Zhao Lianhai non è uno dei selezionatissimi studenti che ieri, a Shanghai, ha potuto ascoltare il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, parlare di «libertà di religione, d’informazione e di partecipazione politica» come «valori universali». Responsabile di un gruppo di genitori i cui figli sono stati avvelenati con il latte alla melanina nel settembre 2008, secondo quanto riporta l’associazione Human rights in China, Zhao è dal 13 novembre agli arresti.
Con lui sono finiti in cella molti noti dissidenti ed attivisti, tutte voci fuori dal coro, che avrebbero potuto turbare la prima visita ufficiale di Obama in Cina. Un viaggio – iniziato domenica a Shanghai e che da ieri fino a mercoledì proseguirà a Pechino- per consolidare i rapporti tra Usa-Cina. Una visita che il Presidente americano ha voluto iniziare rendendo onore al premio Nobel per la Pace del quale è stato recentemente insignito. Davanti ai trecento giovani che componevano la platea del Museo della tecnologia di Shanghai, Obama ha parlato di libertà e diritti. Diritti umani che, ha affermato l’inquilino della Casa Bianca, « dovrebbero essere garantiti a ognuno, anche alle minoranze etniche e religiose, tanto che vivano negli Stati Uniti, in Cina o altrove». Una premessa che si discosta, e di molto, dall’approccio tenuto dal segretario di Stato americano Hillary Clinton durante il suo viaggio a Pechino lo scorso febbraio. Allora a farla da padrone fu l’economia e non venne spesa nessuna parola sul rispetto dei diritti umani.
Obama parla invece di libertà, coniugata in tutte le sue forme: di espressione, di partecipazione,di religione. Una risposta a quanti, prima del suo arrivo in Asia, si sono appellati a lui perché non si dimenticasse dei diritti umani. È il caso del noto artista ed attivista Ai Weiwei, che dalle pagine del Newsweek afferma di apprezzare Obama «perché rappresenta una speranza per l’America e per il mondo», ma proprio per questo reputa «inconcepibile che visiti la Cina senza mettere in agenda i diritti umani». Anche Ding Zilin, fondatrice delle Madri di Piazza Tiananmen, ha chiesto con una lettera aperta al Presidente americano di intervenire in favore di Liu Xiaobo, l’intellettuale in prigione da quasi un anno per aver promosso il documento pro-democrazia Carta 08. Abbattere il “Great Firewall”, il sistema di censura che limita e «armonizza» l’accesso a internet in Cina, è invece la richiesta di Beifeng, popolare blogger cinese. Un invito accolto da Obama, che nel suo discorso ha affermato, da «grande sostenitore della libertà completa nell’uso di internet», di essere «contrario alla censura». Parole che sarebbero piaciute ai dissidenti e agli attivisti arrestati, o costretti agli arresti domiciliari, alla vigilia dell’arrivo del Presidente americano. Personalità come Qi Zhiyong, dissidente gambizzato dai carri armati durante la protesta di Tiananmen nel 1989, che in una intervista all’agenzia di stampa tedesca Dpa ha confermato di essere agli arresti domiciliari dallo scorso nove novembre.
O come Zhang Hui, direttore dell’istituto di ricerca Mr Democracy, posto dalla polizia sotto stretto controllo. Ma Obama, pur con un’intrusione su un tema – quello dei diritti – che Pechino considera di stretta politica interna, tende la mano ad una Repubblica popolare «forte e prospera» della quale non vuole contenere la crescita. Non manca inoltre il pieno sostegno americano alla «politica di una sola Cina», affinché possano migliorare i rapporti tra Taiwan e la Repubblica Popolare Cinese. Il vero nodo rimane però il rapporto tra Washington e il Tibet. Secondo le indiscrezioni apparse ieri sul quotidiano di Hong Kong South China Morning Post ,che cita anonime fonti diplomatiche cinesi, nei desideri di Pechino il Presidente americano dovrebbe riconoscere pubblicamente la sovranità cinese sulla regione. E per fare pressioni su Obama, il ministero degli Esteri cinese ha scomodato addirittura Abramo Lincoln, giudicando incompatibile l’ammirazione del premio Nobel per il Presidente che ha abolito la schiavitù negli Usa con il sostegno alla causa tibetana. La regione infatti, afferma Pechino, è stata liberata dalla schiavitù nel 1951, con l’occupazione da parte dell’Esercito di liberazione popolare. Una proposta che difficilmente verrà accettata. Per ora Obama ha conquistato i giovani studenti presenti all’incontro. Per i «futuri leader della Cina» il Presidente Usa è il «grande padre del mondo». Da oggi, però, dovrà convincere gli attuali leader del Paese di mezzo.
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[Pubblicato su Il Riformista il 17 novembre 2009]
[foto Xinhua]