Promuovere la sicurezza e una crescita sostenibile. È questo l’obiettivo per cui 53 capi di stato sono riuniti a Milano nel vertice Asia-Europa (Asem). Si parlerà della minaccia dell’Isis, delle acque contese nel Mar cinese meridionale e di Ucraina. Ma la politica sarà subordinata agli affari. La Cina cerca qualcuno che da Bruxelles possa parlare e negoziare a nome di tutta la Ue.
Promuovere la sicurezza e una crescita sostenibile. È questo l’obiettivo per cui 53 capi di stato sono riuniti a Milano nel vertice Asia-Europa (Asem). Rappresentano il 60 per cento della popolazione mondiale e metà della ricchezza prodotta su questo globo. Hanno due giorni per confrontarsi a porte chiuse sui temi che più li preoccupano. Non ci sono protocolli né necessità di dichiarazioni alla stampa. Ognuno porterà sul piatto i temi che ritiene più importanti, cercando di trovare un terreno d’incontro attraverso quello che più si avvicina a un dialogo informale tra capi di stato. La Cina cerca qualcuno che da Bruxelles possa parlare e negoziare a nome di tutta la Ue.
Si parlerà della minaccia dell’Isis, delle acque contese nel Mar cinese meridionale e di Ucraina. Secondo il presidente del Consiglio europeo Van Rompuy si parlerà anche di diritti umani e, forse, degli studenti che da tre settimane manifestano nelle strade Hong Kong perché il governo gli garantisca una maggiore indipendenza dalla Repubblica popolare. Ma soprattutto si cercherà di rinforzare i legami commerciali.
Gli interscambi tra Asia e Europa hanno ormai raggiunto i 1250 miliardi di euro, quasi raddoppiando il valore registrato dieci anni fa. E in questo la Cina è sicuramente il paese più forte. Quello che non bisogna scontentare perché è corteggiato da tutti. Subiamo gli effetti dell“ascesa pacifica” inaugurata oltre trent’anni fa dalle riforme e aperture volute da Deng Xiaoping. Difficilmente verranno affrontati i punti deboli e le sfide che minacciano la nuova super potenza. Con ogni probabilità varrà il principio più caro ai cinesi, quello della non interferenza.
Si può essere uniti contro il terrorismo, sì – specie da quando è stato assodato che diversi cinesi, pare almeno un centinaio, si starebbero formando militarmente nell’esercito dello Stato islamico – ma rispettando la sovranità nazionale degli stati. E con lo stesso spirito si potranno affrontare argomenti ancora più spinosi come quello delle isole contese – quasi tutte con la Cina – in quel tratto di mare così ricco di risorse energetiche e dove passa un terzo del traffico marittimo globale. Per non parlare di diritti umani e di Hong Kong che la Repubblica popolare ritiene problemi di politica interna su cui nessun altro Stato può mettere bocca.
Probabilmente dunque la politica sarà subordinata agli affari. La Cina vorrebbe rinforzare le relazioni bilaterali con l’Unione europea e più di tutto cerca qualcuno che da Bruxelles possa parlare e negoziare a nome di tutta la Ue. I suoi investimenti in questa parte di mondo sono più che quadruplicati in tre anni. Secondo i dati della Deutsche Bank sono passati dai 6,1 miliardi del 2010 ai 27 miliardi di fine 2012. E diversi analisti pensano che questa tendenza è destinata a crescere ancora nel prossimo decennio. La posizione dominante della Cina da un punto di vista economico potrebbe anche influenzare le sanzioni europee alla Russia, e rinforzare l’asse già solido tra Pechino e Mosca.
Approfittando della destabilizzazione degli storici rapporti politici tra Europa e Stati Uniti, il Dragone sta mettendo in atto nella Ue quello che sul Financial Times hanno già definito un secondo piano Marshall. Le aziende cinesi, sia quelle di Stato che quelle private, si stanno accaparrando molti degli asset europei. E non a caso, come nel secondo dopoguerra, una delle zone che godrà di più investimenti è proprio la nostra penisola. Nella prima metà del 2014 se ne è aggiudicata la fetta maggiore: 3,5 miliardi di euro. A cui si sommano gli 8 degli accordi firmati l’altro ieri al latere del viaggio in Italia del premier cinese Li Keqiang.
[Scritto per il Fatto Quotidiano]