Dopo due giorni di mistero, ufficializzato il meeting a Pechino tra i due leader. «Pronti a denuclearizzare e a incontrare Trump»
Cosa può fare un uomo esperto e navigato che guida la Cina di oggi, e le cui scelte garantiscono la vita del regno del giovane Kim Jong-un, nel momento in cui quest’ultimo sembra prendere appuntamenti storici con chiunque, ma non con lui? Lo convoca a casa sua.
E COSÌ HA FATTO XI JINPING. E il giovane Kim Jong-un è andato, capendo che era giusto recarsi a Pechino, senza stare a fare troppe discussioni. E questo incontro l’ha suggellato con le sue parole finite nei comunicati ufficiali: «È opportuno che il mio primo viaggio sia nella capitale della Cina ed è mia responsabilità continuare a considerare le relazioni tra la Corea del Nord e la Cina importanti al pari della vita». Paragoni impegnativi, ma comprensibili anche perché la vulgata, i «si dice», davano Xi e Kim lontani anche per una mera questione di antipatia. O forse Xi sentiva una mancanza di rispetto che pare colmata.
Prima di addentrarci in questo mondo di diplomazia, di sicure indicazioni e mosse future, è bene raccontare anche il mistero all’interno del quale Cina e Corea del Nord hanno voluto sfumare questo momento storico.
Lunedì in Cina è arrivato un treno dalla Corea del Nord. Un convoglio verde militare, lo stesso usato dal padre di Kim Jong-un, quel Kim Jong-il che dentro a uno di quei vagoni pare ci sia perfino morto. Poi abbiamo saputo di auto nere, dai vetri offuscati, a percorrere rapide quelle strade della capitale cinese che chi è stato in Cina conosce bene: ampie, che sembrano sempre asfaltate di fresco e lavate come ogni sera. Poliziotti ovunque, a segnalare che qualcosa di speciale era in corso, stava avvendendo.
CI SIAMO CHIESTI se tutto questo bailamme fosse per Kim, e ci siamo risposti di sì, perché alcuni riti si conoscono, si percorrono da secoli e vengono elargiti, talvolta. Come l’usanza che vuole rivelare la presenza di un leader nordcoreano a Pechino, solo quando è tornato a Pyongyang. Così è stato in precedenza, così è stato questa volta. C’è un «prima», dunque, fatto di attesa, di mezze parole, come quelle della portavoce di Pechino: «a tempo debito vi diremo», ha raccontato ai giornalisti. Ed è apparso come un segnale evidente: allora Kim è in Cina. Non solo, perché nel «prima» non si poteva non cogliere un dettaglio dirimente: in Russia a breve andrà il ministro degli esteri nord coreano. Per quanto Kim sia a suo modo coraggioso, non era immaginabile un’umiliazione diplomatica per la Cina, mandando anche a Pechino un semplice funzionario. Xi Jinping ha invitato Kim a casa sua. E Kim doveva andare.
POI C’È IL «DOPO». Le immagini raccontano di un appuntamento storico, rappresentato da quella grazia sinuosa che solo l’Asia può regalare. I due leader e le mogli che bevono tè, i due leader riuniti attorno a un tavolo a scambiarsi opinioni, con il giovane Kim Jong-un a prendere veloci appunti durante l’intervento di Xi. Il contrario, ovviamente, non è accaduto. In questa circostanza è cristallizzata la profondità di tradizioni, usi millenari e Confucio: il giovane che ascolta e anzi segna su un quaderno le parole dell’uomo più esperto. Una bella soddisfazione per Xi, il capo più potente della Cina e del mondo — Economist dixit — che forse si era sentito snobbato da quel millennialalla guida di una potenza piccola ma dotata del deterrente nucleare.
L’INCONTRO PECHINESE riporta la Cina dove è giusto che sia, per i cinesi: al centro di ogni trama, in perenne fibrillazione cerebrale di fronte al complicato quadro asiatico. Xi Jinping deve aver voluto sondare di persona le intenzioni di Kim. In ballo non c’è solo la pace, c’è anche il prestigio, «la faccia», c’è un leader che ha sradicato gli ultimi limiti al proprio potere, chiedendo e ottenendo l’abolizione del limite al secondo mandato, e che deve ormai stare attento a ogni passo, segreto e pubblico.
ALLORA, COSA ASPETTARSI? Kim ha ribadito quanto aveva già detto: la Corea sarebbe pronta a bloccare la sua corsa nucleare, a un dialogo con tutte le parti, Moon Jae-in, Trump, Abe, chiunque. «Il tema della denuclearizzazione della penisola coreana può essere risolto, se Corea del Sud e Stati uniti risponderanno ai nostri sforzi di riconciliazione con buona volontà, creeranno un’atmosfera di pace e stabilità e adotteranno misure progressive e sincronizzate per la realizzazione della pace» ha detto Kim Jong-un.
DOPO IL VIA LIBERA di Mosca, entrata in questa danza asiatica da tempo, si cominceranno a definire le agende: ieri intanto Seul ha fatto sapere di aver ricevuto i nomi della delegazione nord coreana per l’incontro con il presidente Moon Jae-in.
Scriviamoci le date: fine aprile Moon, entro fine maggio Trump. A quel punto si capirà se esiste la possibilità di un compromesso, se esiste la chance che Cina e Usa si fronteggino, con in mezzo la Corea del Nord, in una delle aree che, nonostante l’eurocentrismo nostrano, sembra sempre più centrale per il futuro della comunità internazionale.
di Simone Pieranni
[Pubblicato su il manifesto]