Il giudice Dee e i delitti del labirinto cinese

In by Simone

Cina, 670 d.C. Il giudice Dee è stato da poco assegnato al distretto di Lanfang, estremo avamposto sulla frontiera occidentale del Celeste Impero. Questa sperduta cittadina costantemente minacciata di invasione dalle tribù barbare degli uiguri è sotto il controllo del tiranno locale Chien Mow che, con la forza e l’inganno, ha ridotto all’impotenza i precedenti magistrati. China Files vi regala un’anticipazione de I delitti del labirinto cinese (per gentile concessione della casa editrice ObarraO).
Di colpo gli occhi dell’anziano gentiluomo si accesero mentre con la mano si tirava irosamente la lunga barba. «Ah!» esclamò. «La mia famiglia è effettivamente un ramo della stirpe dei Dee che ha dato i natali al grande giudice Dee, e io sono molto orgoglioso di annoverarlo tra i miei antenati. Pure al tempo stesso tale fatto è causa di frequenti contrarietà. Mentre consumo la mia scodella di riso in un ristorante o bevo l’infuso fragrante in una casa da tè, molto spesso sento gli altri clienti raccontarsi fatti che riguardano il mio illustre avo.

Sebbene quanto dicano circa la brillante carriera di Dee Jendjieh alla Corte Imperiale di solito sia sostanzialmente esatto – tali fatti possono essere verificati consultando gli annuali ufficiali della dinastia Tang –, il più delle volte tuttavia, quegli ignoranti trattano, deformandoli, episodi della prima parte della carriera di Dee Jendjieh, quando egli ricopriva la carica di magistrato di distretto nelle province ed era diventato famoso come “giudice Dee” per avere risolto molti misteriosi casi criminali. Da innumerevoli generazioni nella mia famiglia si trasmette fedelmente l’autentica versione della maggior parte di quei casi, e mi irrita enormemente dover ascoltare tutte quelle storie spurie che si narrano nelle case da tè, e di solito mi allontano senza terminare il pasto.»

L’anziano signore scosse il capo battendo stizzito il bastone sul pavimento. Lietissimo di apprendere che il mio interlocutore era per l’appunto discendente del celebre giudice Dee, mi alzai per rivolgergli un profondo inchino a indicare il mio rispetto per la sua illustre casata, quindi dissi: «Venerabile signore, io sono studioso appassionato delle cronache autentiche dove si descrivono i successi conseguiti dagli eminenti giudici del nostro glorioso passato nazionale. Tali cronache non solo rafforzano la virtù e migliorano i costumi, ma costituiscono inoltre un grave monito per tutti i malfattori. Non si può infatti trovare prova più eloquente di quanto fittamente è tessuta la rete della Giustizia, e di come nessun reo alla lunga riesca mai a sfuggire a quelle maglie.

A parer mio non c’è nell’antichità un investigatore che possa paragonarsi al giudice Dee. Da molti anni raccolgo diligentemente appunti sui casi risolti dal suo vivido intelletto. Adesso che un destino propizio mi ha concesso questo incontro con voi, signore, che siete preziosa fonte di informazione su questo argomento, mi chiedo se non sia abusare della vostra cortesia pregarvi umilmente di concedermi l’onore di ascoltare dalle vostre labbra le vicende di alcuni casi meno noti».

Il vecchio gentiluomo acconsentì prontamente e io lo invitai a partecipare a una semplice cena. Stava calando il crepuscolo e i clienti avevano lasciato la terrazza per entrare nel ristorante dove i servitori avevano acceso candele e lampioncini di carta colorata. Evitai la sala principale con il baccano di tutta quella gente che mangiava e condussi il mio convitato in una piccola saletta laterale che si affacciava sul lago, sopra il quale riverberavano i bagliori rossastri del tramonto.

Ordinai una cena per due di quattro portate e una caraffa di vino tiepido. Assaggiato il cibo e bevuto qualche bicchiere, l’anziano signore si accarezzò i lunghi baffi e prese a dire: «Vi narrerò la storia di tre straordinari casi di criminalità che il mio venerato avo, il giudice Dee, risolse in circostanze quanto mai insolite. A quell’epoca occupava la carica di magistrato a Lanfang, un distretto molto isolato sul confine nordoccidentale del nostro Impero».

E iniziò quindi un lungo racconto complicato. Sebbene quanto mi narrava non fosse privo di interesse, il mio ospite si dimostrò molto incline a digressioni prolisse e la sua voce era uggiosa e monotona come il ronzio di un calabrone. Dopo un po’ sentii che la mia attenzione cominciava a illanguidire. Per schiarirmi la mente bevvi tre coppe una dopo l’altra, ma quel liquido ambrato non fece che aumentare il mio torpore. La voce del mio interlocutore continuava in quel suo borbottio e a me pareva di sentire l’essenza del sonno frusciare nell’aria stagnante.

Quando mi risvegliai mi ritrovai da solo in quella saletta fredda, abbandonato sul tavolo, la testa appoggiata alle braccia. Un arcigno cameriere, in piedi accanto a me, mi disse che la prima ronda notturna era già passata, avevo forse preso quel ristorante per una locanda dove la gente potesse trascorrere la notte a suo piacimento? Mi sentivo la testa pesante e non riuscii subito a trovare la risposta adatta per mettere al suo posto quello zoticone villano, chiesi invece del mio ospite descrivendone l’aspetto con dovizia di particolari.

Il cameriere rispose che nella prima parte della serata aveva servito in un’altra sala del ristorante, e comunque credevo forse che avesse il tempo di stare a squadrare tutti i clienti? E quindi mi presentò il conto di una cena per due, di sei portate, più otto caraffe di vino. Non mi restò che pagare, sebbene a quel punto cominciassi a nutrire il dubbio che l’incontro con quel vecchio gentiluomo fosse stato solo un sogno, e che quel furfante di un cameriere approfittasse del mio stato di confusione mentale per farmi spudoratamente pagare più del dovuto.

Me ne andai con la sgradevole sensazione di essere stato truffato e tornai a casa percorrendo le strade deserte. Il mio servitore era rannicchiato in un angolo della biblioteca, immerso in un sonno profondo. Non lo svegliai e mi diressi in punta di piedi agli scaffali da cui presi gli annali della dinastia Tang, il Gazzettino Imperiale e i miei appunti sul giudice Dee. Esaminati questi documenti scoprii che per quanto il racconto del vecchio gentiluomo in linea di massima concordasse abbastanza con i fatti storici, non esisteva alcun centro chiamato Lanfang sulla frontiera occidentale. Mi dissi che forse avevo capito male quel nome e stabilii di far visita all’anziano signore il giorno appresso per chiedergli ulteriori delucidazioni.

Allora mi accorsi sgomento che sebbene ricordassi ogni particolare della storia narratami, per quanto mi sforzassi non riuscivo a rammentare alcun particolare concernente la sua persona: avevo dimenticato il suo nome completo e il suo indirizzo attuale. Scossi il capo, inumidii il pennello e quella notte stessa mi accinsi a trascrivere tutto il racconto fattomi, e deposi il pennello solo al canto del gallo. Il giorno seguente feci ricerche approfondite presso le mie conoscenze ma nessuno aveva mai sentito parlare di un prefetto a riposo di nome Dee residente nella nostra città, né le successive indagini portarono luce sul suo luogo di residenza. Ma neppure questo dissolse i miei dubbi.

Il vecchio gentiluomo poteva essere semplicemente di passaggio, o poteva vivere in campagna. Così adesso mi prendo la libertà di presentare questa storia così com’è, lasciando al giudizio del lettore oculato di decidere se il mio incontro presso il laghetto dei loti è stato sogno o realtà. Se la narrazione di questi tre misteriosi crimini distrarrà per qualche momento chi legge dalle ansie e dalla tensione della vita quotidiana, non rimpiangerò le monete estortemi. Poiché, comunque siano andate le cose, quel cameriere era evidentemente un ignobile furfante: è inconcepibile infatti che uno, o anche due gentiluomini di gusto raffinato possano mai consumare otto caraffe di vino in una serata.

*Robert van Gulik (Olanda, 1910-1967). È considerato lo scopritore del giallo cinese. Trascorre l’infanzia a Giava, si specializza in sinologia all’Università di Leiden e, dopo aver conseguito il dottorato in Filosofia a Utrecht, intraprende la carriera diplomatica in India, Cina, Giappone, Malesia, in Africa e negli Stati Uniti. Tornato in Cina nel 1943, sposa una ragazza di una nobile famiglia di mandarini. “Un uomo occidentale con il cuore orientale”: fine sinologo e scrittore, calligrafo, musicista e antropologo, conosce alla perfezione varie lingue occidentali, asiatiche e africane. Oltre ai suoi numerosi romanzi gialli, ha lasciato alcuni importanti studi sulla civiltà cinese tra i quali Erotic colour prints of the Ming period e La vita sessuale nell’antica Cina (Adelphi). China Files ha pubblicato anche uno stralcio de I delitti del chiodo cinese.