La nuova urbanizzazione lanciata da Pechino comporta anche un’ampia riforma dell’agricoltura. Ma come è possibile modernizzare le attività rurali secondo un modello unico, che non tiene conto delle differenze locali, economiche, sociali? Tan Ailing si pone questo problema, mentre analizza le diverse "campagne" cinesi. Nella nuova fase del programma di sviluppo rurale del governo, quella denominata "sincronizzazione delle quattro modernizzazioni", l’urbanizzazione e la modernizzazione dell’agricoltura sono diventate i punti cardine delle politiche rurali.
In sostanza, il duplice obiettivo è: allontanare definitivamente i contadini dalle aree rurali, trasformandoli a tutti gli effetti in residenti urbani; puntare nel contempo a concentrare la proprietà della terra in mano a poche grandi aziende agricole, al fine di favorire una gestione più "moderna" dell’agricoltura.
In un contesto in cui la stabilizzazione della crescita, l’espansione della domanda interna, l’aumento del tasso di urbanizzazione e l’auto-sufficienza alimentare, figurano tra le principali preoccupazioni del governo centrale e si aggiungono alla competizione sul PIL tra i governi locali, alla vendita dei terreni e al cambiamento repentino del territorio, queste “modernizzazione” e “urbanizzazione” e la loro attuazione che impatto avranno sulle aree rurali? Che direzione dovrebbe prendere e che prospettive dovrebbe prefiggersi lo sviluppo rurale? Sono queste le questioni più controverse, delle quali oggi non si discute affatto in maniera esaustiva.
Villaggi cinesi: una situazione frammentata
Un aspetto fondamentale da prendere in considerazione è l’enorme estensione delle regioni cinesi e il fatto che le condizioni interne di ognuna differiscono notevolmente da zona a zona. Inoltre, le peculiarità regionali nate dall’industrializzazione degli ultimi trent’anni hanno creato rapporti molto stretti tra industria e villaggi e, a seconda del tipo di legame, ogni area ha caratteristiche particolari. I villaggi possono essere,suddivisi in quattro categorie principali:
1- La prima include all’incirca il 5-10% dei villaggi ed è rappresentata dalle aree rurali suburbane delle città costiere di medie e grandi dimensioni, che presentano uno stretto legame con la società industriale e le città. I contadini di queste aree sono ormai parte integrante della società industriale e la maggior parte di essi condivide i profitti con le aree industriali, affittando i terreni, spesso attraverso il modello dei poli industriali.
2- La seconda categoria riguarda importanti aree del centro-ovest e del nord del paese, tradizionalmente agricole e densamente popolate. La forza lavoro di queste aree è impegnata principalmente in altre regioni, mentre i lavori agricoli e non-agricoli legati alla produzione delle colture tradizionali è svolto dagli anziani e dai bambini rimasti nel villaggio.
3- La terza è rappresentata da una minoranza di aree, come il nord-est, caratterizzate da una grande quantità di terra coltivabile e pochi abitanti, le cui campagne ben si adattano ad una produzione meccanizzata su larga scala.
4- La quarta comprende alcune aree rurali isolate e con condizioni di vita e di produzione piuttosto povere – soprattutto nelle zone montagnose – dove la maggior parte dei contadini è emigrata e nei villaggi sono ormai evidenti i segni dell’abbandono.
Considerare le differenze tra le varie tipologie viste sopra e programmare di conseguenza politiche diversificate dovrebbe rappresentare il punto di partenza di politiche rurali razionali.
[…]Nel caso di aree della seconda categoria, per esempio, attuare ciecamente la modernizzazione dell’agricoltura potrebbe provocare danni enormi ai contadini locali.
Il grosso rammarico è che oggi in Cina, sia che si tratti di ambiente accademico, sia che si tratti di media o dei circoli politici, quando si discute di aree rurali, la maggior parte dei dibattiti vertono su un concetto generico esteso a tutte le diverse realtà; lo stesso avviene quando le politiche agricole e rurali vengono formulate. Conseguentemente, le attuali politiche del paese per queste aree mancano della necessaria precisione.
È per esempio indicativo che, in un paese in cui ci sono ancora 210 milioni di famiglie rurali, […] un numero esiguo di contadini delle aree suburbane – che, in generale, sperano gli venga espropriata la terra, ma che al contempo resistono agli espropri per ottenere un risarcimento più cospicuo – è spesso rappresentato come rappresentativo di tutti i contadini che sono stati espropriati. Allo stesso modo, è emblematico che le regioni nord-orientali – dove le fattorie adottano una produzione su vasta scala e un gran numero di famiglie rinuncia allo status di popolazione agricola – pur "non essendo affatto un’area rappresentativa del mondo agricolo cinese", diventino protagoniste delle discussioni che riguardano le aree rurali.
Nel primo esempio, i contadini delle aree suburbane – che hanno la possibilità di ottenere enormi profitti – e quelli la cui sussistenza dipende da ciò che coltivano, formano in realtà due classi sociali ben distinte; nel secondo esempio, invece, si affronta un argomento generale partendo dall’esperienza di un’area non rappresentativa. Ciò può produrre come risultato che, tenuto anche conto della corsa all’arricchimento dei governi locali, le aree rurali più diffuse – non adatte alla produzione agricola su larga scala – finiscano invece per impegnarsi a promuovere la "modernizzazione dell’agricoltura".
L’ansia di modernizzare l’agricoltura
Alcuni leader del Partito comunista hanno da sempre visto la modernizzazione dell’agricoltura come il più grande compito da realizzare. L’attuale concettualizzazione deriva direttamente dallo slogan e dall’obiettivo di "realizzare le quattro modernizzazioni", promosso negli anni Sessanta dalla prima generazione di dirigenti del Partito. All’interno di questo sistema di "modernizzazioni", quella agricola rimase indietro rispetto a quella industriale, divenendo quindi motivo di forte preoccupazione. Per questo motivo, il miglioramento della produttività agricola – con un aumento di scala e una maggiore organizzazione della produzione a cui si aggiungono più capitali e tecnologie – divenne una necessità impellente per sincronizzare le quattro modernizzazioni. Tutto ciò, unito ai presunti vantaggi di incrementare le entrate dei contadini e di garantire la sicurezza alimentare, diede forte impulso alla modernizzazione agricola, rendendola una scelta politica scontata.
[…]Il 4 gennaio del 2014, durante la cerimonia d’apertura del “Forum sull’agricoltura, i contadini e le aree rurali" dell’Università Qinghua, Han Junceng, vice direttore del Centro di ricerca e sviluppo del Consiglio di Stato, nonché esperto di questioni rurali, ha dichiarato: “La promozione della modernizzazione dell’agricoltura – con qualsivoglia gestione, struttura organizzativa e programma istituzionale – rappresenta, in questa fase di generale approfondimento della riforma agraria, il problema principale a cui rispondere e per il quale è necessario trovare soluzioni. La comprensione attuale di questi problemi fondamentali da parte di analisti e politici è discordante, con grandi divergenze di vedute”.
La parola "fondamentale" riflette la posizione di primo piano che occupa la modernizzazione dell’agricoltura all’interno delle politiche rurali dell’attuale governo e ci fa pensare a quanta pressione nei confronti delle aree rurali Pechino potrebbe esercitare nei prossimi anni.
Anche Chen Xiwen, direttore del gruppo di lavoro governativo sulle aree rurali, ha recentemente espresso di frequente un grande entusiasmo nei confronti della modernizzazione dell’agricoltura. Oltre a sostenere i contadini ordinari nel migliorare la produttività e a creare una agricoltura dove la famiglia rappresenti il nucleo centrale, la sua idea principale è quella di istituire un sistema di servizi rurali privatizzati, per fornire dei servizi migliori in queste aree. La caratteristica fondamentale di questo tipo di agricoltura a conduzione familiare è rappresentata da appezzamenti di dimensione moderata, da circa 6,67 ettari (100 mu), dai quali le famiglie possano ricavare un reddito simile a quello che avrebbero in città. Considera così allo stesso tempo sia la giustizia sociale sia la produttività agricola.
Si può notare che l’approccio di Chen Xiwen è ben diverso dall’idea prevalente di “investire in blocco ingenti quantità di capitali nelle zone rurali”. Lui si sforza di porre al centro della futura modernizzazione rurale il nucleo familiare contadino.
Negli ultimi anni, si è ampiamente discusso del fatto che gli investimenti nelle aree rurali avrebbero potuto schiacciare i contadini più deboli. Quindi, i dipartimenti che definiscono le politiche sembrano maggiormente propensi a promuovere questo modello di agricoltura familiare che “tiene conto sia della giustizia sociale sia della produttività agricola”.
Affrontare la realtà delle principali aree rurali
[…]Nell’attuale entusiasmo per le politiche di modernizzazione e urbanizzazione, la cosa più importante di cui tener conto è la realtà delle campagne cinesi. A oggi, secondo alcune stime del Ministero dell’Agricoltura, su circa 20 milioni di ettari trasferiti, quelli effettivamente passati alla gestione collettiva, cioè a cooperative o aziende agricole, è pari a circa 6,670 milioni di ettari. In Cina ci sono ancora 210 milioni di piccole fattorie a conduzione familiare che possiedono più del 90 per cento della terra e la cui gestione è circoscritta a piccoli nuclei familiari rurali. Sebbene l’importazione di derrate alimentari aumenti di anno in anno, la produzione in Cina è aumentata per 10 anni consecutivi. La percentuale di produzione cerealicola domestica non è affatto un problema; vi è, inoltre, un adeguato approvvigionamento anche di altri prodotti agricoli a prezzi tutto sommato ragionevoli. In realtà, non vi sarebbe quindi affatto bisogno di migliorare l’efficienza produttiva – attraverso l’aumento di scala della produzione – per rispondere alla presunta urgenza di una carenza delle scorte alimentari.
In futuro, nel corso della progressiva promozione dell’industrializzazione, la popolazione cinese residente nelle campagne si ridurrà gradualmente rispetto agli attuali 700 milioni; ciononostante, una grande percentuale della popolazione continuerà a vivere e lavorare in piccole comunità rurali. Anche dopo aver raggiunto il picco dell’urbanizzazione, sulla base delle stime di diversi accademici, la popolazione contadina cinese si attesterà tra i 300 e i 400 milioni.
Solo comprendendo chiaramente questo lento processo e vedendo che forse la sua fine non necessariamente coinciderà con la "modernizzazione", il governo potrà, mentre formula le proprie politiche, abbandonare la visione per cui ritiene possibile trasformare, dal giorno alla notte, le aree rurali cinesi in centri di produzione su larga scala.
Questo processo di modernizzazione dell’agricoltura, forse richiederà diverse generazioni per essere portato a compimento; esso ha infatti bisogno dei suoi tempi di maturazione. Ma, dal punto di vista di un funzionario locale, che ha bisogno di ottenere dei risultati e il cui mandato dura solo pochi anni, è meglio fare buon uso del proprio tempo e completare il prima possibile il programma per l’adozione di una “gestione su larga scala dell’agricoltura”.
[Il pezzo è anche su Caratteri cinesi. Traduzione di Piero Cellarosi]Tan Ailing* è una giornalista della minoranza etnica dei Tujia, originaria della prefettura autonoma di Xiangxi (provincia dello Hunan).
Nel 1999 ha conseguito una laurea presso il Dipartimento di Scienze sociali dell’Accademia delle Scienze e Ingegneria di Chengdu. Nel 2000 arriva a Pechino e comincia a collaborare con diverse testate giornalistiche e riviste.
Tan Ailing è nota in Cina, soprattutto, per il suo racconto di viaggio del 2010 "Xinjiang Yinxiang", "Impressioni sullo Xinjiang", che fece molto scalpore per la sua presa di posizione in favore dell’etnia uigura, suscitando non poche critiche online e che la fece finire nel mirino della censura.