Un inviato del governo cinese si reca in Malaysia per avere risposte dal governo di Kuala Lumpur sul volo MH370. Un anno dopo lo sciopero dei portuali di Hong Kong. La nuova emergenza smog, ormai riconosciuta a pieno dal governo. Le trattative tra governo e studenti in protesta a Taiwan. Accordo Hong Kong-Usa sulle informazioni bancarie. MH370: inviato di Pechino in Malaysia
Dopo le manifestazioni di fronte all’ambasciata malese di Pechino, il presidente cinese Xi Jinping ha deciso di mandare un inviato speciale a Kuala Lumpur, per fare chiarezza e chiedere al governo di quel Paese di “gestire correttamente la questione”.
Il risentimento dei parenti – e non solo – dei passeggeri del MH370 è esploso soprattutto contro la mancanza di informazioni accurate sulle ultime ore del volo.
Per ora, la versione ufficiale per cui l’aereo si sarebbe inabissato in un’area dell’Oceano Indiano a sud-ovest dell’Australia appare “a esclusione”, nel senso che le tecnologie utilizzate dalla compagnia britannica di telecomunicazioni satellitari Inmarsat hanno semplicemente confermato che il MH370 non avrebbe imboccato il corridoio nord, verso l’Asia centrale.
Le ricerche proseguono in un tratto di mare di circa 470 miglia nautiche quadrate, reso difficilmente praticabile dalle condizioni atmosferiche, mentre un ufficiale della marina australiana dichiara che se ritrovare la scatola nera dell’aereo è come cercare un ago in un pagliaio, “noi dobbiamo ancora trovare il pagliaio”.
Sciopero dei portuali: un anno dopo
Un anno fa avevamo documentato lo sciopero dei portuali di Hong Kong, che durò 40 giorni prima che si risolvesse nella promessa di un aumento salariale e di migliori condizioni di lavoro da parte di Hongkong International Terminals (HIT), la compagnia dell’uomo più ricco dell’Asia, Li Ka-shing.
Oggi, un anno dopo, il leader del sindacato, Stanley Ho Wai-hong, dice che la situazione è migliorata ma resta precaria: “I gruisti lavorano ancora per turni di 12 ore, mentre la HIT investe solo in macchinari e non sta assumendo più portuali”.
Le paghe sono ancora al di sotto dell’inflazione e a questo si aggiunge la minaccia di non essere pagati, nel caso di lavoratori non assunti dalla compagnia mare, bensì da ditte di subappalto. In queste condizioni, è probabile una ripresa della lotta.
Sempre più industrie inquinanti: nuova emergenza smog
Nonostante (molte) promesse e (parziali) sforzi, è di nuovo emergenza smog a Pechino e dintorni. Le previsioni danno il livello di P.M 2,5 stabilmente sopra quota 300 nella capitale e nella circostante provincia dell’Hebei almeno fino a venerdì.
Giunge a questo proposito conferma che il problema tende ad acuirsi e non a ridursi. Lo dice lo stesso Ministero della Protezione Ambientale in una dichiarazione sul suo sito web, secondo cui la Cina è ancora troppo lenta nel trasformare la propria economia ad alta intensità di risorse: “Il ritmo di ristrutturazione e riqualificazione delle industrie ha subito un rallentamento, la modalità di sviluppo rimane grezza, e le emissioni di inquinanti atmosferici hanno da tempo superato la capacità ambientale”, recita il comunicato.
Occupy Parliament: Ma incontra gli studenti
Il presidente taiwanese Ma Ying-jeou ha accettato di incontrare rappresentanti degli studenti che hanno occupato il parlamento di Taipei per protestare contro il trattato commerciale tra l’ex Formosa e la Cina continentale. La scelta di Ma arriva dopo l’escalation che ha portato a scontri tra la polizia e gli studenti, con utilizzo di cannoni ad acqua, nella giornata di lunedì.
L’incontro avverrà “senza precondizioni” da entrambe le parti. Le agitazioni sono cominciate quando il Kuomintang ha annunciato che non avrebbe discusso in parlamento tutti gli articoli del nuovo trattato che, se sarà approvato come previsto l’8 aprile, consentirà alle imprese taiwanesi di competere in 80 settori dei servizi nella Cina continentale e, vice versa, aprirà 64 settori di Taiwan alla concorrenza cinese.
Gli studenti che protestano vedono nell’accordo un’ulteriore tassello del riavvicinamento a Pechino e diminuzione delle proprie prospettive occupazionali. Il Partito democratico, all’opposizione, denuncia che il patto manderebbe in rovina numerose piccole imprese.
Fisco: Hong Kong se la canta
Addio paradiso fiscale. In base a un accordo firmato ieri, i funzionari del fisco di Hong Kong potrebbero d’ora in poi trasmettere alla controparte Usa informazioni sullo stato patrimoniale dei cittadini statunitensi che lavorano nell’ex colonia britannica.
L’accordo farà da apripista per un ulteriore passaggio, che consisterà nel fatto che gli ufficiali Usa potranno chiedere informazioni direttamente dalle banche locali. L’accordo appare fondamentale per la buona riuscita del Foreign Account Tax Compliance Act, la legge che Washington ha varato nel 2010 e che entrerà in vigore il prossimo luglio.
Prevede che gli istituti stranieri che non si rendono trasparenti agli investigatori di Usa possano subire una trattenuta del 30 per cento sui propri profitti in terra statunitense.
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