Indonesia – Lo spartiacque delle elezioni presidenziali

In Uncategorized by Simone

Domani si vota nel quarto paese più popolato al mondo, al bivio tra proseguire nel processo di consolidamento della democrazia dopo trent’anni di dittatura del generale Suharto o ripiegare sulle élite militari. I due candidati, Joko Widodo e Prabowo Subianto, non potrebbero essere più diversi: ex venditore di elettrodomestici idolo del popolo il primo, ex generale con accuse di violazioni dei diritti umani il secondo.
Correndo parallela all’Equatore lungo la costa settentrionale dell’isola di Giava, la Post Road, come viene chiamata dagli abitanti dell’isola, unisce la capitale indonesiana Giacarta alla città portuale di Surabaya. Costruita dai colonizzatori olandesi nel XIX secolo per congiungere la vecchia capitale Batavia con le zone orientali, la via fu realizzata grazie agli sforzi di decine di migliaia di lavoratori, molti dei quali perirono a causa degli estenuanti ritmi di lavoro imposti dai rappresentanti della corona dei Paesi Bassi e dei maltrattamenti da essi inflitti.

Oggi, a due secoli di distanza, questa arteria di comunicazione non ha perso la sua importanza strategica e può essere considerata uno dei simboli del difficile cammino intrapreso dall’Indonesia sulla strada per la democrazia.

Percorse ogni giorno da milioni di automobili, pullman e camion che trasportano persone e merci da ovest verso est e viceversa, in queste settimane di campagna per le votazioni presidenziali del 9 luglio le due corsie dell’antica carrozzabile hanno visto intensificarsi notevolmente il traffico e l’attività lungo il loro tragitto.

In un’area che può essere considerata come la principale roccaforte elettorale di Joko Widodo, ex sindaco della città di Solo, in cui è nato, poi governatore di Giacarta e ora candidato alla successione del presidente uscente Susilo Bambang Yudhoyono, diverse migliaia di simpatizzanti sono scesi in strada volontariamente per distribuire volantini e appendere cartelli e striscioni per invitare gli elettori a mettere la crocetta accanto al nome del loro favorito.

Una simile partecipazione popolare non ha precedenti in Indonesia e riflette bene il clima di grande attesa che si è venuto a determinare intorno alle consultazioni del prossimo mercoledì.

Quarto Paese e terza democrazia al mondo per numero di abitanti, surclassato solo da colossi demografici quali Cina, India e Stati Uniti, l’arcipelago indonesiano, che con le sue 17mila isole è il più esteso del globo, ha 250 milioni di cittadini, ben 186 dei quali avranno il diritto di recarsi alle urne.

Sedici anni dopo la fine della tremenda dittatura trentennale di Suharto il popolo indonesiano è chiamato a eleggere direttamente per la terza volta nella sua storia il proprio capo di Stato. La scelta sottesa è epocale: consolidare il processo di democratizzazione avviato, seppure tra mille difficoltà, nei tre lustri precedenti o, al contrario, affidarsi a un leader forte e autoritario, che riesca a garantire quella stabilità politica e quella crescita economica che l’incerto e corrotto governo del presidente uscente Yudhoyono, giunto alla fine del secondo mandato e non più candidabile, ha finito per minare.

A incarnare le due confliggenti alternative sono il carismatico Joko Widodo, chiamato familiarmente Jokowi dai suoi sostenitori, e il sanguigno Prabowo Subianto, ex generale delle forze speciali e genero di Suharto.

Widodo, 52 anni, prima di scendere in politica faceva il commerciante di elettrodomestici, una professione da cui ha probabilmente appreso quella capacità di rapportarsi in modo diretto e informale ai propri interlocutori e di cercare la soluzione meno laboriosa ai problemi che gli ha garantito un crescente sostegno popolare. Il candidato presidente del Partai demokrasi Indonesia perjuangan, il Partito democratico indonesiano di lotta, ha scelto uno stile colloquiale e semplice che la stampa internazionale ha subito accostato a quello di Obama, a cui è stato paragonato anche grazie a una certa somiglianza fisica.

Il suo decisionismo pragmatico e il suo charme mediatico hanno portato una parte dell’elettorato a identificarlo immediatamente con una “nuova politica”, fatta in maniche di camicia e a contatto con le persone, non legata a gruppi di potere e libera dalla corruzione, lontana da quella gestione opaca del potere cui Yudhoyono ha abituato gli indonesiani.

La tolleranza religiosa e l’attenzione ai problemi e alle esigenze degli “ultimi” dimostrate finora gli sono valsi l’appoggio delle fasce più deboli della popolazione, che in molte zone del Paese hanno organizzato iniziative e manifestazioni di supporto spontanee come mai prima d’ora si erano viste nell’arcipelago. “Jokowi è uno di noi” è divenuto uno slogan molto popolare, stampato su volantini, striscioni e magliette che il candidato presidente e i suoi sostenitori hanno distribuito a piene mani nelle strade e nelle piazze.

In un contesto in cui Widodo rappresenta l’alpha del nuovo corso politico, Prabowo Subianto non può che esserne considerato l’omega. Uomo del vecchio regime, nonostante sia stato congedato dall’esercito 16 anni fa non ha abbandonato la rigida e fiera postura militare ed è solito presentarsi alla folla indossando il peci, tradizionale copricapo indonesiano simile a un fez nero reso celebre da Sukarno, fondatore della patria e primo presidente del Paese, e una camicia bianca identica a quella indossata usualmente dall’ex leader. Per enfatizzare ancora di più il suo passato di esponente delle forze armate, Subianto è arrivato ad alcuni comizi a cavallo, seguito da uno stuolo di guardie.

Figlio di un ex ministro di primo piano, l’impetuoso candidato è stato cresciuto per governare. Ha studiato all’estero e dopo la laurea presso l’Accademia militare indonesiana nel 1974 ha fatto una rapida e brillante carriera nelle fila dell’esercito, certamente aiutato dal matrimonio contratto nel 1983 con Siti Hediati Hariyadi, figlia di Suharto. Nel giro di poco tempo è stato nominato comandante delle Kopassus, le temute forze speciali indonesiane, e poi comandante della Kostrad, la più grande e importante unità dell’esercito.

La cacciata del dittatore indonesiano nel 1998, però, ha bloccato l’ascesa di questo luminoso astro. Dopo essere stato giudicato responsabile del sequestro di nove studenti da parte di una commissione d’inchiesta composta da sette generali, tra cui anche Susilo Bambang Yudhoyono, Subianto è stato congedato dall’esercito, sebbene nessuna accusa formale sia stata formulata a suo carico.

Se a ciò si aggiunge che l’ex generale, secondo alcuni dei suoi detrattori, avrebbe anche partecipato al massacro di Dili, la capitale dell’attuale Timor Est, in cui il 12 novembre del 1991 furono uccisi almeno 271 civili, compresi donne e bambini, dalle truppe di occupazione indonesiane, si capisce bene perché Robert Blake, l’ambasciatore di Washington in Indonesia, abbia dichiarato nei giorni scorsi che gli Stati Uniti non propendono per nessuno dei due candidati ma prendendo sul serio le “violazioni dei diritti umani” chiedono al governo indonesiano “di indagare a fondo su queste affermazioni”.

Durante la campagna elettorale Subianto ha più volte bollato queste accuse come prive di fondamento oppure ha preferito trincerarsi dietro la giustificazione dell’obbedienza a ordini superiori. Una circostanza che ha portato una parte dei suoi avversari ad accostarlo ai criminali nazisti processati a Norimberga, soprattutto dopo la diffusione di un video in cui il musicista

Ahmad Dhani, suo sostenitore, ha rivisitato il brano dei Queen We Will Rock You, sfoggiando una divisa militare nera e mostrando un Garuda dorato, il mitico uccello che è anche lo stemma ufficiale dell’Indonesia, apparso inevitabilmente simile all’aquila della Germania hitleriana.

Parlando a proposito del rapimento degli studenti Subianto si è spinto a sostenere che “forse in circostanze diverse sarei stato considerato un eroe e avrei ottenuto una medaglia”.

Dopo il congedo, il genero di Suharto ha lasciato il Paese e vissuto per più di un anno in Giordania. Tornato in patria, ha investito in energia e olio di palma, arrivando ad accumulare un patrimonio che, secondo quanto riporta il Wall Street Journal, nel 2009 è stato valutato in 165 milioni dollari. Successivamente ha partecipato senza successo alla corsa alla presidenza nel 2004, dando vita quattro anni dopo a un suo partito, il Partai gerakan Indonesia raya, meglio noto come Gerindra. Il tentativo di diventare capo dello Stato l’anno seguente, però, non ha avuto esito migliore.

Ora Prabowo Subianto ci riprova, presentandosi agli elettori come l’unico successore valido di Yudhoyono, rispetto al quale si vanta di possedere quella dote che gli indonesiani tengono in grande considerazione e che indicano con il nome di tegas, ossia la fermezza.

Dal punto di vista del programma politico, entrambi i candidati offrono soluzioni analoghe per porre un freno al rallentamento del Pil che l’arcipelago ha conosciuto nell’ultimo periodo: forti investimenti in infrastrutture, principalmente strade e porti, sostegno all’agricoltura, parallela riduzione dei sussidi per la produzione di carburante e apertura alle imprese e ai finanziamenti stranieri.

In una competizione che, stando agli ultimi sondaggi, vede i due sfidanti impegnati in un testa a testa con uno scarto a singola cifra percentuale e una porzione di indecisi pari al 20 per cento, a fare la differenza potrebbe essere quindi semplicemente il carisma di ciascun candidato. Oltre che, naturalmente, gli alleati.

Le élite militari, che da sempre hanno avuto un’influenza significativa nella vita politica dell’arcipelago, sono divise sulla candidatura dell’ex collega. A chi lo ritiene dotato della giusta risolutezza per governare con il necessario nerbo un Paese considerato alla deriva, si oppongono altri che lo reputano totalmente inaffidabile.

Per esempio Abdulah Mahmud Hendropriyono, ex capo dei servizi segreti indonesiani, lo ha definito pubblicamente “psicopatico”, mentre l’ex vice capo dell’esercito, Fachrul Razi, ha spiegato che il suo temperamento impulsivo e la sua allergia al rispetto delle regole pongono seri dubbi circa la sua idoneità a ricoprire la carica di capo di Stato.

Una buona notizia per Subianto è arrivata nei giorni scorsi, quando il Partai demokrat, il Partito democratico di Yudhoyono, ha deciso di dare il suo endorsement all’ex generale. Decisione che gli analisti politici hanno giudicato indebolita dalla mancanza di un diretto appoggio da parte del presidente uscente ma che comunque gli garantirà un importante appoggio a livello di base nell’estremamente frazionato territorio indonesiano.

In estrema sintesi, la sfida che si disputerà il 9 luglio è tra un rappresentante della vecchia politica, appoggiato dai poteri forti e da molti gruppi di interesse e sostenuto da un ingente patrimonio personale, e un esponente delle nuove istanze progressiste e democratiche che cercano faticosamente di affermarsi nell’arcipelago, che, privo di grandi mezzi, può fare affidamento su un grande carisma personale e un curriculum politico “senza macchia”.

Resta da vedere se gli indonesiani preferiranno rimanere legati ai tradizionali schemi politici o troveranno invece il coraggio di votare un rappresentante che sembra intenzionato a imprimere una vera svolta al Paese, accettando tutte le incognite che una simile scelta porta con sé.

[Pubblicato in versione ridotta su Lettera43; foto credit: scmp.com]
*Paolo Tosatti è laureato in Scienze politiche all’università “La Sapienza” di Roma, dove ha anche conseguito un master in Diritto internazionale, ha studiato giornalismo alla Fondazione internazionale Lelio Basso. Lavora come giornalista nel quotidiano Terra.