Il default della Chaori Solar Energy è stato il momento in cui il sistema cinese ha iniziato a capire in cosa consista il rischio quando si parla di investimenti. Certo non sono mancate le cassandre che hanno intravisto nell’annuncio del gruppo attivo nel settore del fotovoltaico il ‘momento Bear Stearns’ della Repubblica popolare, con un riferimento a quando la banca statunitense fu salvata all’ultimo nel 2008, ma il cui crollo segnò l’inizio della crisi. Più che una scossa come quella che ha investito l’Occidente, analisti come Leland Miller vedono tuttavia in quanto accaduto venerdì in Cina “un fatto positivo”, tanto nel lungo periodo quanto a medio termine. Il caso Chaori «dice agli investitori di tenere conto del rischio, sottolinea la necessità di valutare e accertare la salute di una società, li aiuta a capire che non possono sempre fare affidamento sui salvataggi del governo», ha spiegato il presidente della società di consulenza China Beige Book International in un colloquio con Linkiesta. In Italia condivide questa impostazione Alberto Forchielli.
«È importante che sia avvenuto», scrive il presidente di Osservatorio Asia in un’analisi per Piano inclinato. Quello che Moody’s spiega essere il primo fallimento nel mercato dei corporate bond dal 1997, ossia da quando il governo ha avviato la contrattazione pubblica dei titoli, rappresenta anche la prima volta in Cina in cui «un’azienda è sconfitta per proprie responsabilità societarie, per non aver trovato un salvatore di ultima istanza, per aver insistito infine su un’attività non più concorrenziale». Al fallimento del gruppo di Shanghai ne seguiranno altri prevede Miller. Per un po’ non si vedranno salvataggi, sottolinea.
Al contrario il 2014 sarà segnato da altri default: di prodotti di gestione, di prodotti fiduciari, di altre obbligazioni emesse da società private. Addirittura si potrebbe andare tecnicamente al fallimento di governi locali. «Hanno imparato che non è possibile ricorre sempre ai salvataggi e che anzi devono permettere i default», continua il presidente di CBB. I
l fatto che al centro di tutta la vicenda ci sia una società piccola ha facilitato la decisione. Per la Chaori si è trattato di non ripagare 89,8 milioni di yuan di bond in scadenza, pari a 10,66 milioni di euro, e di offrire un iniziale pagamento di quattro milioni di yuan, circa 480mila euro. Tuttavia il destino riservato alla società di Shanghai varrà anche nel caso di aziende più grandi, che vantano connessioni a livello politico. «Siamo davanti a uno dei temi più importanti per la Cina. Sappiamo benissimo che, in particolare per banche e grandi investitori, esistono legami con i funzionari.
Questo non dovrà però più essere sufficiente per un rollover», spiega ancora Miller, secondo cui, allo stato attuale, potrebbe rivelarsi politicamente inopportuno evitare un default per le connessioni tra mondo degli affari e settori del partito e dell’amministrazione. Banche vicine al governo e gli stessi politici sono spesso intervenuti come fossero un cavaliere bianco, almeno secondo una definizione in voga in questi giorni. La certezza di estensioni del debito e altre forme di soccorso avevano spinto molti investitori verso i corporate bond cinesi.
La piazza è così passata dagli 800 miliardi di yuan del 2007 ai 8.700 miliardi toccati alla fine di gennaio. Il default «aiuterà a ridurre l’azzardo morale che deriva dalla convinzione che il governo salverà gli investimenti underwater con i soldi dei contribuenti», scriveva venerdì l’agenzia Xinhua.
Il commento si chiudeva con la constatazione che alla fine «il mercato sta giocando un ruolo decisivo». Ossia uno degli obiettivi delle riforme tracciate a novembre dal Plenum del comitato centrale del Partito comunista cinese e che in questi giorni saranno tradotte in legge dalla plenaria annuale dell’Assemblea nazionale del popolo, l’organo legislativo della Rpc. Il salto culturale porta con sé anche timori. Quando il default era ancora un’ipotesi, sebbene molto vicina, la Suining Chuanzhong Economic Techinology Development annunciava il rinvio dell’emissione di bond per un miliardi di yuan e motivava la decisione con “le gravi turbolenze innescate nel mercato”.
A questo rinvio si accompagnava la scelta del costruttore navale Kouan e della Xining Special Steel di bloccare rispettivamente obbligazioni a breve termine per 300 milioni di yuan e a medio termine per 470 milioni. «Concentreremo l’attenzione su tutto ciò che possa portare a rischi regionali o sistemici. Come sottolineato dal premier Li Keqiang nel suo rapporto», ha detto Ouyang Zehua, funzionario della China Securities Regulatory Commission, intervenuto in un incontro a margine della sessione dell’Assemblea nazionale del popolo. Intanto il default della Chaori ha dato via a un’azione legale per ordinare il pagamento dei bond in scadenza.
La richiesta è stata fatta all’Alta corte provinciale del Guandong essendo il gruppo quotato alla borsa di Shenzhen. Tuttavia, conclude Miller, pensare che un tribunale possa tornare indietro rispetto a una decisione di questa portata è improbabile.
[Scritto per Linkiesta]