La Cina si troverebbe sull’orlo di una bolla, questa volta energetica che potrebbe mettere a rischio la stabilità finanziaria del paese. A lanciare l’allarme un rapporto pubblicato all’inizio di giugno dalla “Carbon Tracker Initiative”, una Ngo composta da un gruppo di analisti finanziari la cui mission è quella di allineare la transizione a livello globale verso un’economia più verde con una trasformazione responsabile del sistema finanziario, in collaborazione con Association for Sustainable and Responsible Investment (ASrlA), che promuove gli investimenti sostenibili in tutta l’Asia. Il documento fa il punto sui rischi legati agli investimenti cinesi in risorse carbonifere, soprattutto alla luce delle politiche ambientaliste preannunciate da Pechino e volte a ridurre gradatamente nel tempo la dipendenza da fonti fossili (in particolare dal carbone) ormai diventata il primo emettitore al mondo. Circa i due terzi dell’energia elettrica cinese è infatti generata da centrali a carbone, e il consumo cinese sta superando quello annuale di Stati Uniti, Unione Europea e Giappone, messi insieme.
Ad oggi la dipendenza dal carbone non sembra poter essere messa in discussione e il China energy research institute (Eri) la fissa a un orizzonte temporale di almeno 10-15 anni ancora. Sebbene si stia vivendo un picco nel consumo di carbone mentre la Cina continua a investire (sia in innovazione verso il carbone pulito, sia in importazioni di carbone dall’estero), il paese si muove anche nella direzione contraria con l’obiettivo di liberarsene.
La Cina, come è noto, ha da qualche tempo imboccato la via della diversificazione del proprio mix energetico, attraverso sostanziosi investimenti in fonti energetiche rinnovabili come solare, eolico e il nucleare. Un rallentamento stanno invece subendo i grandi investimenti nell’idroelettrico che si sono nel passato sostanziati in progetti di ingegneria mastodontici come la Diga delle tre gole, pare però destinati a lasciare il passo a progetti meno invasivi. In termini numerici il paese intende ridurre il consumo di carbone ad almeno il 65% entro il 2015, e mira ad aumentare la percentuale di energie rinnovabili nel mix energetico, in modo da raggiungere l’11,4% di consumi di energia primaria soddisfatti da risorse non fossili, entro il 2015.
In questo scenario, che non è chiaramente ristretto all’energia ma che si allarga all’ambito finanziario (le grandi banche cinesi sono infatti i primi finanziatori del settore, si veda l’infografica sotto per le quote di investimenti delle borse cinesi corrispondenti) esiste un rischio reale.
Le aziende che producono carbone e combustibili fossili in genarale, continuano infatti a quotare in borsa le proprie risorse (che di fatto consistono nel potenziale produzione non ancora realizzata) che gli investitori – privati quali assicurazioni o banche di investimento, ma anche istituzionali come i fondi pensione o i fondi sostenibili – continuano ad acquistare nel loro portafoglio.
Come illustrato dalla infografica sotto, complice un rallentamento della crescita cinese, quantomeno quella legata ai comparti energy intesive per favorire l’innovazione e l’up grade tecnologico, le politiche “verdi” di Pechino, l’imposizione da tempo paventata di una Carbon tax, ci sono tutti gli elementi per ritenere che la domanda di carbone sia destinata a un progressivo declino, a favore di fonti rinnovabili. In questo scenario verosimile, si verificherebbe una perdita di valore di mercato degli investimenti effettuati in potenziale produzione di carbone, che non risulteranno quindi monetizzabili.
Questa bolla creata dagli stranded assets, risorse ormai obsolete e non più redditizie, rischia dunque di esporre a gravi rischi il settore finanziario (e in ultima istanza dei risparmiatori spesso non a conoscenza dei rischi), data la grande esposizione delle banche e dei fondi pensione, attraverso strumenti di azionariato, bond e prestiti, alle società attive nel settore dei combustibili fossili.
I rischi a cui gli investitori sono esposti sono calcolati basandosi sulla comparazione tra gli scenari proposti dalla IEA (International Energy Association) che ragiona secondo una logica di progressione in cui il trend individuato prosegue senza interruzioni (business as usual) , e quelli di alcune banche di investimento.
Le proiezioni illustrano come 437GW di capacità generativa di carbone siano a rischio di non venir assorbiti dal mercato domestico entro il 2020. L’allarme sembra ancora più giustificato dalle recenti dichiarazioni dell’amministrazione Obama, che da sempre fa muro al raggiungimento di un accordo restrittivo sulle emissioni e che – forse complice l’approssimarsi dell’appuntamento Parigi dove verrà negoziato un nuovo accordo internazionale sul clima che andrebbe a sostituire quello di Kyoto formalmente scaduto ma ancora valido in assenza di alternative – ha dichiarato poche settimane di voler porre un limite alle proprie emissioni.
La risposta cinese non si è fatta attendere e il paese ha annunciato di voler ugualmente fissare una propria “carbon cap” senza però specificarne l’entità. “E’ necessario porsi degli interrogativi sull’opportunità o meno di impegnare miliardi in capitali per accrescere le forniture di carbone in un mercato che si sta progressivamente restringendo “ ha affermato Anthony Hobley, chief executive officer di Carbon Tracker. Il messaggio è chiaro, se vogliamo prevenire una bolla energetica bisogna agire per tempo.
Perché l’evoluzione verso l’ecological civilization di cui si parla da anni in Cina, deve necessariamente passare anche dal sistema finanziario e da un suo adattamento alle nuove condizioni.
Infografica di Margherita Gagliardi, The Carbon tracker
*Nicoletta Ferro si è occupata delle dinamiche politiche e aziendali legate alla sostenibilità, prima come senior researcher presso la Fondazione Eni Enrico Mattei a Milano, in seguito per 7 anni da Shanghai. Oggi è ricercatrice presso il CRIOS (Center for Research in Innovation, Organization and Strategy) dell’Università Bocconi e responsabile dello sviluppo asiatico di GOLDEN (Global Organizational Learning and Development Network) for sustainability, un network di ricerca globale sui temi della sostenibilità.
Esperta di sostenibilità sociale e ambientale. Si è formata nel mondo della ricerca accademica (prima alla Fondazione Eni e in seguito all’Università Bocconi) ed é arrivata in Cina nel 2007. Negli anni cinesi ha lavorato come consulente e collaborato con diverse testate italiane online quali AgiChina e China Files per le quali ha tenuto il blog La linea rossa e la rubrica Sustanalytics oltre a curare il volume “Cina e sviluppo sostenibile, le sfide sociali e ambientali del XXI secolo, L’Asino d’oro (2015). Dopo una parentesi nel settore privato come Communications & Corporate Affairs Manager in Svizzera, é rientrata in Italia e ora vive a Milano.