Corea del Nord – Il pericolo di un inevitabile cambiamento

In by Simone

Al di là della retorica sensazionalista, le epurazioni nel regime nordcoreano lasciano intendere l’ingresso in una nuova fase, un sanguinoso ricambio ai vertici di Pyongyang guidato dal giovane Kim. E la Cina, unico alleato della Corea del Nord, potenzia le infrastrutture al confine.
Sono passati pochi mesi dall’esecuzione di Jang Song Taek, zio del leader supremo della Corea del Nord, Kim Jong Un, accusato di aver tradito lo spirito rivoluzionario del paese a favore di un carrierismo e una vita sessuale che poco si confacevano al rigido protocollo di stato. Tutti i parenti più stretti dell’esponente politico caduto in disgrazia, un tempo la seconda figura più potente del regime, sono stati epurati in un’ondata di violenza che i media popolari internazionali, non senza il solito accento sensazionalista, hanno definito "orribile” e ”scioccante". Ma è possibile mettere insieme i vari indizi e comprendere dove stia realmente andando il paese?

Qualsiasi analisi della politica interna nordcoreana risente ovviamente del clima di assoluta segretezza che circonda un regime totalitario e repressivo, ma un buono spunto d’inizio ce lo offre la dichiarazione ufficiale, rilasciata alla Korean Central News Agency, a seguito dell’esecuzione dell’alto funzionario.

Dietro la retorica e i modi vagamente naïf con cui si apostrofano Jang – “peggio d’un cane” – e guardando oltre i futili motivi addotti dal regime – la vittima avrebbe, tempo prima, confinato un autografo di Kim Jong-un scolpito sul granito in un angolo buio –  si nasconde una storia ben più interessante.

In primo luogo, l’élite nordcoreana appare sempre più nel pieno di una fase di transizione che vede le giovani generazioni, rappresentate dallo stesso Leader Supremo, sostituire i funzionari più anziani. Pensare che questo inevitabile passaggio di consegne abbia come fine ultimo l’introduzione di una serie di riforme è comunque tutto da dimostrare, ma un cambiamento di questa portata non è mai un fatto di poco conto, in un regime totalitario.

In secondo luogo, il dato preoccupante è che Jang Song Taek, uno dei maggiori fautori del dialogo con la Cina, è stato accusato di aver svenduto il carbone nordcoreano e di aver concesso in leasing, per 50 anni, dei terreni nell’area del porto di Rason, nella Zona Economica Speciale (Zes) a nord del paese, proprio all’unico alleato di Pyongyang. Accuse, queste, che hanno finito per irritare proprio il potente vicino.

Messaggi rassicuranti in tal senso sono stati inviati dai uno dei più alti funzionari in seno alla Commissione per lo Sviluppo Economico di Stato, Yun Yong Sok, il quale, a dicembre dello scorso anno, si è affrettato a rimarcare alla Associated Press che i rapporti fra i due paesi “continueranno ad essere tali e quali a prima”. Se da un lato è improbabile che la velata accusa nei confronti di Pechino si possa tradurre in una rinegoziazione degli accordi sino-nordcoreani, dall’altro stupisce il fatto che Jang Song-taek possa aver siglato degli accordi commerciali con la Cina senza l’esplicito consenso della leadership nordcoreana.

Quest’incidente diplomatico, apparentemente di secondaria importanza, è però coerente con la nuova linea seguita da Kim Jong-un, il quale appare maggiormente concentrato sulla politica interna che non sulla scena internazionale come avveniva con i suoi predecessori, il nonno Kim Il Sung e il padre Kim Jong Il. A rendere la situazione generale, se possibile, ancor meno nitida, contribuisce sicuramente la mancanza di una chiara strategia da parte dell’amministrazione Obama.

Le sanzioni economiche promosse, in primis, dagli Stati Uniti, avevano costretto in passato la Corea del Nord ad adottare una posizione più conciliante, bloccando, de facto, la costruzione di armi nucleari o l’attuazione di un programma missilistico a lungo raggio. Tali piani venivano regolarmente annunciati da Pyongyang e avevano il duplice effetto di mantenere uno stato di paura nella regione e ottenere un beneficio materiale sotto forma di aiuti economici.

L’Agreed Framework del 1994, infatti, riuscì a porre fine al programma nucleare della Corea del Nord in cambio di aiuti dall’Occidente. Ma sfortunatamente gli sforzi dell’amministrazione Clinton, volti ad avviare un dialogo con lo Stato Eremita, furono vanificati dall’avvento di George W. Bush alla presidenza, quando quest’ultimo si affrettò a includere la Corea del Nord nel famigerato “axis of evil”.

Il tutto prima di bloccare i negoziati bilaterali e iniziare, invece, una discussione a sei che porterà in seguito un aiuto sostanziale a Pyongyang in cambio dell’abbandono del programma nucleare. Il conseguente bombardamento nordcoreano dell’isola di Yeonpyeongdo, non lontana dall’aeroporto internazionale di Seul, nel 2010, e l’affondamento di una nave della Marina Sudcoreana nello stesso anno, furono tutti ironicamente premiati con aiuti materiali da parte degli Stati Uniti, il Giappone e la Corea del Sud.

Con la morte dell’ex Caro Leader, Kim Jong Il, le relazioni internazionali del paese iniziarono a passare in secondo piano. Vero, la crisi del 2013, scaturita in seguito al lancio ad aprile del primo satellite nordcoreano diede il via all’ormai familiare fucina di accuse e pura retorica contro i soliti sospetti (gli USA, il Giappone e la Corea del Sud), ma ancora una volta la montagna partorì un topolino e il tutto si concluse con la rituale promessa di dialogo col Sud.

L’apparente predilezione di Kim Jong Un per la politica interna e il continuo ricorso a epurazioni potrebbe tradire un certo nervosismo all’interno della leadership nordcoreana o una sfiducia nei confronti dell’apparato militare o, più probabilmente, potrebbe significare che il giovane dittatore stia cercando d’imporre e stabilizzare la propria autorità. Il presidente Obama, dal canto suo, sembra aver intrapreso una linea ambigua e dunque di rottura col suo predecessore, ma che purtroppo non gli ha permesso di esprimere segnali di chiara condanna in occasione delle sporadiche prove di forza da parte di Pyongyang.

Gli osservatori internazionali ritengono che Washington debba adattare la propria politica ai nuovi scenari nella regione tentando di promuovere un inasprimento delle sanzioni o, meno realisticamente, cercando nuovi canali di dialogo con la Corea del Nord. D’altronde le recenti epurazioni e un leader nel pieno di una fase d’assestamento sembrano offrire agli Usa l’occasione propizia per agire in un senso o nell’altro, sebbene ogni mossa nei confronti di Pyongyang, sia essa di distensione o di chiusura, rischierebbe d’irritare la Cina.

I regimi totalitari devono continuamente reinventare se stessi per rimanere uguali, e per un paese come la Corea del Nord, la stabilità – non la crescita – resta il vero obiettivo. Eppure, nonostante ciò, il paese resta una mina vagante nel panorama internazionale.

La sua leadership sta attraversando un periodo di forti cambiamenti che potrebbero portare persino all’introduzione di riforme frutto dell’esperienza fatta nelle Zone Economiche Speciali. Le immense risorse minerarie di cui pare disporre Pyongyang, e che per ora restano per lo più inesplorate, potrebbero teoricamente guidare lo sviluppo del paese attraverso la costruzione d’infrastrutture (soprattutto in ambito di trasporti e raffineria) e know-how, ma questo porrebbe irrimediabilmente la parola “fine” ai saldi, seppur ben poco effettivi, principi economici su cui si basa il regime stesso.

Nel 2015 la Cina inaugurerà una linea ferroviaria ad alta velocità tra Shenyang, importante hub commerciale e industriale nel nord del paese, e Dandong, la città sulle rive del fiume Yalu che separa il Regno di Mezzo dalla Corea del Nord. Mentre un’altra linea collegherà Jilin a Hunchun, una cittadina di frontiera strategicamente vicina alla Zes di Rason.

Iniziative del genere dimostrano la crescente preoccupazione da parte della Cina per la stabilità del suo imprevedibile vicino e sembrano, al contempo, rappresentare un tentativo da parte cinese di prevenire un crollo completo dell’economia nordcoreana. Una strategia simile avrebbe come conseguenza lo spostamento del focus del regime di Pyongyang dall’ambito militare a una mentalità maggiormente aperta al mercato, ma fortemente dipendente da Pechino. Col logico risultato di fare della Corea del Nord uno stato posto a sbarramento dell’influenza americana nella regione.

Quest’improbabile alleanza è stata criticata a seguito di un recente rapporto delle Nazioni Unite, che ha reso noti gli abusi sistematici che si consumano ogni giorno nella Repubblica Popolare Democratica di Corea e la cui “gravità, portata e natura rivelano uno stato di cose che non conosce paralleli nel mondo contemporaneo”.

Tra abusi d’ogni tipo, le espulsioni degli immigrati illegali e dei disertori nordcoreani dal territorio cinese, sono menzionate e condannate più volte in quanto, nella quasi totalità dei casi, tale pratica si traduce in una condanna a morte degli espulsi una volta tornati in patria. Pechino ha risposto che “la politicizzazione dei diritti umani non aiuta a migliorare le condizioni di un popolo”, di fatto non smentendo il ricorso a suddette attività.

Come se non bastasse, ha sottolineato in più di un’occasione che porrà un veto alla proposta di formalizzazione delle accuse contro la Corea del Nord, e Kim Jong Un in particolare, per violazioni dei diritti umani alla Corte Penale Internazionale.

Siamo dunque a una nuova fase nella storia di questa travagliata nazione? Solo il tempo scioglierà i nodi, ma quello che appare chiaro è che i prossimi mesi saranno decisivi e ci diranno cosa aspettarci davvero da questo regime sospeso nello spazio e nel tempo in cui un cambiamento appare ormai pericolosamente inevitabile.

[Foto credit: hawaii.edu]

*Alex Franquelli è un giornalista freelance esperto di Mongolia, Asia nordorientale ed etnomusicologia.