Il primo giugno circa 3mila persone hanno marciato per celebrare il 25esimo anniversario della repressione di piazza Tian’anmen. Secondo la polizia erano 1900, niente rispetto alle 8mila che erano scese in piazza nel 2009 per celebrare il ventesimo anniversario. Il racconto della manifestazione per immagini, in presa diretta.
Shenzhen, venticinque anni fa, era l’unico luogo in Cina in cui si ricevevano notizie o aggiornamenti su quello che stava succedendo a Pechino, sulla piazza Tiananmen. La vicinanza con Hong Kong permetteva di recepire il segnale tv e radio.
Stamane, la giovane ragioniera di etnia kejia che lavora in questa azienda alla periferia della città, dice di non sapere nulla sulla data, sul suo significato, sui fatti successi. E neanche nominare la famosa piazza e gli studenti, cambia qualcosa. Lei non ha mai sentito parlare.
Nella ex colonia Hong Kong invece, stasera al Victoria Park ci sarà la veglia in ricordo di quella parte di storia di cui solo qualche chilometro più in la non si ha nota. Si aspettano duecento mila persone. Hongkong ci tiene e ha sempre ricordato con manifestazioni di vario tipo l’anniversario.
Ingiusto il verdetto e la Storia come viene raccontata in Cina, ingiusta la mancata assunzione di responsabilità per quella strage, ingiusto il divieto, anche solo di parlarne. Sono valori riconosciuti e difesi a livello universale, ma non dentro la muraglia, dove si mira piuttosto a difendere un ordine costituito che altrimenti verrebbe messo facilmente in discussione. L’armonia, nonostante tutto.
La manifestazione che si suole tenere qualche giorno prima della ricorrenza per le strade di Hongkong, su un percorso di qualche chilometro che va da Victoria Park alla sede del governo municipale, è stata pacifica ma arrabbiata. Molti gli studenti, che hanno sfilato ordinatamente, e le associazioni – Tian’anmen Mothers, Human Right China, Democratic Party, ADPL, l’unione dei lavoratori e varie associazioni civili studentesche e una delegazione Vietnamita, tra le altre – molte le persone adulte o addirittura anziane.
Hanno cantato "Do you hear the people sing" da I miserabili in cinese. Hanno urlato slogan che chiedevano la "riabilitazione" dei fatti di Tian’anmen, la fine del governo dittatoriale "di un solo partito" e la liberazione di Liu Xiaobo, premio nobel per la pace in contumacia, e di Pu Zhiqiang, attivista arrestato qualche settimana fa a Pechino per essersi riunito con qualche “amico” per ricordare quegli studenti. Hanno scattata una foto di gruppo, alle spalle uno striscione di ricordo, e sono scattate le manette.
Quella di Hongkong è stata una manifestazione europea. Non mancava nulla. Persino la tensione quando si è incontrato un gruppo di sostenitori del governo di Pechino, con degli striscioni che esprimevano consenso alla repressione del 4 giugno. Il carro armato di cartone che simulava quello della foto simbolo di quei fatti, li ha puntati per qualche minuto.
Chi dice che sono un gruppo "pagato" da Pechino, chi li definisce "persone dal cuore marcio": questo gruppo è sempre presente a Hong Kong quando si organizzano attività su temi delicati per la Cina.
Gli studenti di Hong Kong si sentono cinesi come quelli di Pechino. Sono sensibili e ricordano non solo per rendere giustizia ai loro colleghi continentali, per il rispetto della verità storica e per sanare una ferita che, senza verità non si rimarginerà mai, ma anche perché dal ritorno di Hong Kong alla Cina ne 2007, l’ingerenza di Pechino nell’amministrazione dell’isola si è fatta sempre più pesante e pressante.
Il pensiero va diretto al suffragio universale promesso per l’elezione del capo esecutivo del governo speciale di Hong Kong nel 2017: Pechino ha posto una condizione che lo renderebbe nullo, ovvero la scelta dei candidati tra una lista approvata dal governo cinese. Nessun attivista, nessun libero cittadino potrà candidarsi. E Hong Kong teme per questa "caratteristica cinese" che non gli appartiene.
La gente alla manifestazione di Hong Kong però è positiva verso il futuro, e sicura che i governi totalitari sono destinati a cadere: "è questo il corso della storia, è solo questione di tempo", mi dice uno studente. Quando gli chiedo come ci si sente a essere nato a Hong Kong, eppure essere parte della Cina, risponde: non mi sento affatto speciale ad essere cinese, ma non ho neanche il complesso di esserlo.