Il blog e l’account di microblog di uno dei commentatori più indipendenti della rete è stato sospeso. Ma ancora non sono chiari i motivi. Li Chengpeng, classe 1968, è un giornalista e un opinionista di spicco. Il Global Times gli ha dedicato un editoriale in cui sostiene che i "radicali liberi" come Li "devono pagare il prezzo delle loro critiche".
Li Chengpeng ha 45 anni, si vede spesso in tv e ha scritto diversi libri che hanno venduto molto bene. Ha iniziato la sua carriera giornalistica documentando la corruzione all’interno delle aziende calcistiche professioniste cinesi. Nel 2012 ha fatto scalpore la sua candidatura per l’Assemblea del popolo del distretto di Wuhou (Chengdu), carica a cui in teoria possono concorrere tutti i maggiorenni ma che di fatto è riservata a candidati nominati dal Pcc.
Ma soprattutto è noto per i suoi commenti che diffonde su blog e social media. A differenza della maggior parte dei commentatori espone le sue opinioni con coraggio, senza preoccuparsi di toccare temi “sensibili” come la pena di morte, la censura o la violenza gratuita dei cosiddetti tutori dell’ordine pubblico.
I suoi profili online sono seguiti da oltre sette milioni di follower, che si sono immediatamente accorti della scomparsa dalla rete delle piattaforme che gestiva. “Anche se non approvo i commenti di Li – ha scritto su Weibo, il twitter cinese, Tao Jingzhou un avvocato che esercita a Pechino – sono contrario alla sospensione del suo account”.
La discussione online ha coinvolto diversi commentatori, ma una persona “a conoscenza dei fatti” ha dichiarato al South China Morning Post che la sospensione dei suoi account non è dovuta al discorso che ha tenuto all’Università di Pechino. Considerando che l’Università non aveva in alcun modo annunciato la sua lezione, infatti, molti degli utenti ritenevano plausibile che fosse questo il motivo.
Non è la prima volta che Li Chengpeng ha problemi con le autorità. L’anno scorso era stato fisicamente attaccato dai cosiddetti estremisti di sinistra durante la presentazione di un suo libro e, sempre l’anno scorso, indossò una maschera per protestare contro il divieto di presentare il suo libro a Chengdu, nella regione sudoccidentale del Sichuan. Sebbene nessuno sia stato ancora in grado di raggiungerlo telefonicamente per un commento, in queste occasioni aveva rilasciato interviste dichiarando che gli era stato intimato di non commentare pubblicamente.
Precedentemente era intervenuto attivamente in molti tragici eventi della storia recente cinese. Il suo intento dichiarato è sempre stato quello di restituire la verità alla storia. I suoi post più famosi coincidono con gli eventi più importanti degli ultimi anni: nel 2008 sul terremoto nel Sichuan, nel nel 2012 sull’inondazione di Pechino, o in occasione del primo anniversario del disastro ferroviario nel Zhejiang, quando pubblicò una foto sul luogo dell’incidente, invitando i netizen a non dimenticare.
Il 25 maggio del 2011, con lo slogan: “Senza il tuo permesso, non posso essere tuo rappresentante”, Li aveva la sua candidatura alle elezioni dei rappresentanti al Congresso Nazionale a Chengdu, nel Sichuan. Lo aveva fatto tramite Weibo, il social network allora più utilizzato nella Repubblica popolare. Nonostante l’aperto sostegno di alcuni professori e importanti personalità nel campo della cultura, perse la corsa perché “mancava la lettera di presentazione congiunta”, ovvero non era stato presentato dal Partito. In quel periodo, forse proprio grazie al gesto provocatorio di Li Chengpeng, si era parlato molto delle elezioni locali e dello spazio concesso ai candidati indipendenti nelle tornate elettorali cinesi.
Nell’ultimo anno sono state sospese le piattaforme di diversi personaggi pubblici che avevano diversi milioni di follower. La stampa li aveva nominati “Big V”, ovvero i Vip di Internet. L’episodio più eclatante è stato sicuramente quello dell’imprenditore e blogger Xue Manzi, costretto a un’autocritica sulla televisione di stato che ha ricordato a molti le atmosfere della Rivoluzione culturale. Aveva dichiarato che i suoi 12 milioni di follower l’avevano fatto sentire come “un imperatore che curava gli affari di Stato” e che negli oltre 85mila messaggi postati sul suo account aveva diffuso anche informazioni non verificate, rivelatesi poi semplici voci.
Da allora è cominciata una vera e propria campagna di rettifica contro le “Big V”, “le cui opinioni e i cui falsi messaggi – secondo l’agenzia ufficiale di stampa Xinhua – possono influenzare milioni di persone”. Il 19 agosto scorso, il presidente Xi Jinping aveva dichiarato esplicitamente che il Partito comunista doveva “scatenare una guerra per conquistare l’opinione pubblica” e che i new media erano un terreno privilegiato di questa lotta.
Online gira il contenuto del discorso di Li Chengpeng all’Università di Pechino che secondo molti internauti avrebbe fatto scattare la chiusura del suo blog. Si legge: “Non sono uno che si interessa di politica, ma perseguo i diritti che merito: il diritto di scrivere e quello di parlare”. E ancora: “Spero che questa nazione abbia perso il diritto alla parola solo temporaneamente”.