L’altopiano si scioglie. Il permafrost perenne sul plateau del Qinghai-Tibet si è ridotto del 16 per cento negli ultimi tre decenni a causa del riscaldamento globale. Il problema non è però solo cinese, bensì globale. Circa il 40 per cento della popolazione mondiale dipende dall’acqua dal plateau per la propria sopravvivenza. Dall’altopiano nascono alcuni dei grandi fiumi del mondo: Yangtze, Indo, Gange, Irrawaddy e Mekong.
La terra ghiacciata sull’altopiano è diminuita da 1,5 a 1,26 milioni di chilometri quadrati e i dati meteorologici indicano che la temperatura media è aumentata di 1,8 gradi nel corso degli ultimi 30 anni. È un dato superiore anche al riscaldamento nel resto della Cina; il che rivela che il plateau, con un’altezza media di 4.500 metri, è particolarmente sensibile al global warming. Dal 1980, i ghiacciai si sono già contratti di 8mila chilometri quadrati, cioè del 15 per cento.
L’allarme è lanciato dall’Accademia Cinese delle Scienze, di solito piuttosto attenta a non seminare il panico con previsioni avventate, ed è frutto di una ricerca durata decenni. La contrazione dei ghiacciai e lo scongelamento del permafrost hanno avuto un’accelerazione a partire dal 1990. Nell’immediato, scienziati, tecnici e semplici maestranze cinesi stanno cercando di capire come il disgelo possa danneggiare la ferrovia Qinghai-Tibet, “la più alta del mondo”.
La linea, che per circa 550 chilometri viaggia sul permafrost, è particolarmente sensibile all’indurimento o allo scioglimento della massa ghiacciata, che può destabilizzare binari e traversine. È stata progettata per i cambiamenti stagionali, ma non per quelli di lungo periodo. Al momento – riporta il Quotidiano del Popolo – le ferrovie dichiarano che il 99,5 per cento del permafrost sotto i binari è “solido e perfettamente sicuro”. Al momento.
Il problema non è però solo cinese, bensì globale. Il punto è che il disastro ecologico può provocare catastrofi umanitarie e aumentare il rischio di conflitti. Circa il 40 per cento della popolazione mondiale dipende dall’acqua dal plateau per la propria sopravvivenza. Dall’altopiano nascono alcuni dei grandi fiumi del mondo: Yangtze, Indo, Gange, Irrawaddy e Mekong.
I modelli climatici indicano che il picco dello scioglimento dei ghiacciai dovrebbe essere raggiunto negli anni Cinquanta di questo secolo; poi, i grandi corsi d’acqua potrebbero perdere fino al 20 per cento della propria portata. Prima alluvioni, poi siccità.
Secondo un rapporto dell’Università di Cambridge e del Global Military Advisory Council On Climate Change – un consorzio di think tank di area Nato che studia proprio il rapporto tra cambiamento climatico e conflitti – tra Cina, India, Nepal e Pakistan già circa 400 dighe idroelettriche sono in costruzione nella regione.
È una lotta non solo per regolare, ma anche per accaparrarsi più acqua possibile finché si è in tempo e, ancor prima che arrivi l’impatto del cambiamento climatico, le dighe taglieranno il flusso d’acqua nei fiumi principali. Altre implicazioni che riguardano la sicurezza – dice il rapporto – sono i possibili conflitti nelle zone di pesca, dato che la fauna marina migrerà in acque più fredde, un calo delle rese alimentari e un aumento delle malattie infettive. Tutti fenomeni che potrebbero provocare migrazioni di massa e conflitti etnici.
Per il momento, i guai riguardano soprattutto i pastori tibetani, dato che lo scioglimento dei ghiacciai ha già ingrossato fiumi e laghi sull’altopiano. Il Quotidiano del Popolo racconta la storia di Ngawang Zhoima, un pastore costretto a trasferirsi ad altitudini più elevate perché la sua casa rischiava di essere inondata dal fiume che vi scorreva vicino. Una piccola anticipazione del futuro.
[Scritto per il Fatto Quotidiano]