Giungla, trincee, mine, oppio e religione. Un nuovo Ebook di Gabriele Battaglia e Nicola Longobardi racconta il conflitto dimenticato dei kachin, guerrieri delle colline, che da decenni si battono contro l’esercito birmano per ottenere l’autonomia. Un esperimento di giornalismo narrativo e multimediale a cura di Informant. Ne pubblichiamo un estratto. Per avere un primo contatto con la guerra combattuta, bisogna fare visita al colonnello Tong Lar, comandante della 3a brigata del Kia.
Il Kachin Independent Army non è solo il braccio armato della Kachin Independence Organization: l’esercito di liberazione, in realtà è nato prima dell’organizzazione politica. Fu creato nel 1958 all’Università di Rangoon da sette studenti, che si autonominarono «le sette stelle» perché «ci incontravamo sempre a mezzanotte, quando le sette stelle di Orione sono alte nel cielo», avrebbe poi raccontato Malizup Zau Mai, uno di loro.
Apparentemente, decisero di seguire i karen e altre minoranze nella guerra contro il governo per due motivi. Primo: la Birmania aveva appena fatto un accordo territoriale con la Cina in cui si riprendeva delle zone di confine e ne cedeva altre, tra cui alcuni villaggi kachin. Il popolo si trovò quindi improvvisamente diviso in due.
Secondo: in vista delle elezioni del 1960, il primo premier della Birmania indipendente, U Nu, mise nel programma elettorale l’imposizione del buddismo come religione di Stato. Una terribile provocazione per le cristianissime orecchie kachin.
Il Kia aveva solo fucili della seconda guerra mondiale e poche munizioni. Con l’attacco alla tesoreria del governo nella cittadina di Lashio, l’8 febbraio 1961, si intascò un po’ di risorse e diede di fatto inizio alla guerra per la creazione della “libera repubblica kachin”. La guerra che durò fino al cessate il fuoco del 1994.
Lo studio del colonnello Tong Lar sta nella sua residenza all’interno della locale guarnigione del Kia, poco fuori Maijayang. Lui mi riceve nel salone adiacente.
Dice di essere cristiano battista, ma da subito appare soprattutto un vero marxista, teorico di un esercito di popolo. Dice di avere letto sei o sette volte La guerra di guerriglia di Che Guevara e non si sa quante Sulla guerra di lunga durata, di Mao Zedong.
Ha appena compiuto 50 anni, è un bell’uomo, simpatico, che capisce perfettamente l’inglese ma preferisce servirsi di un interprete per esprimere il suo pensiero. Ex studente di fisica all’università di Rangoon, lasciò gli studi negli anni Ottanta per formare un’associazione di studenti kachin, di cui lui era il segretario e un suo amico il presidente. Fa una pausa, sorride ironicamente e conferma: «Sì, eravamo solo in due».
Tong Lar cercò di entrare nel Kia perché voleva combattere, ma quando uno dei leader dell’epoca lo ricevette, dopo un’ora di indottrinamento politico lo rispedì in città, perché c’era bisogno di attivisti urbani. Ricorda di essere riuscito a entrare nell’esercito di liberazione solo al terzo o quarto tentativo.
Racconta divertito che suo zio, Sai Tu, anche lui comandante di un reggimento del Kia, assassinò tre leader del movimento indipendentista: i fratelli Zaw Sai, Zaw Tu e Pon-Shwe Zaw Sai. Lo fece nel 1975 a Htan-Poe, in Thailandia. Poi qualcuno spedì un messaggio al quartier generale tra le colline kachin comunicando che da quel momento il trio «non sarebbe più stato in grado» di inviare ordini.
Il Kia spiegò all’epoca il multiplo assassinio con il fatto che i leader avevano «manipolato» l’organizzazione, ma c’era anche malcontento diffuso per il fatto che si trovassero in Thailandia mentre il Kia subiva l’attacco dell’esercito birmano. Inoltre – si vociferò – avevano «usato male» i soldi del narcotraffico e del contrabbando di giada, in quegli anni le principali fonti di finanziamento degli indipendentisti kachin. Indagando meglio, si scoprì anche che Zaw Tu aveva imposto ai subordinati una politica matrimoniale molto restrittiva, mentre lui aveva pensato bene di prendersi due mogli. Poco accorto.
Altre fonti accusarono invece lo stesso Sai Tu, l’assassino e zio del colonnello, di essere una spia di Rangoon. I motivi non furono mai del tutto chiariti, ma danno l’idea di che razza di mondo intricato sia sempre stato quello delle organizzazioni kachin. La famiglia del colonnello Tong Lar e quella dei leader assassinati si sono comunque riconciliate pochi mesi fa.
Seduto in poltrona, mentre sorseggia tè, il colonnello spiega più volte che la sua vita coincide con la missione che chiama «rivoluzione».
Sul muro in fondo della sala, c’è un calendario cinese con il ritratto del presidente Xi Jinping. Tong Lar spiega che i rapporti con la Cina sono buoni «fin dai tempi di Mao», quando i leader kachin furono ricevuti e ospitati a Pechino in piena Rivoluzione Culturale.
Nel 1967, Brang Seng, un leader kachin, attraversò il confine per cercare un contatto con i cinesi. Venne ospitato da Zhou Enlai che fu ben felice di stringere un’alleanza militare con l’ennesimo gruppo combattente del Sudest Asiatico. Da allora, i cinesi presero ad armare l’etnia dall’altra parte del confine. Nel 1968, l’eroe kachin Naw Seng, quello che era fuggito in Cina nel 1951, tornò in forze, alla guida dei comunisti birmani ospitati al di là del confine e di parecchi volontari cinesi che però non dovevano risultare. Per Pechino, oltre alla componente ideologica, si trattava soprattutto di fare piazza pulita di quei distaccamenti del Kuomintang che erano fuggiti in Birmania nel 1949, quando il grosso dell’esercito nazionalista sconfitto era invece riparato a Taiwan. I cinesi anticomunisti si erano adattati piuttosto rapidamente alle foreste birmane e si mantenevano altrettanto bene con il narcotraffico e con i finanziamenti taiwanesi, thailandesi e, assai probabilmente, statunitensi.
Foraggiata e in parte anche partecipata dalla Cina, la guerriglia comunista birmana visse il suo periodo di massimo splendore, conquistando un enorme territorio sui confini nord-orientali e sconfiggendo ripetutamente il Tatmadaw e gli eserciti etnici che le si opponevano.
All’esercito rosso si unì anche parte dei kachin, mentre altri, come già nel 1949, si schierarono dalla parte del governo birmano. Tra i combattenti comunisti, i kachin di Naw Seng si distinsero come i più valorosi. Ma il 9 marzo 1971, Naw Seng morì in circostanze misteriose. Secondo una prima versione del Partito comunista birmano era caduto da cavallo; poi, si sostenne che era finito in un crepaccio durante un combattimento. Tuttavia, molti kachin sostengono da sempre che sia stato assassinato dagli stessi comunisti perché si rifiutava di combattere contro la propria gente. Nel 1976, sarà poi Brang Seng, diventato leader del Kio, ad allearsi con il Partito comunista: le armi cinesi continueranno ad arrivare a pioggia.
Anche oggi – dice il comandante Tong Lar – il Dragone aiuta il Kio/Kia indirettamente, lasciando ai kachin la possibilità di utilizzare il proprio lato del confine come retrovia.
Mi fa vedere un M23, il fucile d’assalto che si ispira al cinese M81 ma che è stato reso più piccolo per via della statura inferiore dei kachin e per la forte presenza di donne nel Kia. È modificato a lanciagranate, che si avvitano sulla canna, ma può essere utilizzato anche come semplice arma d’assalto. In definitiva è la versione bootleg di un’arma cinese che a sua volta è una rimanipolazione dell’Ak47, il Kalashnikov, di cui usa gli stessi proiettili 7.62. C’è sopra inciso il simbolo del Kia.