#OccupyHK – Come siamo arrivati a questo punto

In by Simone

Hong Kong non sarà una seconda Tian’anmen. Lo dice il Global Times. E il China Daily copre le proteste come quasi ogni altro media di stato: l’ex colonia britannica è nel caos. E su questo non c’è molto da discutere. L’autorità monetaria, di fatto la banca centrale della città, si è dichiarata pronta “a iniettare liquidità nel sistema bancario qualora si rendesse necessario”. I negozi hanno chiuso e anche le scuole. Ma come siamo arrivati a questo punto?
Un migliaio di lavoratori è entrato in sciopero per solidarietà con i manifestanti. E non tornerà a lavorare fino a quando il movimento Occupy Central non arriverà a conclusione. Diverse filiali bancarie non hanno aperto e la borsa ha chiuso perdendo l’1,9. L’autorità monetaria, di fatto la banca centrale della città, si è dichiarata pronta “a iniettare liquidità nel sistema bancario qualora si rendesse necessario”. I negozi hanno chiuso e anche le scuole.

I manifestanti chiedono che il voto con cui nel 2017 dovranno scegliere il governatore della loro città – per la prima volta tramite suffragio universale – sia veramente libero. Ma Pechino, a cui l’ex colonia britannica è stata restituita nel 1997, ha specificato che “solo i candidati patriottici sono eleggibili”. Riducendo di fatto lo spazio di democrazia precedentemente concesso. Ma come siamo arrivati a questo punto?

RESTITUZIONE DI UNA COLONIA
Era il settembre del 1982 quando Deng Xiaoping, l’architetto della Nuova Cina, incontrò la Thatcher a Pechino per discutere sul destino di Hong Kong. La Lady di Ferro insisteva sul fatto che la Gran Bretagna avrebbe dovuto gestire l’ex colonia anche dopo che la licenza sui Nuovi Territori fosse scaduta nel 1997. Ma la sovranità su Hong Kong non era un fatto che poteva essere discusso e le due parti firmarono nel 1984 la Dichiarazione congiunta sino-britannica.

Qui si concordò l’"alto grado di autonomia come regione amministrativa speciale, in tutti i settori ad eccezione della difesa e della politica estera". La Dichiarazione stabilì inoltre che la zona avrebbe mantenuto il suo sistema economico capitalista e garantito diritti e libertà ai suoi cittadini per cinquant’anni. Cioè fino al 2047.  Tali garanzie vennero sancite dalla costituzione, la Legge Fondamentale di Hong Kong (formulata sulla base del Common Law britannico).

GOVERNO E ELEZIONI
Tuttavia, si specificò, quest’ultima sarebbe stata soggetta all’interpretazione del Comitato permanente dell’Assemblea nazionale del popolo. In seguito il governo cinese aveva promesso che il prossimo leader di Hong Kong – che paradossalmente si chiama Amministratore delegato e attualmente è nominato da un comitato di 1.200 individui espressione a loro volta delle lobby economiche –  sarebbe stato scelto attraverso il suffragio universale. Questo sarebbe dovuto avvenire per la prima volta nella prossima tornata elettorale. Ovvero nel 2017.

Ma a luglio scorso, attraverso un libro bianco emanato dal Comitato permanente dell’Assemblea nazionale del popolo, Pechino ha escluso che si potrà candidare chiunque, ponendo l’accento sul fatto che “solo i candidati che amano la Cina sono eleggibili”. Così, i gruppi che avevano già animato il movimento di Occupy Central si sono mobilitati. Il professore di legge Benny Tai, di fatto il portavoce del movimento, ha indetto una campagna di disobbedienza civile. Ma aveva tenuto a freno gli studenti, che già volevano scendere in piazza.

DISOBBEDIENZA CIVILE
“Lo spirito della disobbedienza civile è quello di esaurire tutte le vie legali prima di protestare”. Avevano organizzato un referendum online in cui si erano espressi 800mila votanti (su 3,5 milioni di aventi diritto). Di questi l’87,8 per cento si è dichiarato a favore del suffragio universale convinto che l’organo legislativo di Hong Kong avrebbe dovuto porre il veto a qualunque proposta governativa inferiore agli standard internazionali.

Ma cosa sono 800mila persone rispetto a una popolazione di 1,4 miliardi? Questo era il punto di vista della Repubblica popolare e Leung Chun-ying, il governatore di Hong Kong che è palesemente filopechino,  non ha risposto agli appelli dello schieramento pandemocratico del Consiglio legislativo, di fatto il parlamento di Hong Kong.

OCCUPY!
Gli studenti hanno preso allora le loro decisioni. Il 22 settembre hanno cominciato a boicottare le classi e il 26 hanno forzato i blocchi di fronte agli edifici governativi e ne hanno occupato il piazzale antistante. Ci sono stati almeno 70 arresti, ma i manifestanti si sono barricati e hanno resistito. A Benny Tai non è rimasta altra strada che ufficializzare l’appoggio di Occupy Central al movimento “spontaneo” degli studenti.

Domenica 28 settembre è cominciato ufficialmente il movimento Occupy Central. Si è parlato (ma mancano dati ufficiali) di 80mila persone che hanno preso le vie della città, sicuramente erano decine di migliaia. La polizia ha sparato lacrimogeni sulla folla 87 volte. L’opinione pubblica si è stretta ai manifestanti e la polizia ha rilasciato molti degli studenti che erano stati arrestati 48 ore prima. E il giorno seguente, dopo aver appurato che 46 persone erano finite all’ospedale, ha deciso di ammorbidire il suo approccio.

Nel frattempo 18 membri dello schieramento pan-democratico del Consiglio legislativo, di fatto il parlamento di Hong Kong, si sono detti solidali alle proteste.  Alan Leong, uno di loro, ha dichiarato al South China Morning Post che “dovrebbero unirsi tutti gli hongkonghesi che vogliono mostrare la loro posizione al Partito comunista. Perché – ha aggiunto – questo è un momento significativo per Hong Kong”.

UN MOMENTO DI SVOLTA
Sicuramente siamo ad un punto di svolta nelle richieste di Hong Kong per la democrazia. Per anni gli hongkonghesi hanno evitato un confronto diretto con Pechino nella speranza che le autorità cinesi si persuadessero a lasciargli uno spazio di autogoverno. Ora hanno realizzato che la loro unica strada per ottenere la democrazia è quella di chiederla. Ma è difficile prevedere come finirà il braccio di ferro tra Pechino e l’ex colonia britannica.

Il governatore Leung, che non è riuscito a prevenire i disordini non ha più l’appoggio esplicito della madre patria. Ma la prospettiva che si vada  incontro alle richieste dei manifestanti è altrettanto remota. Lo sapremo presto. Le tensioni dovrebbero raggiungere l’apice oggi, primo ottobre, 65esimo anniversario della fondazione della Repubblica popolare.

[Scritto per Pagina99]