Oltre 33 milioni di abitanti, presumibilmente l’area urbana più popolosa dell’intero pianeta. Chongqing è stata scelta 17 anni fa come motore della crescita dell’interno del paese. Già ha un porto franco e una sperimentazione che non ha paragoni in tutta la Repubblica popolare: la prima Zona cloud speciale con internet libero. Oggi, tra mille contraddizioni, aspira a diventare l’hub delle infrastrutture della Cina interna.
All’intersezione del fiume più lungo dell’Asia, il Fiume Azzurro, e di un suo affluente, il Jialing, Chongqing si estende su un terreno così caratterizzato da dislivelli che lo storico americano John King Fairbank la definì, già nel 1942, “il più sfortunato habitat umano”. È Chongqing, la Gotham City d’oriente. Umidità. nebbia e smog. Quando arriviamo intravediamo appena una foresta di gru e di orribili grattacieli. Eppure doveva essere una città bellissima, soprattutto la zona centrale. Intricati vicoli, saliscendi e scorciatoie nascoste a gradini diseguali. Ma su quel che rimane della vecchia città è stato scritto il carattere chai: abbattere.
Cibo ovunque e un brulichio di umanità che a Pechino non esiste quasi più: lucida scarpe, venditori ambulanti, ramazza foglie, operai, raccoglitori e raccoglitrici di carta, vetro, plastica. E soprattutto di quel che resta degli isolati distrutti: ferro, mattoni integri, sanitari. E ovunque i bangbang, l’esercito dei portatori: un corto bastone di bambù sulla spalla con due enormi pesi legati alle estremità. Una densità incredibile di palazzoni orribili e grattacieli nuovi fiammanti. Si dice che quando ti affacci alla finestra a Chongqing, non vedi che altre finestre. Coltre di smog permettendo, verrebbe da aggiungere.
“Chongqing è stata scelta 17 anni fa come motore della crescita dell’interno del paese, una città in cui provare a ridurre il divario tra campagne e città” ci spiega il console Sergio Maffettone che a inizio 2014 ha aperto qui il consolato italiano. Nel 1997, per cercare di gestire la massa di umanità che si sarebbe spostata in città a seguito delle evacuazioni forzate per permettere la costruzione della diga delle Tre Gole, a Chongqing è stato assegnato lo status di municipalità, ovvero una città direttamente controllata dal Governo centrale. È il sogno di ogni metropoli cinese: miliardi di yuan che piovono per lo sviluppo urbanistico. Da allora la pianta della città viene ristampata ogni tre mesi e addirittura, nel 2012, il governo ha cominciato a trasformare il distretto di Liangjiang in un’area che aspira ad essere una Zona economica speciale: tasse, investimenti, politiche commerciali e territoriali specifiche.
Già c’è un porto franco e una sperimentazione che non ha paragoni in tutta la Repubblica popolare. Dieci chilometri quadrati, unici nel loro genere. Si tratta della prima Zona cloud speciale. Un immenso centro dati fisicamente isolato dalla rete internet domestica e quindi non soggetto alla censura del cosiddetto Grande Firewall. Collegato con fibre ottiche direttamente alla rete internet internazionale, è un’isola dove si può scaricare qualunque programma o accedere a qualsiasi informazione semplicemente facendo una ricerca sul browser. Come in qualsiasi altra parte del globo. Per questo già dagli inizi del 2013 ha attirato 4,8 miliardi di euro di investimenti di aziende cinesi e non che operano nel settore. E la pianificazione cinese non si ferma a questo. Chongqing aspira ad essere un grande snodo dei trasporti. È già il più grande porto fluviale della Cina e ora, che una linea ferroviaria la collega con Duisburg nel cuore dell’Europa, aspira a diventare l’hub delle infrastrutture della Cina interna.
Chongqing è “in piccolo” la summa delle contraddizioni del paese. Nella sua inimmaginabile crescita urbanistica ha inglobato 23 milioni di contadini delle aree rurali, la maggior parte delle quali ora lavora in città e consuma. Non solo. È stata il teatro del più grosso scandalo politico che la storia della Repubblica popolare ricordi dai tempi di Mao. L’affaire Bo Xilai o, come l’avevano giustamente etichettato i media, il Chongqing Drama. Un principino carismatico e populista fatto fuori nella corsa al potere dell’attuale presidente, Xi Jinping. Fino al 2012 la città di cui Bo Xilai era segretario di partito era il il “modello Chongqing” ovvero la via del ritorno al socialismo per risolvere le contraddizioni sociali che la corsa della Cina verso il progresso aveva innescato.
Il “modello Chongqing” era quello che proclamava di voler dividere la torta fra tutti, quello degli alloggi popolari e delle politiche sociali, quello che spediva gli sms con le citazioni del libretto rosso e mandava dagli altoparlanti delle piazze le canzonette del periodo maoista. Nel 2011 vantava un tasso di crescita del 16,4 per cento e un disavanzo di oltre 10 miliardi di euro. Era la città che per prima aveva lavorato su una vera e propria riforma degli hukou – il sistema che vincola la popolazione cinese al proprio luogo d’origine distinguendo i diritti destinati alla cittadinanza rurale da quelli destinati a quella urbana – che avrebbe permesso di scambiare i diritti sulla terra degli hukou rurali in cambio del welfare garantito dagli hukou urbani. Politiche che di fatto hanno incoraggiato chi viveva in campagna a trasferirsi in città. E di cui almeno dieci milioni di “nuovi cittadini” hanno già beneficiato.
Ma era anche la città delle mafie. Bo Xilai aveva fondato il suo consenso politico proprio sulla lotta alla criminalità organizzata. Anche in questo campo numeri da record: 9mila indagati e quasi 5mila arresti in dieci mesi. Una vicenda che aveva appassionato l’intera Cina, ma che troppo spesso aveva superato i limiti della legalità: confessioni estorte a mezzo tortura, avvocati difensori minacciati e, si è scoperto solo dopo, avversari politici di Bo Xilai gettati nel mucchio dei colpevoli. È una vicenda che, ad anni di distanza, ancora pesa sulla narrazione della città. Ogni tanto le notizie di cronaca riportano di alcuni dei poliziotti che all’epoca avevano condotto le indagini che oggi si scoprono collegati alla criminalità organizzata o morti in circostanze misteriose.
Non sono mai state rese pubbliche le informazioni sull’ammontare dei beni confiscati, su quelli restituiti, su quante persone sono state condannate e su quali basi processuali. Quello che sembra evidente è che l’efferata lotta alla mafia portata avanti dall’amministrazione Bo Xilai è servita a consolidare il potere di chi già lo deteneva e ad oliare i rapporti tra il mondo politico e quello degli affari. Inoltre, quando le cose si mettono male, le mafie sono il capo espiatorio perfetto. E infatti il sindaco Huang Qifan – nonostante i quasi due anni d scandali che hanno dilaniato la città fin quando l’ex Segretario generale Bo Xilai non è stato condannato all’ergastolo – è stato riconfermato nella sua posizione.
Così Chongqing continua ad essere il punto cardine del progetto governativo per salvare la Cina dalla trappola del redditto medio, ovvero portare benessere, industrie e urbanizzazione nelle ancora poco sviluppate regioni occidentali. Così aziende e multinazionali si sono continuate a trasferire qui. Gli ultimi dati sono quelli del 2013. Un pil di quasi 15 miliardi di euro, una crescita del 12,3 per cento, 4,6 punti percentuali superiore alla media nazionale. Crescono i consumi (+40 per cento negli ultimi due anni), gli investimenti e gli export.
È questa la ricetta cinese per il cuore della Cina. Una sorta di città-Stato che occupa una superficie più o meno pari a quella dell’Austria, che grazie anche alla pianificazione cinese e agli investimenti cinesi e stranieri, sta diventando una delle realtà più dinamiche di tutta l’Asia. Peccato solo che gli intrecci tra mafie, politica e mondo del business non siano stati sciolti. Ma solo nascosti sotto al tappeto della crescita economica.
[Scritto per il Fatto Quotidiano; foto credits: corporateapartmentsinternational.com]