei film di Jia dove io non sono presente. Forse son diventato imprescindibile per lui anche per questo motivo. Ma è così davvero secondo te? (ride)
Poi altri registi mi hanno chiamato, come Dai Sijie, ma credo sia semplicemente dovuto al successo che ho raggiunto con i film di Jia Zhangke. Io alla fine cerco di essere il più naturale possibile quando recito, cerco di eliminare quanta più finzione riesco dal mio personaggio. Questo perché il cinema non è il teatro, trattiamo e raccontiamo la realtà della vita quotidiana.
La ricerca del reale è uno dei capisaldi del lavoro di Jia Zhangke. Quanto è importante per raccontare la Cina dei giorni nostri?
Credo sia molto importante e molto difficile allo stesso tempo. Ci sono delle tematiche importanti che vogliamo trattare, ma spesso questa ricerca entra in conflitto con gli interessi del governo. Per esempio, l’ultimo film di Jia (A Touch of Sin) è stato censurato in Cina proprio perché parla di temi scottanti. Non importa il modo in cui vengono posti e rappresentati, semplicemente non si possono discutere e rappresentare. Io stimo moltissimo Jia Zhangke per il suo coraggio e la sua forza di volontà, dato che ritengo sia l’unico in Cina a portare avanti un discorso cinematografico di questo tipo.
Sente la pressione del successo e dell’essere visto come un punto di riferimento?
Certamente, la pressione è molto forte e credo sia una cosa normale. Quando tanti ragazzi ti scrivono per chiederti dei consigli su come impostare il proprio lavoro, è impossibile non sentire la responsabilità. Appena avrò l’opportunità riprenderò a filmare e girare dei documentari, magari con alcuni dei miei studenti e di questi giovani cineasti. E questo ora è possibile perché il governo non è più in grado di controllare tutto ed è sempre più facile procurarsi l’attrezzatura necessaria per girare. Il governo può adattarsi a questa situazione e cercare delle vie per contenere la propagazione di questo fenomeno, non può più bloccarlo come trenta anni fa.
Qual è stato il film più importante per lei?
Mi viene difficile parlare di me stesso. Credo che il più importante come impatto sul pubblico sia stato Xiao Wu, mentre per quanto mi riguarda credo sia stato Platform.
Qual è il consiglio che si sente di dare ai giovani cineasti cinesi?
I suggerimenti che do più frequentemente sono frutto della mia esperienza, sia come attore che come insegnante di sceneggiatura. Leggere tantissimo, guardare quanti più film possibile ma soprattutto scrivere. Esercitarsi tantissimo nella scrittura dei testi e cercare sempre di migliorare.
*Si occupa di geopolitica e geostrategia nel sud-est asiatico, con particolare interesse alle vicende del Mar Cinese Meridionale. Dottorando all’Università di Cagliari al Dipartimento di Scienze Sociali e delle Istituzioni, Cattedra di Storia e Istituzioni dell’Asia.