Tanti soldi investiti, ma negli ospedali cinesi la gente aggredisce i medici per frustrazione e qualche volta li ammazza pure. L’appello del premier Li Keqiang a "superare le difficoltà" che incontra la riforma sanitaria del Paese rivela sacche di inefficienza e la necessità di spendere meglio. Il premier cinese Li Keqiang ha lasciato intendere un paio di giorni fa che la tanto sospirata riforma sanitaria della Cina sta incontrando qualche intoppo, facendo appello affinché si superino le difficoltà e si dia particolare attenzione alla riorganizzazione degli ospedali pubblici di contea. Li ha ricordato che quegli istituti sono il nodo principale del network sanitario della Cina e danno assistenza a circa 900 milioni di abitanti delle zone rurali.
Che ci fosse qualche problema era sotto gli occhi di tutti. Le cronache sono piene di notizie su pazienti o parenti di pazienti che aggrediscono i medici negli stessi ospedali e a volte li ammazzano pure. Perché? Perché rimangono irrisolti sia il problema dell’accesso alle strutture sia quello dei costi per le cure mediche.
Alcune delle parole di Li sono notevoli: "Bisogna fare degli sforzi per evitare che gli ospedali si finanzino con la vendita di medicine, innovare i sistemi di gestione e aumentare la dedizione professionale degli operatori sanitari in modo da risolvere con metodi cinesi il problema globale della sanità e fare in modo che ogni cittadino abbia i servizi medici di base", ha detto il premier.
Nel 2009, la Cina ha lanciato una riforma sanitaria da 124 miliardi di dollari. Nel giro di quattro anni, i soldi spesi sono diventati oltre 371 miliardi. In soli programmi di finanziamento per le assicurazioni sanitarie, la salute pubblica, la riforma degli ospedali e il potenziamento delle istituzioni mediche a livello di comunità il governo centrale ha speso 100 miliardi di dollari.
Il risultato più importante è stato l’ampliamento della copertura assicurativa. La percentuale di persone coperte da assicurazione sanitaria è salito dal 30 per cento del 2003 al 95 per cento del 2011. Di conseguenza, la quota di spese vive che si accollano i pazienti è diminuita dal 56 al 36 per cento nello stesso periodo. La riforma ha inoltre generato un aumento della domanda di assistenza sanitaria, con i letti di ospedale che sono passati da un tasso di utilizzo del 36 per cento all’88.
Ciò nonostante la gente perde la testa e salta al collo dei medici.
Huang Yanzhong – esperto di sanità della Cina presso il Council on Foreign Relations, noto think thank conservatore Usa – cita una ricerca indipendente del 2013 secondo cui circa l’81 per cento dei cinesi intervistati ritiene sia difficile vedere un medico e più del 57 per cento sostiene che sia più difficile rispetto a quattro anni prima. Sul fronte accessibilità, il 95 per cento degli intervistati pensa che sia costoso curarsi, con l’87 per cento convinto che i costi siano superiori a quelli di quattro anni prima.
Così, nonostante l’aumento complessivo nell’utilizzo dei servizi sanitari, solo il 27 per cento sceglie il ricovero in ospedale, con il 74 per cento che attribuisce questa decisione al costo elevato delle cure ospedaliere e il 41 per cento che la fa dipendere dalla difficoltà di vedersi assegnato un letto.
La Cina investe ma il servizio resta inefficiente. Il punto è come al solito la cattiva allocazione delle risorse ed è quindi facile andare dritti al problema della corruzione, così comune negli ospedali come in altri settori. I soldi spariscono e i servizi restano inefficienti. Si vive perciò il paradosso per cui, nonostante aumenti la copertura assicurativa della popolazione, quando i cinesi vanno in ospedale si trovano smarriti di fronte al disservizio.
In secondo luogo, come le parole di Li Keqiang lasciano intuire, il governo centrale ha finora speso solo il 2 per cento dei finanziamenti per l’ampliamento della lista dei farmaci essenziali, quelli cioè che gli ospedali pubblici sono tenuti a vendere con zero profitto. Una percentuale insufficiente per compensare la perdita finanziaria degli istituti di cura che adottano la lista, una perdita che è stata stimata in circa dieci volte l’investimento del governo. Non è perciò sorprendente che circa il 45 per cento del totale delle entrate siano garantite agli ospedali dalla vendita delle medicine e così il costo totale delle cure sanitaria continua ad aumentare a un tasso annuo del 10 per cento.
Anche il vicepremier Liu Yandong ha cercato di dare una spintarella alla riforma sanitarie, dichiarando che a breve tempo le contee che ne saranno investite a titolo sperimentale saranno portate a 1.011, cioè più della metà del totale, per circa 500 milioni di persone.
Liu ha anche fatto appello a "un armonioso rapporto medico-paziente" e sollecitato un giro di vite sui servizi medici illegali e sulla pubblicità ingannevole, le piaghe sociali che si insinuano in un sistema inefficiente.
Non è quindi escluso che dopo i funzionari corrotti, le grandi aziende di Stato e l’esercito, la prossima fase della campagna anticorruzione riguardi la sanità pubblica.