Escluso per le vecchie industrie pesanti, il pacchetto di stimoli del governo cinese arriva invece per l’industria cinematografica. Una serie di misure per sostenere lo sviluppo del settore sono state infatti comunicate giovedì con un documento congiunto di diverse ministeri. E forse, potrà beneficiarne anche l’Italia. Assegnazione di un budget annuale di 1 miliardo di yuan (163 milioni dollari) per sostenere la produzione di 5-10 film. E’ questa una delle misure, quella forse più tangibile, comprese nel pacchetto di stimoli per l’industria cinematografica cinese. Soldi negati alle vecchie industrie pesanti ma dispensati invece al cinema, punta dell’iceberg Cina che verrà.
Secondo le indiscrezioni dei media, gli investimenti pubblici promuoveranno in particolare l’uso di alta tecnologia nelle produzioni, l’esportazione dei film cinesi e le pellicole altamente commerciabili, nonché la creazione di siti web professionali di supporto all’industria cinematografica.
Non solo: all’investimento diretto ne corrisponderà uno indiretto sotto forma di esenzioni fiscali. Sarà infatti sospesa fino a tutto il 2018 l’imposta sul valore aggiunto per i ricavi da vendita delle copie, diritti d’autore, distribuzione dei film e gestione delle sale nelle regioni rurali del Paese. Insomma, se costruisci una sala in Xinjiang e ci distribuisci qualche bel polpettone “cappa e spada” made in China, non paghi le tasse.
Banche e istituti finanziari saranno incoraggiati a investire nel settore cinematografico e a emettere obbligazioni relative. Ci sarà anche supporto finanziario per costruire cinema.
Il vertiginoso aumento del numero di schermi è già una realtà. Dati ufficiali riportano che a fine marzo erano oltre 20mila, mentre nel 2010 erano solo 6.200. Nel corso del 2013, sono sorti dal nulla in media 14 schermi al giorno, per un totale di 5.077 a fine anno. Nei primi cinque mesi del 2014, sono stati costruiti 420 cinema, in confronto ai 358 dello stesso periodo del 2013.
Diversamente dal Nord America, massimo mercato mondiale dove però i ricavi al botteghino sono cresciuti solo dell’1 per cento l’anno scorso, le vendite di biglietti oltre Muraglia sono aumentate del 27 per cento, secondo dati dalla Motion Picture Association of America, e la Cina è diventata il primo mercato, dopo il Nord America (Usa e Canada), a superare i 3 miliardi di dollari di vendite al botteghino: per la precisione, 3,6 miliardi dollari, un boom che ha spinto in alto anche i ricavi a livello globale del 4 per cento (fino a 35,9 miliardi dollari).
Di questo ben di dio, potrà per altro beneficiare forse anche il cinema italiano. Sono appena state infatti firmate a Pechino le norme attuative dell’accordo di coproduzione cinematografica tra la Cina e l’Italia (che risale al 2004 ed è stato ratificato dal nostro Paese nel 2013), in base alle quali ogni film coprodotto avrà di fatto doppia nazionalità, italiana e cinese, e potrà quindi accedere a tutti i benefici fiscali e incentivi appena varati da Pechino. Inoltre, i film italiani non rientreranno più nel sistema delle quote con cui la Cina cerca di limitare il numero di pellicole straniere che passano annualmente nelle sale cinematografiche cinesi. Siamo il quarto Paese europeo a firmare un accordo del genere (Francia, Gran Bretagna e Belgio sono arrivati prima di noi), ma meglio tardi che mai.
Nonostante la grande crescita del mercato interno, i film cinesi stentano però a sfondare all’estero. La scelta di foraggiare il settore è quindi del tutto coerente con questo intento. La Cina, ormai superpotenza globale, deve creare immaginario in giro per il mondo e il cinema è soft-power, come Hollywood insegna. Però, secondo stile cinese, ogni produzione culturale va controllata. Lo strumento per farlo è creare una “industria culturale” di Stato. Così, i soldi vanno (e andranno) soprattutto ai registi che privilegiano effetti speciali, polpettoni nazionalisti e spade volanti, rispetto a quelli che raccontano le contraddizioni della Cina.
Ma c’è di più. Investire nel cinema è del tutto coerente con la svolta economica che Pechino vuole imprimere all’economia. Il cinema è tecnologia, immagine, valore aggiunto, sviluppo di professionalità al passo con i tempi e consumo per il nuovo ceto medio urbano. Rappresenta quindi un primo passo nella Cina immaginata per il futuro, non più “fabbrica del mondo”, ma superpotenza popolata da un enorme ceto medio soddisfatto.