Tre attivisti del “movimento dei nuovi cittadini”, che si batte perché vengano resi pubblici redditi e proprietà dei funzionari cinesi, sono stati condannati a pene detentive che vanno dai 3 ai 6 anni. Si tratta di Liu Ping, Wei Zhongping e Li Sihua. Sono accusati di “creare disodine e provocare guai”. A gennaio, era stato condannato a quattro anni Xu Zhiyong, il fondatore del movimento.
Il movimento è nel mirino da circa un anno, da quando cioè, nel nome della stessa costituzione della Repubblica Popolare, ha chiesto che a tutti i cittadini cinesi venissero date uguali opportunità e che si rendessero noti i redditi dei funzionari.
Il culmine della visibilità l’aveva raggiunto quando, nella primavera del 2013, tre dei suoi attivisti avevano esibito in una piazza di Pechino alcuni cartelli che chiedevano proprio la pubblicazione dei dati patrimoniali riguardanti i pubblici ufficiali. Una piccola manifestazione, limitata numericamente, ma evidentemente molto “mingang”, cioè sensibile come si dice da queste parti.
Il movimento dei nuovi cittadini è sensibile per due motivi. Primo perché ci azzecca. Va a parare proprio dove il dente duole, punta cioè all’enorme diseguaglianza sociale di cui l’arricchimento dei funzionari è l’esempio più stridente, sbattuto in faccia ai cinesi qualunque.
Una ricerca ufficiale pubblicata dall’Accademia Cinese delle Scienze Sociali evidenzia quali sono le “cinque pressanti crisi di immagine” per la Cina, cioè cosa fa perdere consenso al governo: la sicurezza pubblica, l’ordine sociale, l’inquinamento, i servizi pubblici, e l’immagine dei funzionari governativi.
In sintesi, sono questi i problemi che Pechino deve risolvere e per capire le future scelte politiche del governo cinese bisognerà tenerli bene a mente. Pechino pone questi problemi in termini di “Social management”, cioè di come gestire “scientificamente” la difficile transizione.
E in questo senso, il Xi Jinping ha iniziato dal suo insediamento una campagna che deve colpire “sia le tigri sia le mosche”, cioè sia i pezzi grossi del Partito e dello stato, sia i pesci piccoli. Quest’anno oltre 260 indagini su funzionari corrotti a diversi livelli sono stati aperti dalla Commissione Centrale di Disciplina e di ispezione, agenzia anti-corruzione del governo cinese. Chi viene preso con le mani nel sacco può essere retrocesso, licenziato, messo in galera o anche peggio.
Lo stesso Xi avrebbe imposto ad alcuni suoi famigliari di vendere le partecipazioni in alcune società minerarie e immobiliari accumulate negli anni, una mossa finalizzata proprio a non essere vulnerabile sul tema della corruzione. A causa della campagna anticorruzione lanciata dal presidente Xi Jinping, negli ultimi mesi si sarebbero verificate vendite in serie di appartamenti di lusso in tutta la Cina. L’immobile viene ceduto in cambio di soldi in contanti: brutti, sporchi e subito; no ai versamenti bancari che sono tracciabili.
Dove vanno a finire i soldi in contanti? L’impressione è che molti prendano la via dell’estero. E il Quotidiano del Popolo, megafono del Partito, ha appena pubblicato un editoriale in cui dice che la Cina deve “affilare la spada” nella sua lotta contro la corruzione, prendendo ad esempio la purga di "funzionari nudi" attuata dalla provincia meridionale del Guangdong ed estendendola a livello nazionale.
I funzionari nudi non sono quelli che fanno le orge e poi postano le foto sui social network, cosa che pure è successa, bensì quelli il cui coniuge e i figli sono emigrati all’estero portandosi magari dietro qualche valigetta piena di quattrini, di modo che il pubblico ufficiale rimasto a casa dia un’immagine di “nudità” intesa come frugalità: senza ricchezze e senza famiglia. Dall’inizio di quest’anno, oltre mille funzionari nudi sono stati scovati e puniti nella provincia più ricca del Paese.
Questo è il primo punto per cui il “movimento dei nuovi cittadini appare pericoloso”. Il secondo è il fatto che potrebbe avere i contatti giusti.
In Cina, non esiste una reale alternativa al Partito Comunista, il dissidente individualista che ci piace celebrare in Occidente parla in genere a quattro gatti e non incide. Ma al suo interno, il partito che conta oltre ottanta milioni di iscritti ha un po’ di tutto, dai maoisti ai neoliberisti modello Chicago, dai figli della cosiddetta “nobiltà rossa” – detti principini – ai burocrati che si sono fatti le ossa nella Lega della Gioventù Comunista, dai tychoon delle grandi imprese di Stato agli imprenditori privati. In genere ci si divide sul piano degli interessi.
Ciò che fa paura al potere è la dissidenza che nasce all’interno del Partito stesso, che ha guanxi – cioè contatti – che fa parte dell’establishment. L’esempio storico è la setta del Falun Gong, che contava decine di migliaia di adepti anche tra i quadri del Partito. Nel caso del “movimento dei nuovi cittadini”, il contatto potrebbe essere Wang Gonquan, un palazzinaro, cioè un tipico prodotto dello sviluppo accelerato e anche speculativo cinese, che dall’interno dell’establishment avrebbe sostenuto finanziariamente il movimento e che è stato processato in parallelo con Xu Zhiyong, confessando poi pubblicamente le proprie colpe.
Questa storia ci dice qualcosa di molto semplice: la Cina intende trasformarsi e anche piuttosto rapidamente, ma il processo deve essere gestito dall’alto, dallo stesso Partito e dalla leadership all’interno del Partito stesso, che non vuole correre il rischio di lasciare a gruppi come il “movimento dei nuovi cittadini”, cioè alla società civile, cioè per la mentalità locale “al caos”, il timone della transizione cinese.
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