Una megalopoli più grande dell’Uruguay sarà probabilmente il monumentale lascito del presidente cinese Xi Jinping ai posteri. La “grande opera” da 130 milioni di abitanti che integrerà amministrativamente ed economicamente Pechino, Tianjin e la provincia dell’Hebei. Ma perché la leadership cinese vuole creare un agglomerato così grande ed erigerlo a modello della contemporanea urbanizzazione “sostenibile”?
Già soprannominata Jing-Jin-Ji da [Bei]jing, [Tian]jin e il carattere “Ji” che è spesso utilizzato come abbreviazione dell’Hebei – la zona della baia di Bohai non sembra avere le potenzialità economiche di altri due grandi distretti cinesi: i delta del Fiume delle Perle e dello Yangtze. Il primo fu creazione di Deng Xiaoping negli anni Ottanta, quando il “Piccolo Timoniere” decise di costituire la prima Zona Economica Speciale intorno a Shenzhen e Zhuhai. Un decennio più tardi, l’amministrazione di Jiang Zemin e Zhu Rongji promosse l’industrializzazione del delta dello Yangtze, designando la zona Pudong di Shanghai come centro finanziario della nazione.
Rispetto ai due illustri precedenti, la futura megalopoli ha una struttura economica meno omogenea. Le mancano analoghi livelli di sviluppo dell’impresa privata, una base industriale coesa e una medesima apertura al mondo esterno (nel 2012, le esportazioni hanno rappresentato solo il 15 per cento del suo Pil, rispetto al 60 per cento per la zona attorno a Shanghai e il 63 per cento per quella attorno a Guangzhou). Secondo calcoli ufficiali, il costituirla richiederà inoltre un investimento di circa 42mila miliardi di yuan (5mila miliardi di euro).
Sia inteso: Jing-Jin-Ji, presa nel suo complesso, è ricca. Il suo prodotto interno lordo era di mille miliardi di dollari l’anno scorso, più o meno lo stesso dell’intera Corea del Sud; il quindicesimo al mondo. Ma la ricchezza non è distribuita uniformemente: il Pil pro-capite di Pechino è di 15mila dollari mentre a Tianjin è di 11.500; solo 6.300 dollari in media per chi sta in Hebei.
La scelta di creare Jing-Jin-Ji serve quindi forse e soprattuto a organizzare il territorio secondo le nuove esigenze della Cina contemporanea: superare il vecchio modello di sviluppo e crearne uno più efficiente, moderno e soprattutto integrato.
I predecessori del presidente Xi Jinping e del premier Li Keqiang – Hu Jintao e Wen Jiabao – hanno cercato di riequilibrare la crescita cinese investendo nelle zone svantaggiate centro-occidentali, ma non sono riusciti ad affrontare i problemi strutturali dell’economia e a rendere la crescita sostenibile. In questo senso, Jing-Jin-Ji esiste già di fatto: è una diffusa periferia urbana di cemento e carbone, esempio paradigmatico di ciò che deve essere cambiato.
Il problema fondamentale, secondo la leadership cinese, è che l’amministrazione delle tre aree è separata, così si creano doppioni, ridondanze e sprechi. La divisione produce anche inquinamento, perché non c’è un sistema integrato dei trasporti. Rafforza diverse e parallele burocrazie, ognuna saldamente incollata alle rispettive poltrone.
Se l’Hebei è una provincia, Pechino e Tianjin sono classificate come metropoli controllate direttamente dal governo centrale (stesso status di Shanghai e Chongqing) e sono guidate da un membro del Politburo, il che dà loro qualifica ancora più elevata di “Ji”. Come capitale della Cina, Pechino ospita inoltre tutti i principali organismi del Partito, del governo e dell’esercito. È anche capitale culturale del Paese, ha le maggiori università, i suoi cittadini beneficiano di un migliore accesso all’istruzione, all’assistenza sanitaria, alla cultura e all’amministrazione, rispetto a quelli di Tianjin e Hebei.
In una serie di recenti discorsi, Xi Jinping ha perciò rilanciato lo sviluppo coordinato fra le tre regioni. L’ha fatto come capo della neonata commissione per la supervisione complessiva delle riforme, un organismo che la leadership ha creato lo scorso novembre per assumere il controllo delle riforme varate al Terzo Plenum del Comitato Centrale. La centralizzazione, unita alla campagna anticorruzione, serve a superare gli interessi – spesso in conflitto tra loro – dei potentati locali; che riguardano pianificazione urbana, industria, rapporto tra imprese statali e private, tutela dell’ambiente.
È una sfida enorme, ma diversi analisti ritengono che tutte le recenti mosse di Xi per consolidare il proprio potere vadano in questa direzione.
Il presidente ha però bisogno di un obiettivo visibile e di un prodotto tangibile da esibire in questa vetrina del suo “grande sogno cinese”: ecco Jing-Jin-Ji, la megalopoli integrata da 130 milioni di umani.