Il governo cinese ha sancito in una circolare distribuita mercoledì la riforma dell’hukou, il sistema di residenza obbligatorio che è all’origine della grande diseguaglianza cinese. È un cambiamento enorme, che di fatto elimina la distinzione tra cittadini di serie A e serie B, su cui si è basato il boom economico degli ultimi trent’anni.
L’hukou stabilisce che i membri di una famiglia abbiano accesso a diritti, servizi e benefit sociali solo nella località di residenza. Se si spostano, non ce li hanno più. Per intenderci, i figli dei migranti rurali che stanno in città, non possono andare a scuola come i loro coetanei. La pensione di un anziano contadino è più bassa di quella di un anziano cittadino. E così via. Ora anche i migranti rurali che ormai vivono stabilmente nelle grandi città, senza però avere accesso agli stessi diritti dei residenti urbani, saranno messi sullo stesso piano.
L’hukou è un sistema antico, atto a controllare gli spostamenti della popolazione. Fu reintrodotto poi nel 1958, all’epoca del Grande Balzo in Avanti, per legare la popolazione alle comuni popolari. Sia inteso: non era concepito solo come misura liberticida, bensì come strumento per garantire un welfare povero ma efficiente in un contesto di economia pianificata.
Con l’avvento del capitalismo di Stato, alla fine degli anni Settanta, la gente ha cominciato a spostarsi comunque e il processo è stato incoraggiato perché era funzionale allo sviluppo industriale: i lavoratori migranti fluivano verso le città e le Zone Economiche Speciali create da Deng Xiaoping e costituivano quell’esercito industriale di riserva che ha permesso alle industrie occidentali di delocalizzare (sia fabbriche sia investimenti) e alla Cina di crescere sull’onda dell’export.
Era proprio il mantenimento dell’hukou a garantire forza lavoro a basso costo, perché i contadini immigrati non avevano diritti e potere contrattuale.
Si creò così una liudong renkou ("popolazione fluttuante") mercificata e priva di diritti, in un regime economicamente inclusivo ma socialmente e politicamente esclusivo. Una sorta di apartheid non basato sulla razza, ma sulla localizzazione geografica: la polarizzazione città-campagna.
Sia inteso: spesso erano gli stessi migranti rurali a non volere il cambio dell’hukou. Il motivo è semplice: in città si spezzano la schiena senza avere accesso ai diritti, ma nelle fasi di recessione possono tornare al villaggio dove, in virtù dell’hukou, hanno una serie di ammortizzatori sociali “poveri” ma garantiti (il pezzetto di terra, il maiale, l’ambulatorio medico) che permettono loro una vita decente.
Oggi la Cina vuole cambiare la sua economia e creare un grande ceto medio urbano che non produca più accendini, bensì innovazione, tecnologia, valore aggiunto. Per fare questo, è necessario dare diritti e servizi a tutti. L’hukou non corrisponde più alle esigenze della nazione.
Verrà cambiato gradualmente, secondo costume cinese, e soprattutto varierà a seconda della struttura amministrativa della Cina: Il governo rimuoverà i limiti di registrazione delle famiglie nei comuni e nelle piccole città; li allenterà nelle città di medie dimensioni; renderà invece espliciti i criteri di registrazione, senza abolirla, nelle grandi città.
Le differenze dipendono dal fatto che la leadership cinese teme che togliere semplicemente ogni restrizione indurrebbe milioni di abitanti rurali in cerca di fortuna a riversarsi nelle grandi città già intasate: un processo di urbanizzazione intenso e disordinato che è il contrario di ciò che si vuole ottenere ora, cioè una urbanizzazione sostenibile. Così, si incentiva la gente ad andare nei centri minori e si rende più difficile l’accesso alle megalopoli.