Tra politica ed economia, sta per cominciare a Pechino il summit dell’Asia-Pacific Economic Cooperation. Interessi convergenti, contrapposti e sovrapposti scatenano un Grande Gioco in cui Cina e Usa cercano di fare la partita, gli altri agiscono di sponda. Tutti bluffano. Oggetto del contendere, il libero scambio nell’area dell’Asia-Pacifico come strumento di potenza. Sotto il cielo azzurro di Pechino – già definito “blu Apec” dalla maliziosa vox populi – si svolgono grandi manovre.
Se infatti il summit dell’Asia-Pacific Economic Cooperation del 7-11 novembre sarà pieno di temi, sfumature, incontri a margine, interessi sovrapposti e incrociati, la Cina del “grande sogno” ne ha uno prêt-à-porter nel cassetto: la costituzione di un nuovo patto di libero commercio asiatico, alternativo al Tpp (Trans-Pacific Partnership) made in Usa. Con se stessa, si capisce, a occupare il centro del ring.
Wang Shouwen, un alto funzionario del ministero del Commercio, ha infatti dichiarato a pochi giorni dall’inizio dei lavori che Pechino si propone di mettere nero su bianco una vera e propria tabella di marcia per creare una Free Trade Area of the Asia-Pacific (d’ora in poi “Ftaap”) durante il summit.
Wang ha aggiunto che Cina e Corea del Sud cominceranno il 6 novembre un nuovo round di colloqui bilaterali per la creazione di un’area di libero scambio, con l’auspicio di concludere i negoziati entro la fine dell’anno.
È una strategia a tutto campo, con un particolare occhio all’Asia nord-orientale, in cui temi economici e geopolitici si compenetrano. O meglio, in cui i primi fanno da presupposto ai secondi, come da costume cinese.
Tra il dire e il fare, come noto, c’è di mezzo il mare. In questo caso, almeno due, quelli cinesi orientale e meridionale, dove Pechino ha contenziosi in corso con buona parte dei convitati al summit: nella fattispecie, con il Giappone a oriente e con Vietnam, Filippine, Malaysia, Indonesia e Brunei a sud. Usa, India e Russia sono spettatori interessati.
Sono contenziosi geopolitici. Con il Giappone, per esempio, i rapporti si sono fatti tesi per le isole Diaoyu-Senkaku e per l’istituzione della Adiz (Air Defense Identification Zone) un anno fa. Nel mar cinese meridionale, pesa la “linea dei nove segmenti” (nanhai jiuduan xian, in cinese), quel confine delle acque territoriali delineato da Pechino che “lecca”, come una gigantesca lingua, le coste di tutti i dirimpettai, inglobando decine di isole e isolotti.
Ma non mancano le questioni simboliche – ancora con il Giappone, il non riconoscimento delle responsabilità storiche e le periodiche visite al santuario Yasukuni da parte di Abe – e, molto più concretamente, economiche: le frizioni tra Cina, Corea e Giappone sui rispettivi protezionismi in settori come l’agricoltura e le auto.
Non è mancato un piccolo giallo della vigilia: il Wall Street Journal ha riportato del veto statunitense a un comunicato Apec che avrebbe menzionato esplicitamente il Ftaap. Pechino nega la circostanza e insiste: “Sulla costituzione del Ftaap, abbiamo ricevuto il sostegno di tutti i paesi membri”, ha dichiarato Wang. “Sono fiducioso”. Schermaglie.
Sul lato opposto della barricata, gli Usa si propongono di fare passi avanti con il loro Tpp, che coinvolge 12 membri Apec, ma non la Cina. Al summit pechinese, Washington intende ottenere risultati concreti su temi come la proprietà intellettuale, l’ambiente e le imprese statali. Tutte questioni sulle quali sia la Cina sia le altre economie Apec potrebbero fare orecchie da mercante. C’è poi un contenzioso aperto tra gli Stati Uniti e l’alleato storico, il Giappone, sulle tariffe doganali e il settore automobilistico.
Insomma, si assisterà a una partita su più tavoli dall’esito incerto, ma potrebbe anche arrivare la mossa che scompagina le carte. Si sa, la Cina tende a ragionare molto, ma molto, pragmaticamente.
Abbiamo chiesto a Wei Shang-Jin, Chief Economist della Asian Development Bank – l’istituto di credito a guida giapponese alternativo alla “statunitense” World Bank e alla futura, sinocentrica “Asian Infrastructure Bank” – qual è il rapporto tra la Cina e il Tpp, aspettandoci fuoco e fiamme. “Io penso che alla Cina interessi – è stata la serafica risposta – perché coinvolge molti Paesi provvisti di grandi mercati ed è quindi un’ottima chance per le esportazioni cinesi”. Non fa una grinza. D’accordo, gli Stati Uniti ce la metteranno tutta per tenere Pechino alla larga, ma se invece il Ftaap cinese fosse lo spauracchio da agitare sotto il naso di Washington per avere accesso proprio al Tpp?
Ricordiamoci cosa successe ai tempi dell’ingresso cinese nel Wto (2001): “Non c’era alcun accordo all’interno della leadership cinese – continua Wei – molti erano contrari, sostenendo che fosse una concessione agli interessi economici stranieri. Alla fine, qual è il Paese che ha maggiormente beneficiato dell’accesso all’Organizzazione Mondiale del Commercio?”
Capitolo Cina-Corea del Sud. Secondo John Delury, docente di storia all’università di Seul, è in corso un grande rimpasto nell’Asia nord-occidentale. Si prendano per esempio i maggiori protagonisti: “Xi Jinping, Park Geun-hye, Kim Jong-un, Shinzo Abe, sono tutti figli d’arte. Se guardiamo alle politiche dei loro padri, vediamo che si stanno ribaltando”. Se negli anni Ottanta, Xi Zhongxun e Kim Il-sung si scambiavano lettere di cortesia, oggi vediamo che Xi Jinping non ha ancora degnato di mezzo sguardo Kim Jong-un. Al tempo stesso, si sta avvicinando alla Park. E dall’altra parte, se negli anni Sessanta Park Chung-hee (presidente e comandante militare, padre dell’attuale presidentessa coreana, ndr) teneva con Shintaro Abe (il ministro degli Esteri giapponese più a lungo in carica nel dopoguerra, padre dell’attuale Premier, ndr) un regolare carteggio nel quale i due dichiaravano comunità d’intenti, ora la figlia ha fatto dei rapporti con la Cina una priorità assoluta. E Shinzo Abe dice che andrà a Pyongyang a risolvere antichi contenziosi”.
È presto per dire che tutto sta cambiando, ma sicuramente nessuno si preclude mosse a sorpresa. C’è in ballo il proprio status nel nuovo ordine multipolare, che appare sempre più come un Grande Gioco in cui bluffare o calare il poker a seconda delle circostanze.