Decapitazione eccellente a Pechino. Xu Caihou – già membro del Politburo, vice presidente della commissione militare centrale e ufficiale incaricato di supervisionare le nomine all’interno dell’Esercito Popolare di Liberazione – è stato espulso dal Partito. E’ il militare di più alto grado caduto in disgrazia nell’ultimo quarto di secolo. Qual è l’idea di Xi Jinping sull’Esercito di liberazione?
Da quando è al potere Xi Jinping ha espresso chiaramente la sua idea di esercito. Ancor prima di essere formalmente incaricato della presidenza, a dicembre 2012, sono uscite le dieci regole promulgate dalla Cmc che mirano a limitare le spese non strettamente necessarie e a contenere gli atteggiamenti “eccessivi” degli alti quadri del corpo militare. Nell’estate successiva, ha formalizzato la volontà di avere un esercito che obbedisce al Partito, capace di vincere le battaglie e che sa mantenere un buon metodo di lavoro.
Secondo quanto riportato dal People Liberation Army Daily, l’Elp come il Partito, dovrà inoltre combattere le “quattro pratiche diaboliche”: formalismo, burocrazia, edonismo e stravaganza. L’Elp, inoltre, dovrà risolvere quei “problemi che possono provocare il risentimento delle truppe”. Così Xi Jinping ha cominciato a organizzare convegni di studio con i vertici dell’Elp per preparali alla campagna sulla linea di massa sulla scia del pensiero di Mao Zedong, Deng Xiaoping, Jiang Zemin e Hu Jintao nonché su come le strategie teorizzate da Sun Zi nel II secolo a.C. siano ancora applicabili nei moderni conflitti navali.
In questi incontri si è ripetuto come teorie e strategie devono partire dai vertici per arrivare alla base. Per questo gli alti ufficiali dell’esercito sono stati coinvolti in lunghe sedute di autocritica e invitati a vivere come soldati di prima leva almeno 15 giorni ogni 5 anni. Come recita il proverbio, ogni nuovo capo che si insedia fa pulizia, ma fino ad oggi le campagne contro la corruzione non sono riuscite a estirpare il problema alla radice. Anche quella di Xi Jinping sarà una battaglia difficile per diversi motivi, tra cui il peso sempre maggiore che ha assunto l’esercito e la sua crescente fiducia nelle proprie forze, ma sopratutto per la mancanza di credibilità del sistema legale cinese e il cattivo esempio dato proprio dagli alti quadri di Partito.
L’azione della nuova presidenza ha sicuramente avuto un effetto immediatamente benefico nel calmare l’opinione pubblica e nel liberarsi di qualche mela marcia, ma dovrà andare più a fondo se vorrà veramente prevenire il clima di sfiducia verso le alte cariche. Una sfiducia che può facilmente corrodere anche lo spiritico di corpo sui cui si basa l’esercito. E risolvere questa problematica si fa sempre più urgente dal momento che un conflitto con avversari potenti è oggi possibile. Le truppe combattono e rischiano la vita assieme, per questo i militari devono fidarsi ciecamente dei propri superiori.
Il programma di riforme uscito a novembre dal Terzo plenum – l’assemblea plenaria che ha definito le linee politiche e economiche per il prossimo decennio – ha ribadito l’importanza del forgiare un esercito moderno con caratteristiche cinesi, capace di vincere, di rinnovare le sue istituzioni e di essere profondamente integrato con il popolo. L’istituzione del Consiglio di sicurezza nazionale – stando alle dichiarazioni del portavoce del ministero della Difesa – “dovrà essere in grado di innervosire terroristi, separatisti ed estremisti”. Ma soprattutto accentrerà ulteriormente il processo decisionale facendo confluire le problematiche di politica estera e di sicurezza interna in un unico corpo preposto a prendere decisioni.
Attualmente infatti la politica estera e la sicurezza interna fanno capo a due organi distinti. La prima è affidata alla responsabilità del ministero degli Esteri, mentre la seconda a quella del Consiglio di Stato. I due uomini a capo di queste ultime due istituzioni (Yang Jiechi e Wang Yi) riferiscono al Presidente ma non siedono nella Cmc che è composta – ad eccezione del presidente stesso – esclusivamente da uomini dell’Elp. Significa che il processo decisionale è frammentario e che i rami civili e militari della sicurezza si incontrano solo al vertice, sulla base di riunioni spesso convocate ad hoc.
Con la creazione del Consiglio di sicurezza nazionale Xi Jinping prova a far confluire in un comando centrale questi due organi che spesso si trovano a lavorare sulle stesse problematiche (Taiwan, Hong Kong, Macao, affari etnici e religiosi) senza però comunicare propriamente. Se Xi riuscirà a costruire il Consiglio di sicurezza nazionale come lo immagina, un’escalation militare non sarà più interpretabile come la provocazione di generali impazienti e incapaci di immaginare gli effetti di una possibile schermaglia con altre nazioni, ma sarà direttamente riconducibile a una volontà politica ufficialmente approvata.
[Questo articolo fa parte di un più ampio lavoro pubblicato sul numero 10 della rivista "Sulla via del Catai", un numero monografico interamente dedicato al pensiero militare cinese]