Dopo Asia ed Europa, Doraemon, il gattone blu venuto dal 22esimo secolo, ha conquistato anche gli Stati Uniti. La scorsa settimana è stata trasmessa la prima puntata dell’adattamento Usa di uno dei manga più amati nel Sol Levante. Un personaggio che non è più un passatempo per bambini, ma un agente della strategia nazionale giapponese. Doraemon approda negli States. Due anni di duro lavoro ed ecco che il gatto blu senza orecchie, ambasciatore della cultura pop giapponese all’estero, un “eroe asiatico” secondo lo scrittore Pico Iyer, entra nelle case delle famiglie americane.
Frutto di un accordo tra Tv Asahi, la corporation giapponese che gestisce la distribuzione dell’anime, e Disney, la serie – originariamente disegnata nel 2005 a quasi 32 anni di distanza dalla sua prima versione del 1973 – è arrivata negli Usa “ripulita” delle sue caratteristiche giapponesi.
[Foto credit: oricon.co.jp]È la “localizzazione”, bellezza. Nomi e abitudini dei personaggi sono infatti stati modificati per agevolare di più la ricezione del prodotto nei giovanissimi statunitensi. Nobita, il ragazzino occhialuto amico del gattone robot, si chiamerà Noby e maneggerà dollari invece di yen. Invece di dorayaki e manju (dolcetti tipici giapponesi ripieni di marmellata di fagioli rossi) acquisteranno frutta.
Come già ai suoi esordi in Giappone, sia i fumetti sia le serie animate con protagonista il sorridente gatto dal 22esimo secolo avevano una profonda connotazione moralistica per le giovani generazioni. Comportatevi bene, siate coraggiosi, onesti e gentili con il prossimo e mai arrendersi: tutti temi popolari anche qui in Italia fin dai tempi di Collodi e non meno ricorrenti nei manga shonen, dedicati al pubblico dei più giovani.
Nella sua versione statunitense, il focus invece sarà sulla corretta alimentazione. Inoltre, scene di "violenza" – il bullo Gian che si rifà sul mingherlino Nobita – o scene più intime – come la giovane Shizuka che fa il bagno – sono state espunte secondo le leggi federali.
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In Giappone tutti conoscono Doraemon. Anche le nuove generazioni – il manga è piuttosto datato, le prime vignette di Fujiko Fujio sono del 1969 – sono cresciute in compagnia del simpatico Doraemon. In Giappone, entrando in una qualsiasi libreria, lo si può infatti ammirare su manuali e dizionari per i più piccoli. E anche all’estero lo si può trovare sui manuali di giapponese per stranieri.
[Nelle foto: un dizionario di inglese e un manuale di storia del Giappone. Foto credit: amazon.com]
“Doraemon è il Topolino asiatico. Sono molto felice che finalmente sia arrivato negli Stati Uniti”, aveva spiegato all’agenzia di stampa Kyodo Yoshihiko Shinoda, amministratore delegato della Fujiko F Fujio Pro Co. Che oggi gestisce l’enorme capitale – si calcola che siano circa 100 milioni le copie del manga vendute in tutto il mondo e l’anime distribuito da Hanoi a Hong Kong, dall’India all’Italia – legato al faccione rotondo del gattone blu venuto dal futuro.
Doraemon non è solo un prodotto made in Japan ben inserito nel mercato globale. È interesse di Stato. Nel 2008, Doraemon viene nominato dall’allora ministro degli Esteri giapponese Masahiko Komura “ambasciatore degli anime”.
[Marzo 2008, Doraemon con il ministro Komura. Foto credit: chinapost.com.tw]“Spero di far capire a quanti vivono all’ estero ciò che i giapponesi pensano, i nostri stili di vita e il tipo di futuro che vogliamo costruire”, aveva spiegato Doraemon stesso, con l’aiuto della sua doppiatrice nascosta dietro un pannello di carta, nell’occasione.
“Il Giappone siede su una riserva enorme di soft power”, scriveva nel 2002 su Foreign Policy Douglas McGray. E in qualche modo sembra che oggi il governo guidato dal conservatore Shinzo Abe stia cercando di riaccendere il “’Cool’ interno lordo” del Giappone.
Prima di lui ci aveva provato l’attuale ministro delle Finanze Taro Aso, cinque anni fa a capo del governo: la promessa era stata di rendere il soft power la pietra angolare della strategia nazionale del 21esimo secolo, ma la grandeur si era presto esaurita. A metà del 2013 le cose hanno iniziato a farsi più serie e viene creato nell’ambito degli stimoli fiscali del governo all’economia un fondo – il Japan Brand Fund – per la promozione del “Cool Japan” nel mondo. L’investimento era consistente: circa 37 miliardi di yen (quasi 270 milioni di euro).
Gli Usa sono un bel traguardo per Doraemon e la strategia d’immagine di Tokyo. Ci si aspetta infatti che Doraemon, pur addomesticato agli standard americani, segua il successo di altri titoli – soprattutto anime – che tra la fine degli anni 90 e i primi anni 2000 hanno portato all’affermazione del Giappone come "potenza egemone" della cultura popolare. Da Pokémon hegemon a Doraemon hegemon.
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