Sono in molti a sperare che le recenti decisioni sul rule of law metteranno fine a tante ingiustizie che avvengono soprattutto nelle periferie dell’ex impero. Ma intanto un lavoro dell’ong China Human Rights Defenders descrive le black jail attraverso interviste e report sul campo di attivisti locali. Si chiama: “Ti ammazziamo di botte con impunità”.
Le black jail (in cinese hei jianyu) sono, come suggerisce il nome, centri di detenzione illegale dove, in nome del preservare una società armoniosa, vengono rinchiusi i cittadini che lamentano torti subiti dalle autorità locali e minacciano di denunciarli alle autorità centrali. Quelli che, in onore di un’antica pratica imperiale, in Cina si chiamano petizionisti o questuanti.
Per essere rinchiuso nelle black jail non servono processi, né accuse formali. Sono spazi gestiti da guardie prezzolate (chengguan in cinese), di cui il governo centrale ha sempre negato l’esistenza. Il report di Chrd si basa su oltre mille casi individuali raccolti negli ultimi cinque anni. E denuncia che il loro numero è visibilmente cresciuto dopo che, nel 2013, sono stati ufficialmente chiusi i laojiao, centri di rieducazione destinati a petizionisti, prostitute, tossicodipendenti e molti altri tacciati di comportamenti antisociali. Il lavoro di alcuni attivisti ne documenta 96 in una sola città di medie dimensioni, Wuxi (1,5 milioni di abitanti).
Il report di Chrd, intitolato significativamente “Ti ammazziamo di botte con impunità” sceglie di raccontare la realtà delle black jail dal punto di vista degli individui che vi sono stati rinchiusi. Denuncia che l’80 per cento di questi ultimi è donna. Ma soprattutto la totale impunità di chi gestisce questi centri illegali di detenzione. Le black jail non sono vere e proprie prigioni, il loro scopo primario è quello di far sparire persone scomode. Per questo qualsiasi posto dotato di quattro mura e difficile da trovare può servire allo scopo. Gli attivisti hanno documentato black jail nelle scuole di Partito, negli scantinati delle scuole medie, in basi militari e palestre. Ma soprattutto in alberghi, magazzini e residenze abbandonate.
Nonostante il governo continui a negarne l’esistenza, le Black Jail hanno continuato a proliferare in tutto il paese. Essendo di fatto un regime illegale e quindi non controllato, gli abusi che si perpetuano all’interno di essi sono moltissimi e difficilmente verificabili. Le testimonianze raccolte da Chrd sono quelle di persone che hanno subito abusi terrificanti rimasti nella maggior parte dei casi impuniti. Donne che hanno subito violenze fisiche e psicologiche e addirittura abusi sessuali che si sono rivolte alla giustizia senza ricevere ascolto, anzi spesso peggiorando la loro situazione nel tentativo di tenere nascosta una pratica che il governo centrale stesso ha definito illegale.
Anche per prevenire polemiche nel 2011 le autorità centrali hanno provato a farne chiudere alcune. Ad esempio alla fine del 2011 a Pechino c’è stata una grossa campagna. Ma i risultati non sono stati quelli sperati, se ancora nel 2013 la giornalista di Al Jazeera Melissa Chan riusciva ad entrarne in una e a documentarne gli abusi (da allora nessun giornalista di Al Jazeera ha mai riavuto il visto per operare in Cina). E in ogni caso nel resto del paese migliaia di cittadini sono continuati ad essere detenuti illegalmente senza nessuna incriminazione formale.
Sopratutto nell’approssimarsi di eventi politicamente importanti o di anniversari particolarmente sensibili. Negli ultimi anni poi, alle black jail si è aggiunta la pratica delle “classi di educazione legale”, una forma di detenzione “particolare” in cui gli individui vengono rinchiusi per giorni e costretti a studiare leggi e regolamenti dello stato.
Nella seconda metà del 2013, i dati raccolti dall’ong che sono per forza di cose incompleti, rivelano che 1044 cittadini cinesi sono stati forzatamente rinchiusi in queste “classi”. Per le black jail si parla invece di 1800 casi documentati tra gennaio 2012 e settembre 2014. Secondo l’analisi di Chrd, l’impennata di questi metodi può essere con sicurezza ricondotta alla chiusura dei campi di rieducazione.
La scorsa settimana, sempre nella città di Wuxi, una donna è stata processata per “danneggiamento intenzionale della proprietà”. Lei si chiama Ding Hongfen e il suo crimine risale al giugno del 2013 quando insieme ad altri attivisti è entrata con la forza in un centro di detenzione illegale e ha liberato una decina di persone lì detenute.
[Scritto per Lettera43]