La censura arriva a colpire anche WeChat-Weixin, il popolare servizio di messaggistica istantanea. Colpa dell’apertura di alcuni profili pubblici molto seguiti. Li Ka-shing, l’uomo più ricco d’Asia, vende gran parte delle sue quote di un terminal del porto. Deputati dello Xinjiang chiedono all’Anp una legge antiterrorismo. Censura: colpito anche WeChat
Almeno una dozzina di account di WeChat – alcuni seguiti da centinaia di migliaia di abbonati – sono stati chiusi o sospesi ieri, in un giro di vite compiuto dalla censura cinese.
WeChat (Weixin) è il più popolare servizio di messaggistica istantanea, fino a ieri si pensava che fosse immune alla censura – a differenza dal social network Weibo – perché non mette tanto in comunicazione il vasto mondo, quanto reti ristrette di amici e conoscenti.
Tuttavia, la creazione di account pubblici seguiti da migliaia di follower, un trend che segue un modello di business sempre più aggressivo, ha prodotto la reazione della censura e la chiusura di account gestiti da editorialisti popolari, come Xu Danei e Luo Changping, o da organi di informazione on-line, come NetEase. Il solo Xu aveva circa 200.000 connessioni.
Mentre Weibo appare in calo, il China Internet Information Centre ha detto che il 37 per cento degli utenti che l’anno scorso hanno abbandonato il social network si sono poi ridiretti su WeChat, che è gestito dal gigante internet Tencent.
Paura e rassicurazioni a Hong Kong
Li Ka-shing, re del porto di Hong Kong e uomo più ricco d’Asia, ha venduto la maggior parte della sua partecipazione in un terminal dell’ex colonia britannica a due conglomerati della Cina continentale, sollevando nuovi interrogativi sulle proprie ripetute assicurazioni di illimitata fiducia nell’economia locale.
La Hutchison Port Holdings Trust ha così deciso di vendere per 2,47 miliardi dollari di Hong Kong (230 milioni di euro) una quota del 60 per cento del suo Hong Kong Terminal 8 West alle cinesi Cosco Pacific, che ha acquisito una quota del 40 per cento, e China Shipping Terminal Development, che si è presa un 20 per cento.
Sullo sfondo, ci sono i rapporti di forza in estremo oriente e la sindrome dell’assediato dei comuni hongkonghini, che temono una perdita di centralità della propria città non solo a vantaggio di Shanghai – in questo caso, pilotata dalla leadership cinese – ma anche di altri hub commerciali e finanziari asiatici, come Singapore.
Intanto però, il premier cinese Li Keqiang rassicura, dicendo che l’impegno di Pechino verso la città rimane “coerente e chiaro”. “Hong Kong ha tenuto duro e si è mantenuta prospera nonostante la volatilità dell’economia globale. Ciò dimostra che ha conservato il proprio vantaggio competitivo”, sostiene Li.
Legge antiterrorismo in arrivo?
Durante il Congresso Nazionale del Popolo, i deputati dello Xinjiang avrebbero perorato la causa di una vera e propria legge antiterrorismo, dato che la Cina non ne ha ancora una.
La delegazione di 60 membri della regione autonoma sostiene che l’attuale sistema penale prevede dure punizioni per i crimini legati al terrorismo, ma non fa nulla per prevenirli.
C’è poca chiarezza nel definire che cos’è “terrorismo” e non si parla di pene specifiche relative. “Come risultato, i sospetti terroristi nello Xinjiang sono spesso accusati di reati come omicidio volontario o doloso, piuttosto che dell’organizzazione, guida o partecipazione ad attività terroristiche”, recita il documento congiunto firmato dai parlamentari.
Nel frattempo, la stampa cinese ha dato larga enfasi alla presenza al congresso della 25enne Riyangul Amire, delegata che dichiara di avere in cima ai propri pensieri due cose: più lavoro per la propria gente e più sicurezza nelle aree di confine. Quasi un personaggio pop. Chi è? Una giovane uigura dello Xinjiang, ovviamente.
[Foto credits: businessweek.com]